Partenze
L'atrio
della stazione è enorme. Sotto le volte altissime la gente cammina velocemente
come se avesse ben chiaro in testa cosa dovrà fare negli istanti successivi. O,
forse, anche nel resto della loro vita.
Io sto ad
osservarli, cerco di immaginare cosa si prova ad essere così decisi e sicuri.
Ho scelto una panchina al binario numero otto.
“E' in arrivo il treno interregionale numero 2048 delle ore 15.35 al
binario otto”. Così mi ha accolto la voce gentile e ben modulata di una donna
all'altoparlante mentre entravo nella stazione. E mi sono messa seduta su una
panca di pietra, sotto la pensilina, lungo quel binario.
Tengo la
borsetta ben stretta tra le mani, appoggiata sulle gambe accavallate, e aspetto
guardandomi attorno. Su una panchina vicino alla mia c'è una strana coppia.
Lui è magro, tiene tra le mani un fumetto: sta con i gomiti appoggiati sulle
ginocchia e il busto tutto proteso in avanti. Da quando lo sto osservando non
ha ancora sollevato lo sguardo né verso di me né verso la compagna. Lei, al
contrario, è grassissima e non ha smesso di togliermi gli occhi di dosso.
Sarebbe una bella donna se non fosse per quella mole spropositata: mi ricorda
certi personaggi dipinti da Botero. Ha i capelli
lunghi, neri, raccolti strettamente in una coda di cavallo. Fuma una sigaretta
dietro l'altra, portandosela alla bocca con gesti lenti ed ampi, mentre si
dondola su se stessa. Di tanto in tanto dice qualcosa al compagno, senza, però,
che questi si distolga dalla lettura. Forse le
risponde, ma non ne sono certa perché non riesco a vederlo in volto. Oppure non
le risponde nemmeno.
“Hai
qualche spicciolo? Mi mancano ancora quattro euro per il biglietto”. Alzo lo
sguardo e vedo un ragazzo, lo zaino sulle spalle, una mano tesa e su quel palmo
alcuni centesimi. Fa il gesto di contarli, quasi per essere sicuro di quanto
deve ancora racimolare. Appare imbarazzato, di certo non è avvezzo ad
elemosinare. Senza parlare apro la borsetta, prendo due monete da due euro e
gliele porgo. “Grazie”, mi dice prima di
allontanarsi, senza neppure guardare quanto gli avevo dato.
Dopo un paio di passi si blocca, si gira verso di me: “Grazie, grazie davvero!
Fa felice me e fa felice anche la mia ragazza che mi sta aspettando!”. Quel
sorriso e quel tono entusiasta, quasi incredulo, lo fa apparire bambino.
Sorrido.
Il treno
sta per arrivare. La gente si alza, raccoglie le borse, si prepara. Anch'io mi
alzo e mi sistemo la borsetta a tracolla. Il rumore del treno, man mano che si
avvicina, si fa più forte: i freni azionati provocano una specie di fischio che
lacera l'aria e copre ogni altro suono. La gente scende dal treno e s'incammina
velocemente verso la stazione. Mi passano accanto, mi sfiorano. Io resto
immobile a guardarli: aspetto che tutti se ne vadano. Guardo le persone che nel
frattempo salgono e prendono posto. La donna grassa fa fatica. Sbuffa e impreca mentre arranca su per gli scalini. Il suo compagno
le sorregge la borsetta e, quasi, la spinge.
Il ragazzo del biglietto arriva di corsa e sale sull'ultimo vagone,
appena in tempo.
Io sto
ferma. Non mi è concesso di partire.
Il treno
si avvia; mi giro e mi dirigo verso l'uscita, lentamente. Per oggi smetto anche
di sognare.