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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Partenze, di Cesarina Bo 18/05/2007
 

Partenze

 

                          

L'atrio della stazione è enorme. Sotto le volte altissime la gente cammina velocemente come se avesse ben chiaro in testa cosa dovrà fare negli istanti successivi. O, forse, anche nel resto della loro vita.

Io sto ad osservarli, cerco di immaginare cosa si prova ad essere così decisi e sicuri. Ho scelto una panchina al binario numero otto.

“E' in arrivo il treno interregionale numero 2048 delle ore 15.35 al binario otto”. Così mi ha accolto la voce gentile e ben modulata di una donna all'altoparlante mentre entravo nella stazione. E mi sono messa seduta su una panca di pietra, sotto la pensilina, lungo quel binario.

Tengo la borsetta ben stretta tra le mani, appoggiata sulle gambe accavallate, e aspetto guardandomi attorno. Su una panchina  vicino alla mia c'è una strana coppia. Lui è magro, tiene tra le mani un fumetto: sta con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il busto tutto proteso in avanti. Da quando lo sto osservando non ha ancora sollevato lo sguardo né verso di me né verso la compagna. Lei, al contrario, è grassissima e non ha smesso di togliermi gli occhi di dosso. Sarebbe una bella donna se non fosse per quella mole spropositata: mi ricorda certi personaggi dipinti da Botero. Ha i capelli lunghi, neri, raccolti strettamente in una coda di cavallo. Fuma una sigaretta dietro l'altra, portandosela alla bocca con gesti lenti ed ampi, mentre si dondola su se stessa. Di tanto in tanto dice qualcosa al compagno, senza, però, che questi si distolga dalla lettura. Forse le risponde, ma non ne sono certa perché non riesco a vederlo in volto. Oppure non le risponde nemmeno.

“Hai qualche spicciolo? Mi mancano ancora quattro euro per il biglietto”. Alzo lo sguardo e vedo un ragazzo, lo zaino sulle spalle, una mano tesa e su quel palmo alcuni centesimi. Fa il gesto di contarli, quasi per essere sicuro di quanto deve ancora racimolare. Appare imbarazzato, di certo non è avvezzo ad elemosinare. Senza parlare apro la borsetta, prendo due monete da due euro e gliele porgo.  “Grazie”, mi dice prima di allontanarsi, senza neppure guardare quanto gli avevo dato. Dopo un paio di passi si blocca, si gira verso di me: “Grazie, grazie davvero! Fa felice me e fa felice anche la mia ragazza che mi sta aspettando!”. Quel sorriso e quel tono entusiasta, quasi incredulo, lo fa apparire bambino. Sorrido.

Il treno sta per arrivare. La gente si alza, raccoglie le borse, si prepara. Anch'io mi alzo e mi sistemo la borsetta a tracolla. Il rumore del treno, man mano che si avvicina, si fa più forte: i freni azionati provocano una specie di fischio che lacera l'aria e copre ogni altro suono. La gente scende dal treno e s'incammina velocemente verso la stazione. Mi passano accanto, mi sfiorano. Io resto immobile a guardarli: aspetto che tutti se ne vadano. Guardo le persone che nel frattempo salgono e prendono posto. La donna grassa fa fatica. Sbuffa e impreca mentre arranca su per gli scalini. Il suo compagno le sorregge la borsetta e, quasi, la spinge.  Il ragazzo del biglietto arriva di corsa e sale sull'ultimo vagone, appena in tempo.

Io sto ferma. Non mi è concesso di partire.

Il treno si avvia; mi giro e mi dirigo verso l'uscita, lentamente. Per oggi smetto anche di sognare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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