Alla
festa di Thun
di
massimolegnani
Mentre
seguivo un Reno ancora giovane, da poco uscito dal lago di Costanza e
sopravvissuto a stento ai salti impegnativi di Sciaffusa che non si
possono dire vere cascate ma un rotolare periglioso dell’acqua
tra massi e sassi, mentre seguivo il Reno divagando tra i suoi
affluenti mi sono ritrovato nel cuore della Svizzera in una Thun in
festa, non so per quale festa.
Tra
fuochi d’artificio e birre traboccanti nei boccali ho visto
svizzeri diversi, poco contabili, umani forse e quasi sorridenti
nella tristezza mescolata all’allegria, perché
s’intrecciano nella notte storie ai primi approcci ad altre
ormai agli sgoccioli. Gomito a gomito stanno, sullo smalto bianco di
eleganti tavolini o sul legno stagionato di tavolacci d’osteria,
solitudini feroci e compagnie rubizze.
Inebetito
da un vino bianco acidulo passo in rassegna sul lungofiume e per le
vie strette del centro schiere di svizzeri seduti, sempre meno
elvetici.
Vedo
piccole euforie, minime baldorie, intimità di baci, fragili
amicizie che dureranno il tempo della notte, vedo lo sguardo liquido
di occhi in amore e al tavolino accanto due corpi esausti per un
abbandono inevitabile, vedo nel buio rotto dai lumini la malinconia
alcolica di alcuni vicino alla risata d’altri.
Vedo
luci voci bottiglie uomini donne.
Così
riverbera sull’acqua e scintilla nei bicchieri una Svizzera
inusuale, non più austera ma nemmeno scatenata come capita
nella sfrenatezza semel in anno dell’Oktoberfest.
Passeggio
e scruto volti sconosciuti che a poco a poco mi diventano familiari.
Mi
piacerebbe essere più intimo alla festa, essere partecipe,
ritagliarmi un ruolo.
E
vorrei per me un volto, possibilmente femminile, occhi avidi
d’ascolto e un calice di rosso che duri fino all’alba.
Raccontarle il mio minimo segreto di pedalatore solitario, il
viaggio è un andare all’essenziale, sai, poche le cose
da portarmi dentro e fuori, molte lasciate a casa per l’ingombro,
tante a far da carico al ritorno. Il segreto è il rovescio del
setaccio, scartare l’oro e trattenere terra, che è terra
straniera non più estranea, il segreto è la dignità
dell’occhio che come un cane da riporto sa farsi immagine e
memoria senza l’intermediario di una foto. Parole a vanvera
che lei non capirebbe nemmeno comprendesse l’italiano. Eppure
immagino come vero il mio flusso muto di parole, e il segreto
di questa notte svizzera è lo stupore speso in un istante, la
luce colta nel suo sguardo da altri illuminato, credere per me i suoi
occhi il tempo di un ascolto e poi saperlo ricordare per un breve
sempre.
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