Lui non dormiva di notte, lui guardava.
Guardava il mare.
Si chiamava Rosso, l'avevano chiamato così i suoi genitori pensando ad un
lontano avo venuto, secondo una leggenda di famiglia, dall' antico
popolo di Eric il rosso, il vichingo che per primo
sfidò il gelido mare del Nord per raggiungere l'Islanda.
Quella di Rosso era una follia tranquilla, venuta alla luce lentamente, dopo
un'infanzia normale. Forse avrebbe dovuto allarmare quell'eccessiva
predilezione per i giochi con barchette, navi e qualunque cosa che avesse a che
fare col mare. Oppure la sua continua richiesta di storie che non avessero per protagonisti fate, streghe principesse e re, ma
lupi di mare, tempeste e mostri degli abissi.
Poi, nella pubertà, l'aggravarsi, il rinchiudersi sempre di più in sé stesso e
nelle sue fantasie. "Personalità schizoide, monomaniacale ma non
pericoloso per se stesso o per gli altri". Questa era stata la diagnosi
degli specialisti che l'avevano visitato e poi abbandonato al suo destino,
visto che i famigliari non intendevano sottoporlo a problematiche e costose
terapie.
Così Rosso guardava il mare. Andava accanto alla chiesa, sulla piazzetta
ricavata dove antiche rocce oramai celate dal cemento, spianavano
arrampicandosi più dolcemente verso il monte. Da lì, da un'altezza raggiunta
solo dagli spruzzi più alti durante le libecciate invernali, si dominava con un
unico sguardo sia il vecchio borgo di pescatori, abbracciato alla piccola
spiaggia sassosa, sia il mare, appena limitato ad est dall'ombra inconfondibile
del monte di Portofino, ma a sud ed ovest libero sino a dove poteva arrivare lo
sguardo. Nella mente di Rosso, priva di confini imposti dalla logica, in quella
direzione si poteva arrivare ovunque, magari sino a capo Horn,
incubo e suprema laurea per i capitani dei velieri.
Lui non si curava del borgo, pure oggetto di ammirazione da parte di migliaia
di turisti e soggetto di innumerevoli quadri, vedute e fotografie. Lui scrutava
l'orizzonte con un enorme binocolo da marina trovato in casa, tra i cimeli di
un passato che aveva visto la famiglia di suo padre tra quelle dei Capitani di Camogli, i migliori, i più coraggiosi tra tutta la
marineria del Mediterraneo. Erano due i cimeli dai quali Rosso non si separava
mai, uno era il binocolo, e tutti potevano vederlo. L'altro invece era segreto,
custodito con amore e cura maniacale. Un anello di bronzo, un semplice cerchio
di metallo brunito, che lui teneva appeso al collo con un rozzo cordone di
cuoio. Secondo Rosso, quell' anello era stato ricavato dalla fusione di un'ascia da
guerra vichinga. Se fosse vero o fosse una delle sue tante innocue fantasie
neppure lui avrebbe potuto dirlo. La realtà ed i sogni non erano distinti nella
mente di Rosso.
Rosso restava sulla piazzetta dal tramonto alle prime luci dell'alba, che fosse
estate o inverno, che fosse una tiepida notte stellata
od una gelida oscurità rotta da fulmini e grandine. In quelle circostanze lo si vedeva, seppure qualche coraggioso passante si fosse
soffermato a guardarlo, completamente avvolto da un sudovest con il cappuccio
grondante acqua e salsedine, un paio di stivali di gomma, ritto, appoggiato
alla colonnina del cannocchiale turistico a moneta, come il nocchiere legato
alla barra nella tempesta, l'occhio fisso in alto, a guardare la punta del
campanile come fosse il pennone di maestra. O come un comandante sul cassero di
poppa, una mano sulla rugginosa balaustra di ferro della terrazza come fosse un
mancorrente di mogano ben levigato, immobile a dare
ordini con voce stentorea per superare il muggito dei marosi e l'urlo del vento
tra le sartie.
Di giorno dormiva, poco, e si nutriva il minimo indispensabile, senza gioia e
senza preferenze. Semplicemente mangiava quello che gli mettevano davanti.
Usciva di casa, camminava, parlava tra sé aspettando il calare della sera ed
un'altra notte insonne.
Anche quella notte di Novembre Rosso era al suo posto. C'era tempesta di
libeccio, la peggiore. Rosso scrutava, che cosa, nessuno lo poté dire, nessuno
avrebbe potuto vedere ciò che lui vedeva, in quel buio totale rotto solo dai
lampi e, verso riva, dai lampioni gialli della piazzetta che, circondati da un
alone di pioggia e salsedine, riuscivano a malapena a rischiarare pochi metri
di selciato ridotto a letto di un torrente. L'acqua raccolta dal tetto della
chiesa e dalla vicina strada dai tombini intasati si convogliava per naturale
pendenza ed innaturale incuria dalla piazzetta verso il mare.
Rosso dialogava fitto come se davanti a lui ci fosse un misterioso
interlocutore, che parlava attraverso la sua bocca. Parlava, agitato, guardando
un punto preciso del mare, appena oltre la scogliera dove altissimi marosi si
frangevano con rabbia e forza immane.
- Tu discendi da Eric, tu appartieni al mare come
tutti i suoi figli.
Rosso annuì pensoso, poi scosse la testa
- Un altro mare, un altro tempo, questo mare è dolce, è caldo, questo tempo non
appartiene più alle navi dai grandi scudi, i neri drakkar
dal drago sulla prora non incutono più il terrore ai popoli delle coste….Ma
attenti, là, gli scogli, forza coi remi, la vela, ammainate quella vela che il
vento vi trascina …
-Tu hai visto già altri mari, tu eri un Uomo del Nord, i tuoi castelli erano in
Irlanda, la più verde delle terre dove approdammo
- L'Irlanda, ricordo, certo, ricordo Clontarf, la
battaglia delle asce insanguinate, ed il re Brian che ci scacciò per sempre da
quelle terre, e noi che tornammo a battere i mari.
No, non così, remate, remate, il timone, forza su quella barra, vi
schianterete! Attenti alle linea degli scogli
- Ecco, vedi che non hai dimenticato. Dopo Clontarf,
tu approdasti…. Ricordi? La
Normandia e le sue dolci colline di sabbia?
- Certo, fummo potenti anche li ed i nostri guerrieri
divennero Cavalieri, e molti andarono in Terrasanta.
Poi alcuni, pochi, tornarono. Questa che vedi è la terra che io scelsi. Aspra,
votata al mare, così diversa e così uguale alla nostra… anche la gente, dura
come la loro, come la nostra terra, ma vera. E
marinai, oh si, i migliori che abbiano mai cavalcato
queste onde.
- Allora tu che appartieni oramai a questa terra di grandi uomini di mare, non
puoi rinnegare né i tuoi avi né lei. La tua nave ha bisogno del suo capitano,
tu discendi da Eric, tuoi sono stati i mari del
mondo, tuo questo mare che ora ci assale. Vieni, il tuo drakkar
non potrà soccombere se tu ci raggiungi. Vieni!
Le ultime parole furono un grido disperato.
C'era bisogno del Capitano, il capitano non poteva restare a terra, a guardare
la sua nave infrangersi sugli scogli. Rosso si tolse la cerata e si avviò
correndo, giù per la creuza di sassi e mattoni, sollevando
schizzi, giù appoggiandosi al muro delle case per non cadere, giù sino alla
spiaggia del borgo. Lì si tolse gli stivali, infilò una mano sotto il maglione
e strinse nel pugno l'anello di bronzo.
- Rosso, figlio di Eric, torna al suo drakkar.
Intorno a lui solo acqua, a rivoli, a frangenti, dal
cielo e dal mare; acqua gelida eppure sensuale, che frusciava, sussurrava, che
urlava il suo invito. Rosso prese ad avanzare sulle pietre bagnate, e man mano
che procedeva i sassi diventavano ghiaia, prima grossa poi fina, e da ultimo,
mentre già le onde accarezzavano i suoi piedi, sabbia, morbida e cedevole.
Oltre i frangenti, alla luce di un lampo, una nera testa di drago, o forse era
l'ombra frastagliata di uno degli scogli affilati.
Ancora qualche metro, e la carezza della schiuma l'avvolse, come un' amante che solleva il lenzuolo di seta per accogliere
finalmente nel suo nudo amplesso chi l'ha desiderata con devozione per tutta
una vita.