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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L'uomo che guardava il mare di Mario Malgieri 22/02/2006
 

Lui non dormiva di notte, lui guardava. Guardava il mare.
Si chiamava Rosso, l'avevano chiamato così i suoi genitori pensando ad un lontano avo venuto, secondo una leggenda di famiglia, dall' antico popolo di Eric il rosso, il vichingo che per primo sfidò il gelido mare del Nord per raggiungere l'Islanda.
Quella di Rosso era una follia tranquilla, venuta alla luce lentamente, dopo un'infanzia normale. Forse avrebbe dovuto allarmare quell'eccessiva predilezione per i giochi con barchette, navi e qualunque cosa che avesse a che fare col mare. Oppure la sua continua richiesta di storie che non avessero per protagonisti fate, streghe principesse e re, ma lupi di mare, tempeste e mostri degli abissi.
Poi, nella pubertà, l'aggravarsi, il rinchiudersi sempre di più in sé stesso e nelle sue fantasie. "Personalità schizoide, monomaniacale ma non pericoloso per se stesso o per gli altri". Questa era stata la diagnosi degli specialisti che l'avevano visitato e poi abbandonato al suo destino, visto che i famigliari non intendevano sottoporlo a problematiche e costose terapie.
Così Rosso guardava il mare. Andava accanto alla chiesa, sulla piazzetta ricavata dove antiche rocce oramai celate dal cemento, spianavano arrampicandosi più dolcemente verso il monte. Da lì, da un'altezza raggiunta solo dagli spruzzi più alti durante le libecciate invernali, si dominava con un unico sguardo sia il vecchio borgo di pescatori, abbracciato alla piccola spiaggia sassosa, sia il mare, appena limitato ad est dall'ombra inconfondibile del monte di Portofino, ma a sud ed ovest libero sino a dove poteva arrivare lo sguardo. Nella mente di Rosso, priva di confini imposti dalla logica, in quella direzione si poteva arrivare ovunque, magari sino a capo Horn, incubo e suprema laurea per i capitani dei velieri.
Lui non si curava del borgo, pure oggetto di ammirazione da parte di migliaia di turisti e soggetto di innumerevoli quadri, vedute e fotografie. Lui scrutava l'orizzonte con un enorme binocolo da marina trovato in casa, tra i cimeli di un passato che aveva visto la famiglia di suo padre tra quelle dei Capitani di Camogli, i migliori, i più coraggiosi tra tutta la marineria del Mediterraneo. Erano due i cimeli dai quali Rosso non si separava mai, uno era il binocolo, e tutti potevano vederlo. L'altro invece era segreto, custodito con amore e cura maniacale. Un anello di bronzo, un semplice cerchio di metallo brunito, che lui teneva appeso al collo con un rozzo cordone di cuoio. Secondo Rosso, quell' anello era stato ricavato dalla fusione di un'ascia da guerra vichinga. Se fosse vero o fosse una delle sue tante innocue fantasie neppure lui avrebbe potuto dirlo. La realtà ed i sogni non erano distinti nella mente di Rosso.
Rosso restava sulla piazzetta dal tramonto alle prime luci dell'alba, che fosse estate o inverno, che fosse una tiepida notte stellata od una gelida oscurità rotta da fulmini e grandine. In quelle circostanze lo si vedeva, seppure qualche coraggioso passante si fosse soffermato a guardarlo, completamente avvolto da un sudovest con il cappuccio grondante acqua e salsedine, un paio di stivali di gomma, ritto, appoggiato alla colonnina del cannocchiale turistico a moneta, come il nocchiere legato alla barra nella tempesta, l'occhio fisso in alto, a guardare la punta del campanile come fosse il pennone di maestra. O come un comandante sul cassero di poppa, una mano sulla rugginosa balaustra di ferro della terrazza come fosse un mancorrente di mogano ben levigato, immobile a dare ordini con voce stentorea per superare il muggito dei marosi e l'urlo del vento tra le sartie.
Di giorno dormiva, poco, e si nutriva il minimo indispensabile, senza gioia e senza preferenze. Semplicemente mangiava quello che gli mettevano davanti. Usciva di casa, camminava, parlava tra sé aspettando il calare della sera ed un'altra notte insonne.
Anche quella notte di Novembre Rosso era al suo posto. C'era tempesta di libeccio, la peggiore. Rosso scrutava, che cosa, nessuno lo poté dire, nessuno avrebbe potuto vedere ciò che lui vedeva, in quel buio totale rotto solo dai lampi e, verso riva, dai lampioni gialli della piazzetta che, circondati da un alone di pioggia e salsedine, riuscivano a malapena a rischiarare pochi metri di selciato ridotto a letto di un torrente. L'acqua raccolta dal tetto della chiesa e dalla vicina strada dai tombini intasati si convogliava per naturale pendenza ed innaturale incuria dalla piazzetta verso il mare.
Rosso dialogava fitto come se davanti a lui ci fosse un misterioso interlocutore, che parlava attraverso la sua bocca. Parlava, agitato, guardando un punto preciso del mare, appena oltre la scogliera dove altissimi marosi si frangevano con rabbia e forza immane.
- Tu discendi da Eric, tu appartieni al mare come tutti i suoi figli.
Rosso annuì pensoso, poi scosse la testa
- Un altro mare, un altro tempo, questo mare è dolce, è caldo, questo tempo non appartiene più alle navi dai grandi scudi, i neri drakkar dal drago sulla prora non incutono più il terrore ai popoli delle coste….Ma attenti, là, gli scogli, forza coi remi, la vela, ammainate quella vela che il vento vi trascina …
-Tu hai visto già altri mari, tu eri un Uomo del Nord, i tuoi castelli erano in Irlanda, la più verde delle terre dove approdammo
- L'Irlanda, ricordo, certo, ricordo Clontarf, la battaglia delle asce insanguinate, ed il re Brian che ci scacciò per sempre da quelle terre, e noi che tornammo a battere i mari.
No, non così, remate, remate, il timone, forza su quella barra, vi schianterete! Attenti alle linea degli scogli
- Ecco, vedi che non hai dimenticato. Dopo Clontarf, tu approdasti…. Ricordi? La Normandia e le sue dolci colline di sabbia?
- Certo, fummo potenti anche li ed i nostri guerrieri divennero Cavalieri, e molti andarono in Terrasanta. Poi alcuni, pochi, tornarono. Questa che vedi è la terra che io scelsi. Aspra, votata al mare, così diversa e così uguale alla nostra… anche la gente, dura come la loro, come la nostra terra, ma vera. E marinai, oh si, i migliori che abbiano mai cavalcato queste onde.
- Allora tu che appartieni oramai a questa terra di grandi uomini di mare, non puoi rinnegare né i tuoi avi né lei. La tua nave ha bisogno del suo capitano, tu discendi da Eric, tuoi sono stati i mari del mondo, tuo questo mare che ora ci assale. Vieni, il tuo drakkar non potrà soccombere se tu ci raggiungi. Vieni!
Le ultime parole furono un grido disperato.
C'era bisogno del Capitano, il capitano non poteva restare a terra, a guardare la sua nave infrangersi sugli scogli. Rosso si tolse la cerata e si avviò correndo, giù per la creuza di sassi e mattoni, sollevando schizzi, giù appoggiandosi al muro delle case per non cadere, giù sino alla spiaggia del borgo. Lì si tolse gli stivali, infilò una mano sotto il maglione e strinse nel pugno l'anello di bronzo.
- Rosso, figlio di Eric, torna al suo drakkar.
Intorno a lui solo acqua, a rivoli, a frangenti, dal cielo e dal mare; acqua gelida eppure sensuale, che frusciava, sussurrava, che urlava il suo invito. Rosso prese ad avanzare sulle pietre bagnate, e man mano che procedeva i sassi diventavano ghiaia, prima grossa poi fina, e da ultimo, mentre già le onde accarezzavano i suoi piedi, sabbia, morbida e cedevole. Oltre i frangenti, alla luce di un lampo, una nera testa di drago, o forse era l'ombra frastagliata di uno degli scogli affilati.
Ancora qualche metro, e la carezza della schiuma l'avvolse, come un' amante che solleva il lenzuolo di seta per accogliere finalmente nel suo nudo amplesso chi l'ha desiderata con devozione per tutta una vita.   

 

 

 
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