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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La giostra, di massimolegnani 05/05/2021
 
La giostra

di massimolegnani



Con la nebbia e i primi freddi è arrivata puntuale la Fiera dei Morti che per cinque giorni porterà l’allegria in paese. Le giostre si sono sistematenella spianata in periferia non lontana dal cimitero, ma noi, nella nostra eccitazione infantile, non facciamo caso al macabro contrasto tra vivi e morti, tra baracconi e tombe. E abbiamo assimilato in scioltezza il termine un poco raccapricciante che per tradizione definisce la festa di inizio novembre.

Anche quest’anno nostri genitori ci hanno proibito di andare da soli alla fiera, troppi pericoli, troppe tentazioni! Ci avrebbero accompagnato loro alla domenica mattina quando la calca è poca e alcuni baracconi “da adulti” sono ancora chiusi. Io ci sono rimasto male, speravo che questa volta ci avrebbero concesso un po’ più di libertà, insomma faccio già la terza. Quasi piango mentre torno in camera, ma mia sorella fa spallucce e mi dice non ti preoccupare, alla prima occasione ce la filiamo. E l’occasione la crea lei il giorno seguente: bussa e si presenta nella mia aula quando sta per iniziare il doposcuola. Confabula sicura con la maestra, non so cosa le dica, ma di sicuro lei ha l’autorevolezza sfacciata da scolara di quinta e il risultato è: Legnani vai pure a casa con tua sorella.

Incredibile!

Usciamo da scuola, le do la mano e faccio per prendere la strada di casa. Lei mi strattona e si avvia nella direzione opposta.

Ma non dobbiamo andare a casa?

Scemo, ho inventato una scusa così si va alle giostre.

Alle giostre?

Forza, corri, abbiamo meno di due ore per divertirci.

Sono preso dall’ansia per la prima trasgressione della mia vita, ma a poco a poco mi lascio contagiare dall’entusiasmo di mia sorella mentre corriamo a perdifiato nel vialone che porta alla fiera.

Giriamo frastornati fra i baracconi tra le mille tentazioni di torroni e giostre ma abbiamo pochi soldi e non li vogliamo sprecare. Così, a malincuore,rinunciamo allo zucchero filato e ai bomboloni alla crema e ci lasciamo allettare dai richiami dei giostrai.

Balziamo su un aeroplanino e appena la giostra si mette in movimento noi ci solleviamo da terra, è una sensazione eccitante che mi strappa un grido di piccola felicità. Naturalmente è mia sorella a stringere la leva del comando e a me va bene così, mi fido di lei. L’aeroplano s’impenna, scende in picchiata poi torna su di colpo quasi in verticale, perché lei dà strattoni decisi alla leva e io rido ai continui sobbalzi.

Finisce la corsa e noi siamo ancora in mezzo al cielo.

Non so cosa sia successo, se si è inceppato un ingranaggio o se è la leva che a furia dei suoi strattoni si è rotta. Fatto sta che noi siamo lassù, bloccati a un’altezza da vertigine. Mia sorella ride, batte le mani all’imprevisto, io ho una faccia smarrita da Stanlio, sì quello timido di Stagno e Olio, mi manca solo la bombetta, il resto, dalle orecchie al carattere tra il pavido e l’incapace, è uguale a lui. Guardo giù il capannello di gente che si sbraccia e ci grida consigli. Io penso che questo è il castigo di Dio, mia sorella fa cenni di saluto alla folla come fosse la figlia della regina Elisabetta in carrozza. Non so quanto duri il dramma, a me sembra un’eternità ma forse sono pochi minuti. Con un sibilo da gomma bucata l’aereo plana dolcemente fino a terra. L’addetto alla giostra ci riempie d’improperi, io tengo lo sguardo basso del colpevole, mia sorella ha la faccia tosta di rispondergli, sì vabbè, ma voi aggiustatela ‘sta baracca!, prima di sgattaiolare via.

Sulla strada verso casa lei canticchia allegra, mentre io ho l’animo in subbuglio. Sì, mi è piaciuta da matti la fiera ma qualcosa, forse la disavventura patita o il pensiero di dover mentire a casa, m’impedisce di essere felice. E questa incapacità di godere appieno dei momenti belli me la porto dentro ancora oggi che sono all’altro capo della vita.


 
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