La
giostra
di
massimolegnani
Con
la nebbia e i primi freddi è arrivata puntuale la Fiera dei
Morti che per cinque giorni porterà l’allegria in paese.
Le giostre si sono sistematenella spianata in periferia non lontana
dal cimitero, ma noi, nella nostra eccitazione infantile, non
facciamo caso al macabro contrasto tra vivi e morti, tra baracconi e
tombe. E abbiamo assimilato in scioltezza il termine un poco
raccapricciante che per tradizione definisce la festa di inizio
novembre.
Anche
quest’anno nostri genitori ci hanno proibito di andare da soli
alla fiera, troppi pericoli, troppe tentazioni! Ci avrebbero
accompagnato loro alla domenica mattina quando la calca è poca
e alcuni baracconi “da adulti” sono ancora chiusi. Io ci
sono rimasto male, speravo che questa volta ci avrebbero concesso un
po’ più di libertà, insomma faccio già la
terza. Quasi piango mentre torno in camera, ma mia sorella fa
spallucce e mi dice non ti preoccupare, alla prima occasione ce la
filiamo. E l’occasione la crea lei il giorno seguente:
bussa e si presenta nella mia aula quando sta per iniziare il
doposcuola. Confabula sicura con la maestra, non so cosa le dica, ma
di sicuro lei ha l’autorevolezza sfacciata da scolara di quinta
e il risultato è: Legnani vai pure a casa con tua sorella.
Incredibile!
Usciamo
da scuola, le do la mano e faccio per prendere la strada di casa. Lei
mi strattona e si avvia nella direzione opposta.
Ma
non dobbiamo andare a casa?
Scemo,
ho inventato una scusa così si va alle giostre.
Alle
giostre?
Forza,
corri, abbiamo meno di due ore per divertirci.
Sono
preso dall’ansia per la prima trasgressione della mia vita, ma
a poco a poco mi lascio contagiare dall’entusiasmo di mia
sorella mentre corriamo a perdifiato nel vialone che porta alla
fiera.
Giriamo
frastornati fra i baracconi tra le mille tentazioni di torroni e
giostre ma abbiamo pochi soldi e non li vogliamo sprecare. Così,
a malincuore,rinunciamo allo zucchero filato e ai bomboloni alla
crema e ci lasciamo allettare dai richiami dei giostrai.
Balziamo
su un aeroplanino e appena la giostra si mette in movimento noi ci
solleviamo da terra, è una sensazione eccitante che mi strappa
un grido di piccola felicità. Naturalmente è mia
sorella a stringere la leva del comando e a me va bene così,
mi fido di lei. L’aeroplano s’impenna, scende in
picchiata poi torna su di colpo quasi in verticale, perché lei
dà strattoni decisi alla leva e io rido ai continui sobbalzi.
Finisce
la corsa e noi siamo ancora in mezzo al cielo.
Non
so cosa sia successo, se si è inceppato un ingranaggio o se è
la leva che a furia dei suoi strattoni si è rotta. Fatto sta
che noi siamo lassù, bloccati a un’altezza da vertigine.
Mia sorella ride, batte le mani all’imprevisto, io ho una
faccia smarrita da Stanlio, sì quello timido di Stagno e
Olio, mi manca solo la bombetta, il resto, dalle orecchie al
carattere tra il pavido e l’incapace, è uguale a lui.
Guardo giù il capannello di gente che si sbraccia e ci grida
consigli. Io penso che questo è il castigo di Dio, mia sorella
fa cenni di saluto alla folla come fosse la figlia della regina
Elisabetta in carrozza. Non so quanto duri il dramma, a me sembra
un’eternità ma forse sono pochi minuti. Con un sibilo da
gomma bucata l’aereo plana dolcemente fino a terra. L’addetto
alla giostra ci riempie d’improperi, io tengo lo sguardo basso
del colpevole, mia sorella ha la faccia tosta di rispondergli, sì
vabbè, ma voi aggiustatela ‘sta baracca!, prima di
sgattaiolare via.
Sulla
strada verso casa lei canticchia allegra, mentre io ho l’animo
in subbuglio. Sì, mi è piaciuta da matti la fiera ma
qualcosa, forse la disavventura patita o il pensiero di dover mentire
a casa, m’impedisce di essere felice. E questa incapacità
di godere appieno dei momenti belli me la porto dentro ancora oggi
che sono all’altro capo della vita.
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