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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Le armi aliene, di Leonardo Colombi 14/06/2007
 

Le armi aliene

 

 

 

“Ci annienteranno…si si…ci uccideranno tutti…hihiiuhuh…”

E poi silenzio improvviso, occhi sbarrati, mani strette sulle braccia in un disperato tentativo di abbracciarsi e trattenere il tremito che continuava a scuoterlo.

Sssht…calmati Phil, è tutto finito. E' tutto finito…”

Il sussurrare dolce del medico da campo che cercava di tranquillizzarlo.

Era tutto inutile.

Non dopo quello a cui era scampato.

Sbuuumm!

 

Nuovamente quel rumore, di nuovo quei colpi a rammentare al povero Phil l'inferno dal quale, per miracolo, era riuscito a sopravvivere.

“Non c'è scampo, non c'è scampo, non c'è scampo…”

Continuava a ripetere senza sosta dondolando avanti e indietro. Gli occhi fissi nel vuoto, totalmente sopraffatto da quanto vissuto sul campo.

L'intero suo battaglione spazzato via in un istante.

Un colpo, un singolo colpo da parte di quelle potentissime armi aliene e in un attimo si era trovato da solo, pallido e tremante, incapace di fare alcunché.

I suoi compagni attorno erano stati massacrati e giacevano a terra privi di vita. Inerti.

Poi un nuovo colpo, potente quanto il primo ma meno preciso: Phil non se n'era nemmeno accorto ma la morte l'aveva solo sfiorato.

E infine la salvezza mentre veniva recuperato dai nostri che urlavano concitatamente mentre lo riportavano al sicuro nella base.

Chi poteva sapere se si sarebbe mai ripreso…

 

Aaaa-ttenti!”

 

Il sergente Hauc era arrivato.

Sarebbe stata una questione di attimi e poi il successivo plotone, il nostro, sarebbe sceso sul campo sotto la sua guida.

Sperava di avere maggior fortuna.

Nessuno di noi parlava, ciascuno impegnato a prepararsi per la battaglia, solo con i propri ricordi e con le proprie paure.

Incubi preventivi ad amplificare il timore di quel che ci aspettava là fuori contro quegli alieni giganti.

Lo sapevamo fin troppo bene: la situazione era disperata.

Poche le possibilità di sopravvivenza.

Dovevamo resistere, e sacrificarci per guadagnare tempo fino all'arrivo dei rinforzi.

“Bastardi alieni giganti!”, imprecò Hauc sputando per terra.

 

Il montacarichi si posizionò di fronte a noi.

Seguendo gli ordini del sergente ci disponemmo in formazione.

Io ero nelle retrovie mentre ad altri il privilegio di stare nelle prime linee dello schieramento a triangolo.

Privilegio, tsk, un biglietto di prima classe per l'aldilà vinto alla lotteria della sfiga…

Erano i primi a fronteggiare l'inferno.

Lo sapevano.

Ma non potevano farci niente: quegli gli ordini, quello il loro destino.

 

Il montacarichi entrò in funzione portandoci sempre più vicini all'uscita della nostra base.

La tensione nell'aria era palpabile.

Nessuno di noi parlava più.

Jim estrasse un simbolo sacro che teneva sotto la sua uniforme bianca, lo baciò chiudendo gli occhi e stringendolo forte tra le mani confidando nel suo credo.

Qualcun altro invece tremava oppure c'era chi se la faceva addosso.

Jurgen non riuscì a trattenere lo stomaco e vomitò di fuori la propria tensione. Qualche spruzzo di vomito biancastro che cadde a terra e sulla spalla di Arun, di fronte a lui. Anche Arun quindi, per la tensione e quell'odore rancido, vomitò quel poco che aveva in stomaco sulla pensilina traballante.

Avevamo paura.

Anche Hauc, il nostro sergente.

Tutti.

 

Sbuuumm!

 

Nuovamente quel rumore, quei colpi.

Ma era più vicino questa volta.

Alla fine il montacarichi si fermò.

Era ora.

La sbarra di fronte a noi iniziò a sollevarsi lentamente lasciando filtrare la luce dandoci il benvenuto sul campo di battaglia.

“Coraggio ragazzi”, incitò Hauc nell'oscurità che lentamente schiariva.

Di fronte a noi, a qualche iarda di distanza, i nostri nemici vociavano, urlavano, saltavano.

Non avevano perso tempo quei maledetti giganti bastardi!

Uno dei loro proiettili già rotolava verso di noi attraversando a tutta velocità il campo liscio e privo di ostacoli che ci separava da loro.

“Rimanete compatti!”, lo stupido ordine impartito dal sergente pochi istanti prima dell'impatto.

Non c'era tempo di evacuare, nemmeno di schivare quel colpo micidiale: in quell'antro da poco venuto alla luce eravamo in trappola!

Il proiettile era su di noi ormai, minaccioso, un'enorme sfera striata di colore antracite e verde.

La morte ci veniva incontro rotolando.

E noi eravamo lì, tremanti e impauriti nelle nostre divise bianche, gli occhi che andavano ora al sergente ora a quell'immenso proiettile che ci stava piombando addosso in quegli attimi di puro terrore. Eterni.

 

Sbuuumm!

 

Il colpo li investì in pieno, spietato, violento.

Alcuni di loro volarono all'indietro, altri furono sbalzati di lato.

Nessuno rimase integro, nessuno sopravvisse per raccontare agli altri cosa fosse successo.

Fu un massacro, una lotta impari contro le armi di quei giganti alieni.

E mentre le ultime forze lo abbandonavano, mentre la vita gli passava dinnanzi da quando, verde, mise le prime foglie, per un attimo lui li osservò esultare.

“Strike”, fu l'unica cosa che li sentii mormorare nel loro insulso linguaggio.

Poi una sbarra scese a trascinarlo nell'oblio, a trasportarlo via da quel liscio campo di morte su cui molti erano caduti invano.

“Un altro strike!?”, nuovamente le loro voci, “Ormai sarai già oltre i 100 punti eh Bob? Sembri proprio fatto per il bowling tu!”

 

 

 

 
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