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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Io, di Annalisa Ferrari 21/06/2007
 

Io

 

Te se'na stèla” lo ha sempre detto la nonna Maria perché ero la nipotina preferita.

“Un angiul del paradis” lo diceva la nonna Piera, che ha i baffetti e quando mi sbaciucchia punge, ma insomma, è la mia nonna anche lei.

Beh, quando ti ripetono che sei una stella o un angelo del paradiso, e nessuno, ma proprio nessuno, si sogna mai di dirti che sono tutte storie, ecco, alla fine ci credi. Io, giustappunto, ci credevo. Così tanto che non ho mai avuto dubbi su che cosa ero: una persona mooolto speciale.

Poi, naturalmente, sono andata all'asilo. Avevo tre anni (appena compiuti), e un grembiulino rosa con il fiocco, e il cestino di Winnie Pooh. La mamma odia Pooh, da tanto è stupido, e anche a me, ora che vado alle elementari,  non piace più molto, ma allora sì. Arrivo lì e arriva suor Luigina. La mamma se ne va e la suora dice di mettersi in fila.

Ma io ero un angelo, e certo un angelo non si fa comandare così. Io sono rimasta ferma. Così è successo che Suor Luigina mi ha preso per un braccio e mi ha messo in fila lei, e io non le ho detto niente ma ho pensato che le suore non dovrebbero trattare così gli angeli. E poi, quando abbiamo lavorato con i colori a dita, Alex, che per fortuna ora non è più in classe con me, mi ha dato uno spintone e mi ha rubato l'azzurro, che appunto è il colore degli angeli, e il giallo, che è il colore delle stelle, e mi ha anche buttato in terra. Allora sono andata subito a dirlo alla suora, ma non ho pianto, perché un angelo non piange mica così per niente, e le ho detto di mandare subito all'inferno Alex, che aveva picchiato un angelo, ma lei mi ha risposto di non fare la stupidina e di andare a dipingere con il rosso, che giustappunto era il colore del diavolo. L'ho detto alla mamma, che io in quell'asilo non ci potevo più andare, ma lei si è messa a ridere e mi ci ha mandato ancora.

Così ho imparato che anche gli angeli prendono i pugni e nessuno li ascolta.

E poi sono andata alla scuola elementare, e adesso che faccio la terza, la nonna Piera non mi chiama più angelo perché dice che sono grande, e la nonna Maria non mi chiama più stella perché glielo dice alla Bianca che è piccola e non cammina ancora. Adesso che ho otto anni (e sette mesi), ho imparato tante cose: a scrivere “giustappunto”, che è una parola fantastica; a recitare le tabelline e anche che cosa dice la pioggerellina di marzo che picchia argentina. Ma soprattutto, credo di aver imparato chi sono io.

All'inizio è stato un po' difficile, e mi sono arrabbiata con le nonne che mi hanno raccontato per così tanto tempo le bugie, ma poi mi è passata. E adesso io lo so chi sono io: sono solo una bambina, che si chiama Angela ma non è un angelo ma non fa niente lo stesso. Anche essere una bambina con due nonne, e la mamma e il papà, e una sorella grande che non vuole che le tocchi i trucchi e una cugina piccola che adesso dicono “stella” solo a lei, che poverina non sa che non è vero, anche così non sto mica male.

Giustappunto.

 

 
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