I racconti di Versailles – N.5 – di Bruna Alasia
UN RE TRA
INCUDINE E MARTELLO
Racconto quinto
Entrando in sala da gioco al castello di Fontainebleau
dove la corte si era trasferita Mercy-Argenteau vide la Delfina
alle prese con il cavagnol,
una sorta di lotto del quale era appassionata. Maria Antonietta accorgendosi di
lui gli fece ansiosamente cenno.
-
Avete delle nuove? – chiese
quando l'ebbe raggiunta
-
Lasciate il gioco e seguitemi.
L'ambasciatore la condusse in una sala appartata, con esasperante
lentezza frugò in una tasca interna dell'abito e trasse una busta che con
solennità depose tra quelle mani infantili.
-
Gott sei dank! * - esclamò
Maria Antonietta ed eccitata corse a sedersi su una
poltroncina.
Il fidato
Mercy le aveva portato una lettera dell'imperatrice
madre: che gioia quelle parole, come scaldavano il cuore, prediche sagge!
Geniale Mercy che riusciva a far recapitare la
corrispondenza più riservata senza essere intercettato e in brevissimo tempo.
Appoggiato a uno stipite della porta il
diplomatico osservava sua altezza. Claude Florimond, conte di Mercy-Argenteau,
dopo il matrimonio tra Maria Antonietta e Luigi Augusto, era riuscito a mettere
in piedi per l'imperatrice Maria Teresa un'organizzazione postale che aveva del miracoloso: in
tempi di spie al soldo di chiunque i canali normali non permettevano segreti,
lo stesso Luigi XV e i suoi ministri avevano seminato informatori in tutta
Europa, ma i corrieri austriaci e ungheresi reclutati dall'ambasciatore
sapevano astutamente eludere ogni controllo, così diventava possibile scriversi
con confidenza e sincerità.
La delfina scorreva
le parole materne del 2 dicembre 1770: “Andare
a cavallo. Fate bene a pensare che a quindici anni non lo approverò mai. Le
vostre zie lo hanno fatto a trenta…. Montare a cavallo guasta la carnagione, la
vostra corporatura alla lunga ne risentirà… E' pericoloso e cattivo se si
portano in grembo dei bambini, cosa a cui siete
chiamata, cosa da cui dipende la vostra
felicità… Promettetemi che non andrete mai a caccia a cavallo…”
Lesse
fino alla fine. Caccia a cavallo? Se ci aveva provato era per piacere al
marito, per condividere con lui qualcosa. Da che si erano sposati Luigi cercava
di far fuori il cinghiale due o tre volte a settimana, saputo che prima
accadeva più di rado era rimasta senza parole.
Erano così diversi: Maria Antonietta aveva orecchio per la musica,
volentieri prendeva lezioni di clavicembalo, amava il canto, la danza, la
recitazione al punto da fantasticare un palcoscenico solo per lei, si divertiva ai balli in
maschera, portava parure e abiti sfarzosi, ma in quelle occasioni lui si
annoiava e se non sbudellava qualche animale si rinchiudeva a leggere.
Pericoloso cavalcare se si è incinte? Non rischiava certo di mettere al mondo eredi! Sospirò e piegò la lettera nascondendola nel
corsetto.
-
Grazie.
L'
ambasciatore esitò.
-
Posso fare altro?
-
No, avete già fatto tanto...
Certo un figlio non poteva metterlo al mondo da sola, mica era colpa
sua: perché toccava sempre alle donne essere ripudiate? Quell'
idea la dispose al cattivo umore: il gioco l'aveva stancata, meglio ritirarsi.
Si rese conto che Luigi dormiva da troppi giorni sul lato opposto della reggia, la
sistemazione della camera comunicante con la sua era interminabile come il
maglione che sferruzzava per il nonno: come mai?
Non sarebbe stato facile quella notte prendere sonno, chiarirsi
necessario. Ma attraversare il castello le metteva paura, i corridoi al buio,
la galleria, apparivano spettrali: si sarebbe fatta accompagnare da madame Campan, così discreta.
-
Madame – le disse – portatemi da Monsignore il
Delfino…
Madame Campan la guardò interrogativa.
-
Accompagnatemi ho detto…
-
Subito altezza!
Centinaia di stanze a Fontainebleau di cui
molte disadorne e in ristrutturazione, i camini spenti in quel gelido inverno
facevano apparire senza vita una parte del palazzo. Raccolse la mantella
intorno al corpo mentre Madame Campan,
preceduta dal guardiano con la torcia, chiedeva al valletto di annunciare
l'arciduchessa a Monsignore. Maria Antonietta aveva freddo e soprattutto era in
ansia: spronata dalla lettera della madre stava facendo forza a se stessa.
Difficile problema per i suoi quindici anni, ma il regno da ereditare aveva
otto secoli: doveva. Percependo tensioni misteriose per difesa andava
all'attacco.
Il
servitore fece passare. Luigi le venne incontro e con lo sguardo ordinò di
essere lasciato solo. Sembrava sulle
spine, accanto alla moglie la sua timidezza si accentuava.
-
Accomodatevi Madame, come mai a quest'ora? Credevo
foste al gioco…
-
Volevo dirvi
delle cose importanti.
Lui
raschiò la gola. Antonietta esordì con
calma disperata:
-
E voi? Come mai non venite a giocare? Cosa fate qui
tutto il tempo?
-
Io? Io… - si confuse Luigi – sto studiando delle carte…
-
Carte di cosa?
-
Geografiche…
-
Geografiche?
- Non
vi ho mai fatto vedere la Descrizione della foresta di Compiégne?
- L'avete
fatta voi, lo so ma… io volevo sapere
altro… come mai vi siete sistemato così
lontano? – non c'era astio nella sua voce piuttosto un'afflizione che non
poteva essere repressa -
Siamo a Fontainebleau da settimane e la
vostra camera, quella che comunica con la mia, è sempre sottosopra… ve ne state
quaggiù e non mi degnate di una parola…
Aveva le
lacrime agli occhi e il delfino la fece accomodare in poltrona:
-
Vi prego Madame… pensavo che stare separati ci facesse
bene…
-
Bene? – allargò gli occhi smarrita
-
Certo, lo dice monsieur
de La Vauguyon…
- Il
vostro tutore dice questo?
-
Dice che i bambini nati da un padre troppo giovane
sono di costituzione delicata e muoiono presto… dice che il padre stesso si espone al
rischio di divenire un libertino…
Maria Antonietta sentì girare la testa, non sapeva se quelle argomentazioni
avessero fondamento ma Mercy-Argenteau
l'aveva messa in guardia dal tutore.
-
I bambini muoiono e voi diventate un depravato? – arrossì – mia madre
dice tutto il contrario, dice che sono fonte di felicità… e mia madre é una
persona che si preoccupa molto di voi e di me…
-
Non ne dubito – trasalì Luigi
Il tono della Delfina ora era sospettoso:
- Ma è La Vauguyon
che si occupa della sistemazione delle
stanze?
-
Si perché?
-
E non è strano che proprio la vostra non sia ancora
pronta? Ne avete parlato a vostro nonno?
-
Per carità, no! Il re non deve entrarci in queste
cose… vi prego!
-
Bisogna parlargli invece, bisogna sapere se La Vauguyon
ha ragione… a me dicono il contrario….
***
I due sposini al centro di un enorme potere, di equilibri delicatissimi
per la pace tra gli stati, di fortune economiche incalcolabili, erano pedine
sullo scacchiere politico e la loro unione poteva influenzare positivamente o
negativamente questo o quel partito: così sulla loro pelle per tornaconto personale venivano
architettati i più impensati intrighi.
C'era ad esempio il duca di Choiseaul, artefice di quel matrimonio che consolidava
l'alleanza tra Francia e Austria, che nel successo della relazione leggeva il
proprio trionfo e la propria lungimiranza diplomatica. All'opposto il duca di La Vauguyon detestava tanto gli austriaci
quanto gli choiseaulisti, i quali ricambiavano definendolo “furbo,
cattivo e bacchettone”. L'ambasciatore Mercy-Argenteau
aveva tentato di aprire gli occhi alla sua pupilla sulle brame del tutore
quando La Vauguyon, divenuto primo
gentiluomo di camera e sovrintendente della casa del Delfino, aveva piazzato intorno a sé solo persone di strettissima fiducia cercando di fare altrettanto con l'entourage
dell'arciduchessa all'unico scopo di dominarla,
tal quale succede oggi in tutti i luoghi di potere. Così la Vauguyon
era riuscito a far ritirare all'abate Vermond,
precettore di Maria Antonietta, il diritto di confessarla. Aveva poi cercato di
metterle accanto come dama la propria nuora, cosa a cui la Delfina si era opposta e
il suo infelice marito, combattuto tra il desiderio di piacere alla moglie e di
non dispiacere al tutore, si era
comportato da perfetto Ponzio Pilato. Dopo avere
tentato invano di estendere la sua influenza su Maria Antonietta il duca di La Vauguyon
accarezzava ora l'idea di un ridimensionamento dell' austriaca, finanche di un
ripudio, cosa che gli avrebbe dato un prestigio enorme e avrebbe decretato il
suo trionfo sulle fazioni avverse.
I
disastrosi consigli propinati da La Vauguyon
per “educare” Luigi nascevano dunque, questa volta come altre, da una
volontà manipolatoria dalla quale persino i re sono
obbligati a difendersi.
***
Quando Maria Antonietta, con decisione e coraggio, riferì tutto a Luigi
XV, il Beneamato si adirò: non ebbe
dubbi che si trattasse di un intrigo, che ci fossero persone capaci di comprarsi
la complicità dei muratori per ritardare i lavori e qualcuno mirasse a
guadagnarci dal fallimento del matrimonio dei nipoti. Fece una sfuriata e, come
per incanto, la ristrutturazione della camera terminò in una sola settimana. I
due sposini presero così a dormire nello stesso letto, sebbene lui lo faceva solo per dovere e, dopo essersi piazzato accanto alla
moglie, a volte scivolava nel sonno senza averle rivolto la parola. Maria Antonietta
pur sentendosi a disagio, continuando a chiedersi cosa ci fosse
che non andava in lei, era tuttavia
contenta di essere riuscita a salvare a Fontainebleau
almeno le apparenze.
Il giorno
che tornarono a Versailles il Delfino tirò un sospiro di sollievo: poteva riprendere le
solite abitudini, essere meno notato se stava solo, isolarsi a leggere in santa
pace, ricominciare il lavoro con mastro Gamain, il
fabbro specializzato in serrature e chiavi che gli stava insegnando il mestiere
e nella cui officina aveva allestito un comparto tutto suo. Luigi ci aveva
messo una forgia, un banco, due incudini, un'abbondanza di martelli, pinze e
strumenti utili. Gli piaceva la bottega di Gamain con
quell' odore
particolare di ferro, di fuoco, di ruggine, di limatura, la sua umidità e il
calore, la duttilità dei metalli, il fornello che li arroventava.
Gamain sorvegliava
il suo apprendista con severità.
-
Maestà che cavolo combinate?! - protestava di fronte all'imperizia e alla
goffaggine del ragazzo - Questa è una chiave, una chiave… avete presente la
differenza tra una chiave e una brioche?
Stile ci vuole, il colpo esatto… state facendo un disastro!
Sua
Altezza ricominciava diligente. Arroventare e fondere. Un colpo, due colpi. Con
aria di compatimento Gamain gli toglieva l'attrezzo
dalle mani per mostrargli quale fosse la vera classe.
-
Ecco vedete? Così si fa! Ora sta diventando una
chiave… sennò è una focaccia…
L'allievo
guardava, taceva e apprendeva.
-
Cristo! Avete capito come si fa o no? – insisteva
burbero Gamain - Provate e metteteci attenzione!
Docile
sua Maestà ricominciava. A Luigi piaceva forgiare: con le pinze deponeva il
blocchetto incandescente sull'incudine e poi lo martellava, lo vedeva
scintillare, gemere, spasimare tra le sue mani. C'era un rapporto erotico con
quel lavoro, una sensualità che non riusciva a sfogarsi in altro modo, un'aggressività che
si scaricata a colpi di fatica e sudore. Quando stremato andava a letto dormiva
profondamente. E tutto ciò era la sua salvezza, la difesa inconscia da
una depressione antica che il matrimonio aveva aggravato.
***
Il duca di La Vauguyon,
dopo l'imbarazzante intermezzo di Fontainebleau,
era in rotta con Luigi ma cercò di riguadagnare terreno presso Maria Antonietta
che in fondo non lo odiava, semplicemente non si fidava di lui. Lei era gentile , formalmente disponibile e fingeva di ascoltarlo: nei
fatti era rovinato perché quello che diceva non era più autorevole. Un
pomeriggio, alla fine della lezione di clavicembalo della
Delfina, La Vauguyon
esclamò:
-
Maestà suonate in maniera incantevole… anche vostro
marito dovrebbe applicarsi… ho cercato più volte di spronarlo ma senza
risultato…
-
Luigi non è adatto a queste cose… sarei già
contenta che volesse prendere qualche lezione di danza…
La Vauguyon, fatto
tesoro del suo desiderio, si recò dal marito credendosi portatore di chissà
quali opportunità:
-
La danza? Cosa volete che mi importi della danza! -
ribatté Luigi infastidito - vi pregherei da oggi in poi di non mettere più
bocca nei miei affari privati…
L ‘altro constatando la sua stella in discesa
pensò che stava invecchiando.
-
Siete strano maestà – sibilò tuttavia livido –
preferite le serrature e i catenacci... vi sembrano lavori degni di un re?
-
Non ricominciamo! E poi mio nonno, non amava
cucinare? Non lavorava l'avorio, il legno di rosa, con mademoiselle
Maubois?
La Vauguyon si sentì
messo all'angolo e non osò replicare.
***
Il Gran Canale, bacino a forma di croce lungo un chilometro ai piedi della
reggia, dove con il bel tempo si svolgevano feste solcate da gondole, negli
inverni più rigidi ghiacciava: dall'alto e da lontano lo si
ammirava dentro il parco come un vassoio lucido. La vegetazione, di un verde
più cupo, grondava di neve che avvolgeva le statue.
Dopo una cavalcata Luigi, tornando verso il
castello, ammirò quei boschi: gli davano un senso di vertiginosa libertà,
quella che non aveva. E d'improvviso gli venne in mente La Vauguyon,
quando gli faceva lezione con aria ispirata quasi fosse Socrate. Una
conversazione nella quale squillavano i concetti di liberté, egalité: “La libertà è uno dei diritti
degli uomini, il governo è stato stabilito per conservarla”. Ma gli sembravano
vuote quelle frasi visto che il suo tutore aveva impiegato tutte le energie per
limitare la libertà degli altri. Si arrestò, guardò una scultura della fontana
di Latona: un contadino trasformato in ranocchia, il
getto che schizzava dalla sua enorme bocca era ghiacciato e disegnava nell'aria
una curva: “stalagmite ”, rifletté. Amava tutto quello
che era natura, geografia, calcolo, misurazione. Quando La Vauguyon
aveva assecondato questa sua inclinazione gli aveva voluto bene, ma solo
allora. Se fosse stato possibile, pensava confusamente ora, avrebbe appreso un
mestiere nel campo della cartografia o dell'ingegneria o delle scienze
naturali, se diventare re non fosse stato il suo dovere. Rammentò che veniva condotto ogni mercoledì e sabato dal tutore e fu
contento che quei tempi fossero finiti. Gli era arrivato all'orecchio come La Vauguyon
avesse soprannominato lui e i fratelli con quattro effe: Borgogna “il fine”,
Provenza “il falso”, Artois “il franco” e lui “il
fiacco”. Dunque non lo stimava? Che andasse al diavolo!
Di colpo
un ricordo solleticò la sua ilarità al punto che, vedendolo sorridere, uno
scudiero chiese meravigliato:
-
Avete visto qualcosa Monsignore?
-
Ero soprappensiero…
Gli erano
tornate in mente le Massime morali e
politiche tratte da Telemaco sulla scienza del re e la felicità del popolo. Il romanzo Le avventure di Telemaco che Fenelon
pubblicò a Parigi nel 1699 per istruire l'erede al trono del Re Sole, ispirato
al viaggio di Telemaco nell'Odissea, oggi appare ingarbugliato e noioso ma
allora presso l'intelligentia
di corte era considerato un capolavoro pedagogico. Delle massime tratte dal
Telemaco Luigi Augusto stampò 25 esemplari che con grande orgoglio corse a distribuire a
tutta la famiglia e ai dignitari più importanti. Il testo conteneva una critica
severa dei sovrani moralmente indegni che col cattivo esempio mettevano in
pericolo la regalità, nella
quale Luigi XV si era pienamente riconosciuto.
Presto
chiamò a se il nipote.
-
Signor Delfino – sibilò quando
il bambino gli fu di fronte – con questo tipo di lavori avete chiuso, toglietevi dai piedi!
La Vauguyon
indirettamente, rifletté Luigi divertito, era riuscito a rompere le scatole
persino a suo nonno!
***
Antoine Paul Jacques de Stuer, di Quelén e di Cassade, conte e poi
duca di La Vauguyon, marchese di Saint-Mègrin, era nato nel 1706 a Tonneins,
una cittadina adagiata su bastioni di roccia a picco sulla riva destra della Garonna. Il suo viaggio dalla provincia a Versailles era
stato lungo settecento chilometri, la sua marcia verso il potere facilitata,
oltre che dal caso, da un insieme di caratteristiche psicologiche che anche
oggi servono al
successo: benché si professasse religioso e appartenesse al partito dei devoti, dietro le apparenze era interessato,
privo di scrupoli, determinato, forte, maligno, oltremodo adulatore,
presuntuoso e furbo ma, di conseguenza, poco intelligente. Da qui, dopo una
carriera nell'esercito, gli si spalancarono le porte ambite della corte.
Ambiente a cui si sentiva destinato tanto da credere
lui stesso alla favola che si era inventata: una parentela di sangue coi Borboni della quale si gloriava. Ma anche gli uomini di
smisurata vanità non sfuggono alle leggi universali che rendono ciascuno
esattamente uguale all'altro.
Quel
giorno Luigi Augusto stava rientrando dalla caccia. Aveva fame e non vedeva
l'ora di arrivare. Il bottino era ricco di selvaggina, pensava a quelle carni
succulente. Si stupì quando al cancello vide la
servitù gesticolare concitata nella sua direzione. Preoccupato accelerò il
passo chiedendosi cosa
fosse successo. Sulla porta smontò da cavallo. Maria Antoniettà gli andò incontro, gli prese la mano e disse:
-
Monsignore un attimo di ritardo e non avreste più
fatto in tempo…
-
Per che cosa?
-
Gli hanno appena dato l'estrema unzione…
-
A chi?
-
Al duca di La Vauguyon…
Luigi
rimase in silenzio. In cielo si sentì un corvo gracchiare.
-
Avete dimenticato quando
origliava alle nostre porte? – chiese alla moglie
-
Ormai se ne sta andando… - ribatté lei turbata.
Luigi
provò un senso di irrealtà e di vuoto, si sentì vacillare ma
non fece un passo.
-
Andate da lui Monsignore – insisté Maria
Antonietta.
A un
tratto gli parve che le sue gambe avessero un moto di ribellione:
- Non
voglio – rispose duro - fate preparare la cena.
E si
allontanò, senza versare una sola lacrima, in direzione contraria.
Il giorno dopo Antoine Paul
Jacques de Stuer, di Quelén e di Cassade, conte e poi
duca di La Vauguyon,
marchese di Saint-Mègrin, portò con se nella tomba
quei titoli nobiliari che i maligni dicevano si fosse affibbiati da solo quando
faceva parte dell'istituto che assegnava onorificenze e signorie, era il 4
febbraio 1772.
*Gott sei dank = Dio sia
ringraziato!