RITORNO A CASA
di Gordiano Lupi
Da quanti anni non tornavo a Bolgheri e da
quanto tempo non posavo i miei occhi stupiti sul duplice filare di cipressi che
partono da San Guido e accompagnano i passi lesti del contadino che torna dai
campi! E neppure credevo possibile, un giorno, di trovarmi nuovamente a
cogliere la magia di un fanciullesco tuffo nel passato, ormai così lontano dal
quotidiano ripetersi dei soliti eventi…..
Per quelle antiche strade mi pareva ancora di sentire il richiamo di
mia madre, che preoccupata mi gridava: “Francesco, non ti allontanare..”
Ma dove sarei potuto andare cara mamma, che ancora mi sorridi dallo
specchio dei ricordi? Forse al cimitero di nonna Lucia a giocare con i fuochi
fatui, oppure nel cuore di un'assolata campagna dove il sapore del mare lontano
arrivava con il fresco vento di maestrale. Non esistevano pericoli di sorta nel
mio paesello romito, dove potevo sentirmi padrone assoluto di un mondo composto
da piccolissime emozioni.
La mia vita adesso correva per le strade di Milano, tra tensioni,
corse per aule giudiziarie, dove si dipanava la mia professione forense e
contrasti continui in una famiglia che probabilmente non avevo mai sentito in
sintonia con il mio modo di essere.
Mia moglie Serena era un funzionario importante di una grossa azienda
multinazionale e non aveva tempo per la casa, che considerava alla stregua di
una pratica di poca importanza, da archiviare e sistemare al più presto.
Di conseguenza i miei due figli, Giovanni e Giacomo, di dieci e sedici
anni, erano permanentemente in affitto da una tata che li accudiva in nostra
assenza. I nostri genitori se ne erano andati da tempo, restava solo mia madre
e lei era il triste motivo del mio ultimo viaggio a Bolgheri.
Al telefono una voce mi aveva detto: “Francesco devi tornare. Tua
madre è morta. Ha chiesto a lungo di te, ma non c'è stato il tempo per fare
qualcosa. Tutto è avvenuto così all'improvviso…”
Era Marco, il mio amico d'infanzia e si diceva dispiaciuto di dovermi
dare proprio lui quella brutta notizia.
Cara mamma e pensare che tu il tempo per me lo avevi sempre trovato!
Mi hai lasciato da lontano, mentre ero intento a pensare alle mie scartoffie,
ai miei dissidi con Serena, ai miei figli che non vedo abbastanza, mentre tu
non ti sei mai allontanata da quest'angolo dorato di Alta Maremma e sei sempre
rimasta a specchiare i tuoi sogni nel paradiso di quotidiane sensazioni
eternamente uguali alla dolcezza dei tuoi sguardi.
Mentre attraverso i cipressi mi rivedo bambino ed ascolto le tue fiabe
che parlano di una terra incantata, di un mare in burrasca solcato da pirati,
di maghi e fate che soccorrono i ragazzi in pericolo.
Ricordo il tepore del focolare nella nostra casa di campagna ed i
bagni nella tinozza con l'acqua tenuta a scaldare sulla stufa, il calore
semplice e naturale di un Natale domestico in una dimensione rurale. Quanto è
diversa la mia vita a Milano! Veramente poco mi è rimasto tra le mani che possa ancora ricordare quella che è la vera vita!
Quasi senza accorgermene mi ritrovo in chiesa, nella piccola cappella
del borgo. L'omelia del parroco proprio non riesco a sopportarla, la trovo
piena zeppa di frasi fatte e luoghi comuni, composta solo da un frasario di
pura circostanza. Smetto di ascoltarla infastidito e la mia mente vaga oziosa
verso il mare di Castagneto per ricordare la magia dei tuffi sulle spiagge
adiacenti la verdissima pineta.
Quante estati spensierate ho passato su quel litorale verdeggiante e
bruciato dal sole! Quante corse affannate dietro ad un pallone, da fanciullo e
dopo, fatto più grande, a caccia dei sorrisi di nordiche turiste che venivano
da paesi lontani! Mi vien fatto solo di pensare che
mia moglie era una di loro. Non è stato un buon affare, mi dico, non lo è stato
davvero.
Il vecchio proverbio fatto di saggezza locale, che mio padre soleva ripetermi quando ci riunivamo al desco per la cena, era
adesso quanto mai attuale. “Moglie e buoi dei paesi tuoi, ragazzo! Ascolta quel
che ti dice un vecchio pazzo!” Mio padre era veramente un tipo originale, o
almeno così era ritenuto da tutti a Bolgheri. Aveva
un posto importantissimo in una ditta di Novara e lo aveva lasciato ad appena quarant'anni per ritornare al paese, dove si era messo a
fare il contadino sulla sua vecchia terra. Mia madre, tranquilla e fiduciosa
nel suo uomo, lo aveva seguito, come sempre: con lui sarebbe andata in capo al
mondo, perché quell'uomo un po' bislacco era la sua
vita.
Il cimitero era nel punto più alto del paese, vicino ai boschi ed alle
colline, luoghi remoti dai quali viene prodotto il
vino più buono del mondo, quel Sassicaia che ti
brucia nelle vene ad ogni sorso che riesci a gustare e che ti fa assaggiare
l'infinito, proprio come i vini del sud più corposi e forti.
Vidi la bara calare nella terra, strinsi qualche mano e versai molte
lacrime. Come al solito ero solo, mia moglie non aveva
tempo neppure per partecipare al dolore ed i bambini non avevo voluto condurli
con me, perché, finché era possibile, volevo risparmiare loro spettacoli
tristi. Avevo sbagliato? Probabilmente sì, perché in vita mia le decisioni giuste
erano state veramente poche, come quella pazzia di sposarsi e tornare a Milano…
Chi me l'aveva fatto fare? Assaporavo la mia Maremma come un vino da gustare
lentamente alla fine di un lauto pasto.
La casa dei miei avi mi aprì le porte come un abbraccio dolcissimo.
Rividi le cose della mia infanzia: la mia stanza, il mio letto con i giochi ed
i libri preferiti ancora al solito posto, la cucina con la vecchia stufa a
legna, la sala con il caminetto e la campagna che si apriva maestosa dalla
finestra di sala. Era stata la vita di mio padre: una scelta folle, per alcuni,
tremendamente logica ed irrinunciabile per lui, che amava la sua Bolgheri più d'ogni altra cosa al mondo. E mia madre aveva
conservato tutto in ordine, in memoria del suo ricordo, sopravvivendo al suo
uomo e portando nel cuore la lieve malinconia di un passato che rafforza la
voglia di vivere un presente di eterna solitudine.
Suo figlio era lontano ed infelice e non sarebbe più tornato da lei.
La sua vita era in una città vera, dove avrebbe affermato le sue capacità di
avvocato. La nuora non le era mai piaciuta: troppo altezzosa e cittadina, tanto
da non voler mai fermarsi a dormire in quella che lei reputava una casa di
campagna.
Squillò il cellulare. Risposi infastidito, come sempre. Non mi sarei
mai abituato a quell'attrezzo infernale, che mio
padre definiva “il trillo del diavolo”. Era mia moglie che mi chiedeva notizie
e si informava del mio rientro. Risposi con brevi frasi di circostanza e chiusi
al più presto la comunicazione.
Mi affacciai al balcone e sporsi i miei occhi oltre l'orizzonte. Il
sole stava tramontando al di là dei cipressi, dove il mare fa intravedere i
suoi flutti quando è spinto dal vento di libeccio.
Avevo sbagliato tutto in vita mia, ma adesso era giunto il momento di
seguire gli istinti, cominciando a percorrere i sentieri impervi tracciati
dalla voce del cuore. La morte di mia madre era servita ad aprirmi gli occhi.
Il ricordo di mio padre che era tornato a Bolgheri
dal nord, rischiando sulla sua pelle per una vita diversa e più consona al suo
modo di pensare, aveva fatto il resto. Non mi sarebbe
dispiaciuto se in futuro al mio paese mi avessero chiamato
“il figlio del pazzo”, strabuzzando gli occhi di fronte al racconto della mia
scelta di vita.
Mia moglie mi avrebbe atteso invano quella sera.
La casa aveva bisogno di essere sistemata, i campi dovevano trovare un
nuovo impulso per tornare a produrre come un tempo.
Il mio futuro era lì, tra quelle antiche mura ed il cimitero di nonna
Lucia, tra gli schizzi lontani del salmastro ed i cipressi altissimi ed
imponenti, che toccavano la parte inferiore del cielo e dipingevano sensazioni
insolite sugli occhi del passante distratto.
Il mio futuro avrebbe avuto inizio dai ricordi del passato.
Era una scommessa, era la vita di mio padre che tornava sui miei
passi. Domani sarebbe stato un nuovo giorno e sarei finalmente tornato a
sentire il canto del gallo che disperde la sua voce nei campi, sino alle prime
case del mio antico paese.