IL NATALE DEL CENTAURO
di Luigi Panzardi
- Lunghezza variabile dei condotti
d'aspirazione regolata da un sistema elettronico.
- Freno a disco anteriore e
posteriore.
- Telaio in
acciaio cromato.
- Ruota anteriore a sezione larga.
- Pedane retrattili.
- Potente motore raffreddato a
liquido.
Prezzo: euro 2950,00 in contanti.
= Potente! =
Potente! =
Fonemi che gli martellavano il
cervello dolorosamente. Dietro a questo dolore la memoria di Simone riscriveva
l'elenco delle dotazioni così come lo aveva letto la prima volta, quando era
stato ammaliato da quell'animale imponente. I lucidi maniglioni gli erano apparsi vedenti e che lo scrutavano
beffardi. Il grosso faro alogeno gli ammiccava un sorriso erotico.
Non poteva cavalcare subito la moto e
portarsela nel garage, dove il padre custodiva la vecchia automobile, per quel
contante che non possedeva. La sera era calata da poco, portando in dono una
brezza profumata di mare. Nel ricordo, i lampioni che percorrevano il lungo
viale avevano ora un alone di luce gialla, odiosa e nauseante d'inquinamento
cittadino. Da quella sera tutto era incominciato.
L'accordo con l'amico che la
possedeva fu di poche serie parole.
“Se non la vendi nei prossimi tre
mesi, sarà mia. Ti darò tutta la somma in contanti. Ma tu vedi di non venderla.” Gli disse. Simone aveva da poco compiuto diciannove anni e
da un mese era stato licenziato dal liceo classico Leonardo da Vinci con ottimi
voti. Tra i premi ricevuti dai genitori, parenti e amici c'era sì stata una
discreta somma di denaro, ma ben inferiore al prezzo di rivendita della grossa
motocicletta.
Subito dopo l'accordo con l'amico,
aveva telefonato a Daria, la fidanzata, bionda e magra, alla quale era legato
da un sincero affetto, ricambiato del resto in tutto da lei. All'inizio della
telefonata non riuscì
a parlare. Solo un riso irrefrenabile di felicità gli usciva fin dal cuore, pur
essendo frutto di ciò che al momento era solo un progetto.
“Simone sei tu?” Chiese Daria. “La finisci di ridere
come uno scemo? Cosa vuoi?”
“Ciao, amore,”
rispose Simone, riuscendo infine a smettere di ridere, “ho deciso di comprare
la moto di Marco, quel mio amico, ti ricordi? quello
ricco, il figlio del dentista Castra…”
“Va bene, mi ricordo, allora?” lo
interruppe la ragazza a
cui quel mezzo, insieme al padrone, era stato sempre antipatico, e aggiunse:
“Come fai a comperarla? Con quali soldi?”
“Ecco, mi sono messo d'accordo con
Marco che fra tre mesi se la moto fosse ancora invenduta l'acquirente sarei io.
Ti ricordi che da domani lavorerò al call center? E
che il contratto è per tre mesi… purtroppo? Dunque, fra tre mesi avrò più che
sufficienti quattrini per acquistarla.”
“Boh!”
replicò astiosa Daria, “ne riparleremo fra tre mesi
allora!”
“Si, ciao, ci vediamo domani.” Simone
chiuse subito il telefono, ben sapendo che la fidanzata avrebbe cercato di
dissuaderlo da quel proposito che come minimo ella riteneva in contrasto con la
buona salute e con una lunga vita.
L'estate fu triste. Il lavoro per il
giovane era il primo della sua vita ed era arrivato proprio alla fine di un
intenso anno scolastico, quando era ancora stanco di studi e paure. Eppure
rifiutò di fruire delle ferie cui aveva diritto, per averne in cambio il corrispettivo
economico. Seduto davanti alla postazione informatica che gli era
stata assegnata, ogni giorno, e anche di notte quando gli toccava per turno, la
cuffia schiacciata sui capelli neri e ricci voltati all'indietro, dava ai
clienti le informazioni rituali, sempre sorridente e affabile: “Buon giorno! Io
sono Simone, in cosa posso esserle utile?” Una formula ripetuta decine di
migliaia di volte.
Per tre giorni di fila, quelli col
Ferragosto in mezzo, dopo una serie massacrante di turni notturni, riuscì a
raggiungere il mare, e furono sufficienti ad abbronzargli la pelle già per
natura olivastra ed a ridargli il vigore necessario per giungere alla fine del
rapporto di lavoro.
Finalmente arrivò l'ultima busta
paga. Marco, da vero amico, non aveva neppure cercato un altro acquirente e gli
aveva conservata con cura la grossa motocicletta. Simone si sentì divino il
giorno che tornò a casa su quella due ruote. Che gioia
inforcarla, godere del rumore perfetto del potente motore, scontrarsi con
l'aria, penetrarla, in una incessante conquista degli
spazi che gli andavano incontro come chiari schermi sfuggenti.
Simone sentiva questa felicità in
ogni momento della giornata e la comunicava agli altri con la radiosità del
volto, con l'agire scattante e sorridente. I genitori, che erano stati in
disaccordo, al cospetto di tanto benessere alzavano le spalle in segno di resa
incondizionata. Anche Daria non aveva reagito in maniera eclatante, consigliava però ogni volta il fidanzato ad essere prudente
e per persuaderlo gli suggeriva di pensare a lei sempre, ma in particolare
quando era sulla moto. Simone si schermiva, diceva che anche andando in giro a
piedi, qualora fosse segnato, ci si poteva scontrare con l'imprevedibile evento
tragico; che la paura era ingiustificata perché la morte non si lascia sedurre
dai mezzi, ma quando decide colpisce. Tanto valeva procurarsi qualche semplice
soddisfazione.
Il guaio è che la vita non è una
dottrina che il pensiero possa spiegare.
Mancavano tre giorni a Natale. Di
sera umida sulla strada viscida, Simone portava a casa Daria allacciata
stretta, i seni schiacciati sulle spalle di lui, i piedi spinti con
isteria sulle pedane per una incrollabile diffidenza. Simone si eccitava nel
sentire le cosce di lei stringergli frementi i fianchi La ragazza aveva ceduto
già altre volte, persuasa dagli inviti affettuosi del ragazzo. E, sincera,
ammetteva di aver provato in quelle poche occasioni una piacevole ebbrezza.
“Sai che mi è un po' piaciuto?”
confidava ogni volta al fidanzato, ridendo e baciandolo con malcelata
gratitudine.
Correva quella sera? No, non correva…quanto forse avrebbe voluto,
poteva giurarlo. Il corpo caldo e innamorato che gli palpitava dietro lo frenava.
“Che atroce rimorso!” Si accusa
ora in silenzio.
Un bambino all'improvviso era sbucato
da un nulla mostruoso. Coscienza e riflessi gli fecero deviare la moto di
scatto: il bambino era un essere intangibile! La moto sbanda, finisce nei
campi, Daria è sbalzata violentemente, la vede in alto, piroettare, cadere
senza casco volato lontano, una zolla grigia di terra aspetta la sua testa.
Il verdetto dei medici è coma
profondo. L'ospedale è bianco e verde, puzza di medicine, le lenzuola del letto
sono ruvide, una selva di tubi e congegni danno vita a Daria. Simone le stringe
la mano da tre giorni. E' fermamente intenzionato a non lasciare mai più
quella mano. E' sicuro che da quel contatto fluirà la vita per la sua
ragazza che tornerà così a sorridergli ancora. Intanto ripercorre la storia,
sminuzzando i fatti per cercare di afferrarne il senso. Aveva sempre pensato
che egli per tutta la sua vita non sarebbe stato mai causa di tanta
sofferenza. Perché gli eventi lo avevano portato ad esserlo, ingannando la sua
onestà?
Qualcuno in piedi, sopra di loro,
disse: “Buon Natale figlioli”, nel disperato desiderio di richiamarli alla vita.