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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il sacco, di Francesco Giubilei 09/11/2007
 

IL SACCO

                            di Francesco Giubilei

 

La situazione in Italia era ingarbugliata: gli alleati erano sbarcati in Sicilia da ormai un anno, il sud era libero mentre il nord era ancora in mano alla Repubblica Sociale.

L'avanzata alleata proseguiva in modo inarrestabile, Roma era caduta da tempo ed erano giunte le prime voci della liberazione di Perugia.

Il presidio tedesco però aveva ancora il controllo del piccolo borgo nell'Appennino Umbro.

I collegamenti ferroviari erano stati interrotti dai bombardamenti alleati.

Ormai in paese i fascisti non si facevano più vedere, la condanna alla dittatura era unanime.

Non tutti però potevano dimostrare la loro avversione nei confronti della dittatura, c'era chi aveva dei doveri, degli obblighi, dei giuramenti da rispettare.

I dipendenti pubblici dovevano continuare a servire, come se niente fosse accaduto, lo stato e le Istituzioni, nonostante queste non esistessero più.

Tra questi l'arma dei Carabinieri.

Il giovane maresciallo della caserma del borgo si incamminava, attraverso gli stretti vicoli del paese, verso la bottega del calzolaio.

Le case, tutte abbandonate, recavano i segni delle razzie compiute da vagabondi in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti.

Chi aveva la possibilità era scappato in montagna, al riparo dalla ritirata delle truppe tedesche, nei boschi dell'Appennino Umbro, o in vecchie baite e rifugi.

Ogni tanto il maresciallo intravedeva qualche figura incappucciata proseguire veloce lungo la strada, senza che lo degnasse di uno sguardo.

In realtà sapeva cosa pensavano i passanti di lui e della sua situazione delicata.

L'alito dei partigiani aleggiava sul paese e le azioni di sabotaggio erano sempre più frequenti.

A causa del lancio di una bomba da parte di un partigiano (poi ucciso) aveva perso la vita un soldato tedesco.

Quel giorno il maresciallo si ricordava di essere stato convocato al comando tedesco dove aveva avuto luogo una discussione per più di due ore.

I tedeschi infatti volevano compiere una rappresaglia per vendicare l'uccisione del soldato ma alla fine, grazie a Dio, il maresciallo era riuscito, con il suo ottimo tedesco, a evitare questo inutile massacro.

Il sacco di iuta che portava sulle sue larghe spalle ciondolava pericolosamente ad ogni sbalzo del terreno e ad ogni sali e scendi che era costretto a fare a causa della stradina dissestata.

Si stava avvicinando alla piazza del paese dove c'era la bottega di Giuseppe, calzolaio antifascista da sempre.

Giunto in prossimità della piazza, prima di scorgere l'antica chiesa intravide fuori da un negozio, quello di generali alimentari di sor Antonio, una piccola folla di persone.

Tutti smisero di parlare al suo passaggio.

Gli occhi di tutti erano rivolti verso la divisa da carabiniere che indossava e al sacco che sorreggeva a fatica sulle spalle.

Con un cenno del capo salutò il gruppetto ma nessuno ricambiò quel saluto.

In tutta risposta Cecchinelli, ex membro del Pci ed ora probabilmente partigiano, sputò a terra toccandosi con le grandi mani piene di calli a causa del suo lavoro nei campi i folti baffi neri.

Si raccontava in paese che quando nel '34 un gruppo di camicie nere si era recato a casa sua per chiedergli perché non avesse la tessera del partito, Cecchinelli aveva risposto con grande coraggio “perché io non sono un fascista di merd…” e prima di finire la frase fosse stato prelevato dai militari e portato nella piazza del paese dove fu purgato con l'olio di ricino.

Davanti a molti cittadini ammutoliti per la scena invece di sentirsi umiliato aveva preso un grande tovagliolo di stoffa ed in segno di fierezza si era pulito i baffi.

Finalmente il maresciallo era arrivato alla bottega del calzolaio.

Per fortuna i soldati tedeschi che erano di guardia nella piazza non l'avevano notato altrimenti gli avrebbero chiesto che cosa c'era in quel sacco.

Aprì la vecchia porta in legno e lasciò cadere dalle sue spalle il pesante fardello.

Il calzolaio trasalì, non si era accorto della sua entrata e stava lavorando una scarpa con una suola in legno molto rovinata.

- Qual buon vento maresciallo?

- Ormai in paese non tira più un buon vento, Giuseppe, i comunisti sono pronti a prendere il potere e per quelli come me sarà davvero dura.

- Su, non dire così. Vuoi un bicchiere di vino rosso? Me l'ha portato sora Marianna, lei e suo marito ne l'avevano una scorta in cantina ma ora sono andati su in montagna alla loro cascina.

- Lo vedi, la gente ha paura. Promettimi almeno che mi difenderai.

- Per quel che conta la mia voce. Io sono stato da sempre un antifascista convinto, non ho mai appoggiato il regime. ma sono offuscato da questi anti fascisti dell'ultima ora che pretendono di dettare legge. Io li conosco questi. Quando c'era Mussolini stavano con lui,  ora si dichiarano estranei al regime perché vogliono avere cariche politiche dopo la liberazione.

- Ma io che posso fare? Ho sempre servito lo stato con grande fedeltà. Sono sempre stato un uomo senza bandiere, ho sempre fatto il mio dovere.

- Me ne rendo conto, ma che cos'è quel sacco?

- E' farina voglio che la consegni ai partigiani perché capiscano che io non sono contro di loro.

Giuseppe gli porse il suo bicchiere e versò il vino rosso.

Alcune gocce schizzarono fuori nel bancone di legno.

La vecchia bottega apparteneva alla famiglia di Giuseppe da anni.

Già suo padre ci lavorava.

Suo nonno l'aveva acquistata con un grande sacrificio economico per coronare il sogno di suo figlio.

Luigi era attratto dalle scarpe come non lo era per nessun altra cosa ed aveva trasmesso la passione al figlio.

Il maresciallo bevve tutto il bicchiere senza prendere fiato.

La salita l'aveva spolpato.

-Te ne verso altro?

- No, grazie, tra un'ora entro in servizio - accompagnò quella frase con una smorfia del volto. Aveva perso fiducia nel suo lavoro.

Lui che si era arruolato da giovanissimo perché attratto dalla divisa, lui che, come scherzava sua sorella, ci era nato con la divisa non credeva più in quello che faceva.

Non servirono a nulla le parole di conforto di Giuseppe.

Dopo alcuni minuti il maresciallo uscì, sconsolato alla volta della caserma per fare l'ultimo turno di lavoro prima della liberazione.

Quella notte infatti un via vai continuo interessò il piccolo borgo.

Le truppe tedesche si ritirarono verso nord mentre la prima camionetta alleata scese da un monte cittadino.

In comune il capo del C.L.N. cittadino, alcuni partigiani e il comandante del presidio patrioti discussero con il capitano della polizia inglese.

La cittadina venne dichiarata “occupata per conto di S.M. britannica” e affidata in presidio ai partigiani.

Questa notizia contribuì a impensierire il maresciallo.

Il sacco di farina che aveva donato ai partigiani solo alcuni giorni prima e che era un bene preziosissimo, ora non aveva più nessun valore davanti alle tavolette di cioccolato, allo zucchero, ai barattoli di carne in scatola portati dagli inglesi.

 

Due giorni dopo Cecchetti entrò nella bottega di Giuseppe per ritirare un vecchio paio di scarpe.

- Hai sentito Peppe del Maresciallo? Brutta faccenda davvero-

- Perché cos'è successo? - chiese allarmato.

- Un gruppo di partigiani l'ha malmenato, sai era un ex fascista.

- Ma come? Ti avevo consegnato quel sacco di farina che aveva offerto ai partigiani.

- Mi avevi consegnato? Ma io che c'entro?

Cecchetti ritirò dal bancone le sue scarpe e prese i soldi per pagarle.

Mentre usciva dalla bottega Giuseppe notò qualcosa di bianco uscire dalla tasca di Cecchetti: farina.

Anche le grandi banconote erano copiosamente imbiancate.

Allora il calzolaio comprese.

Un senso di malessere lo pervase.

L'episodio rafforzò la sua sfiducia negli uomini.

 

 
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