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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Metafore di Marniko 28/03/2006
 

Metafora (1)

 

di Marniko

 

 

 

Uscì di casa che era ancora l'alba.

Era una cosa strana per lui annusare il profumo fresco nell'aria prima della pioggia. E il farlo lo fece stare meglio.

I marciapiedi erano quasi deserti a quell'ora e, all'ombra dei palazzi che lo avvolgevano, lui si sentì come smarrito. Ricordava nulla di quello che gli era successo.

All'improvviso l'odore che sentiva addosso si confuse con quello della pioggia che iniziava a cadere, sovrapponendosi per un attimo a una specie di profumo speziato rivelatore, ambrato e intenso, che sembrò spazzar via il suo malessere improvviso, acuto.

Già, quel malessere senza tempo che gli stava crescendo dentro. La paura delle proprie adesioni, quel volere attestarsi così a lungo sulla difensiva.

Certo i suoi vent'anni non bastavano per cogliere i particolari. Ma lui già ne prevedeva abbastanza per sentirsi soffocare. Malato di illusioni com'era, minacciato dalle costrizioni che non sapeva mettere a fuoco, e soffocato dal determinismo di chi si sentiva predestinato a soccombere.

Gli scappò da ridere. Proprio così. Capitava spesso che gli scappasse da ridere quando si sentiva minacciato nell'anima. Non si stupiva affatto di questa sorta di cartina torna sole che portava con sé un potere magico che, solo lui, accettando di soffrire, poteva comprendere.

Lasciare che la sofferenza lo aggredisse lentamente come una ventosa, ed esserne consapevole, lo faceva paradossalmente stare meglio - la passione di questo suo sentire s'inabissava in lui come un fiume sottorreaneo in piena travolgendo ogni desiderio. Anche s'egli avvertiva che tutto questo si succedeva in un modo più o meno confuso. Ma con la bellezza quasi, di una vita desiderata fuori dai canoni, e il divagare meraviglioso del rumore acerbo della sua giovane età.

Fu allora, nel preciso istante in cui l'autobus gli tagliò la strada, ch'egli venne folgorato dall'intuizione del momento. Lo vide sopraggiungere dal campo lungo al primo piano sprezzante e romantico al tempo stesso.

Vide due occhi seducenti e ammiccanti scorrergli davanti, fissandolo. E poi la scritta, svolgersi lettera dopo lettera, enorme: “Calvin Klein Jeans. All we need is love”.

Gli scappò da ridere di nuovo. Prima piano, poi più forte. Sempre più forte, fino a singhiozzare. Allora capì che non valeva la pena di soffrire, anche per la faccia da culo che aveva appena visto sulla pubblicità esterna di quell'autobus.

 

 

 

 

 

 

Metafora (2)

 

di Marniko

 

 

Non mi piaceva affatto stare là.

Lui che continuava a rimanere in silenzio; lei che ci fissava con sguardi riverenti, a volte curiosi.

Io osservavo invece il camino, a cercare immersi in quel fuoco i demoni e le anime, come se fossero braci, della nostra perdizione. Oddio, come innocenza e passione splendevano al plenilunio di quelle fiamme ardenti!

L'uno seduto di fronte all'altra, io ero a capotavola, ci lasciavamo trasportare in una danza pericolosa di sguardi anelanti il baluardo finale. Era lo smarrimento di tre anime che, dopo essersi perse nel loro eterno peregrinare, si erano ritrovate nel loro predestinato desiderio d'amore.

Un amore folle, certo, devastante nella contaminazione degli effetti. Eppure nessuno aveva un amore più grande. Assoluto, nel suo palese essere tremendo. Il tremendo bisogno di amare congiunto al pensiero della morte. E in questo significato prendeva sempre più corpo il nostro mutuo generarsi, dipendenti dell'uno verso gli altri, parte di un insieme destinato a scemare verso la devastazione.

Pur tuttavia la nostra tensione verso la morte nasceva proprio dalla consapevolezza che ogni giorno in più di vita era un giorno in meno di vita per il nostro amore.

Dunque contemplavamo il lasciarsi morire come sublimazione collettiva del nostro rapporto e, attraverso il gesto reale di questo passaggio estremo che generava amore, giungere alla purificazione massima delle nostre pulsioni. Verso e oltre la morte. Per essere eternamente vivi, immortali.

Morte che trovammo all'alba, dopo l'ultima notte d'amore insieme su questa Terra.

 

 

 

 

 

 

Metafora (3)

 

di Marniko

 

 

Uscì dalla birreria a notte fonda.

Era agitato. Rimase lì un attimo, fermo sulla porta, a pensarci su. Stronzate dirà dopo un po', iniziando a muoversi stancamente lungo i portici bagnati dall'umidità della nebbia.

Eppure il tipo di prima, in birreria, aveva qualcosa di familiare. Trovò che gli assomigliava persino. Sentì un breve sussulto. Si fermò. Le gambe iniziarono a tremargli e aveva freddo. Si strinse maggiormente nel bomber di colore verde militare. Forse lo aveva conosciuto da qualche fottutissima parte - ma sì, non poteva essere che così! Ma dove? Continuò a chiederselo al sordo rimbombo dei suoi passi.

Era inutile. Dannatamente inutile. Gli veniva in mente niente. Per un attimo credette di averlo incrociato al Cesar. Ma fu solo la convinzione di un momento: quel ragazzo non era tipo da frequentare compagnie e locali gay con la dark. E allora? Allora decise di non pensarci più. E accelerò il passo. Adesso voleva solo arrivare a casa e buttarsi a letto.

Fu girando l'angolo, però, che se lo trovò davanti all'improvviso. Gli occhi color smeraldo gli ricordarono quelli di un gatto nella notte. Una brivido gli corse lungo la schiena.

Il tipo gli stava già addosso. Sentì una fitta lancinante all'inguine e un bruciore, poi un'altra fitta e un'altra ancora… E ricordò. Di colpo, ricordò! Le ginocchia cedettero e cadde a terra definitivamente.

Lui non vedrà mai il tipo scomparire nella foschia. Una pozza rossastra, ormai, si estendeva oltre il suo corpo riverso a pochi passi dal portone di casa.

 

 

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NdA - Un elemento caratterizzante la metafora è la capacità di veicolare interi moti d'animo attraverso immagini spesso brevi e immediate. Per chiarire meglio questa caratteristica può essere fatto un parallelismo interessante con gli haiku: non descrivono ma si limitano ad immortalare un'apparizione, a fotografare la brevità, la leggerezza e l'apparente assenza di emozioni di un attimo.

 

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