Un anno sgarruppato
di Milvia
Comastri
Avrebbe guardato in
faccia la morte.
Perché gli fosse venuta in mente questa
frase proprio non lo sapeva. In terza persona, per giunta.
Poi si ricordò.
Suo nonno. Lo diceva sempre suo nonno,
di aver guardato in faccia la morte.
“Ho guardato in faccia la morte “
diceva. E se ne stava zitto per un po', lo sguardo schiarito dagli anni fissato
in un punto impreciso, fra l'immagine di Padre Pio, appesa alla parete della
cucina e la finestra, al di là della quale il casermone grigio aveva da tempo
sostituito il colore mutevole dei campi. Poi riprendeva:
“Nicola, il terremoto è la fine del
mondo. Trenta ore ci sono stato sotto quelle
pietre. E la notte, la notte del terremoto, ho sognato la morte. Una vecchia
senza denti e senza occhi, che allargava le braccia, mi voleva abbracciare, quella strega. E
mentre sognavo è caduto giù tutto. Ho avuto
come una…”
E ogni volta si inceppava nella parola
premonizione, che non gli voleva proprio entrare in testa. Poi continuava a
raccontare della sete, della polvere, del dolore alla gamba che gli aveva
sfiatato la voce. E finiva sempre con ho guardato in faccia la morte.
Cosa guardasse suo nonno dopo l'ictus,
nessuno poteva dirlo, invece. Nicola lo aveva chiesto a quella ragazza, come si
chiamava, Mara, si chiamava. Le aveva chiesto: ma secondo te, questi
disgraziati, qualcosa vedono? Quei fili
che li tengono attaccati alla vita, li aiutano a vedere?
Lei si era sistemata un ricciolo che
era sfuggito dalla cuffietta e aveva detto: non so, i medici dicono di no. E io
sono solo un infermiera. “Però… però, “aveva aggiunto, e la voce le si era
addolcita, mentre gli posava una mano su un braccio, “credo che sognino.
Io credo che sognino le cose che hanno vissuto. Che rivivano la loro infanzia,
forse. Ma è un'idea così, non so da dove mi viene. E' probabile che serva solo
a rendere meno doloroso stargli accanto.”
E aveva sollevato lo sguardo e Nicola, in quegli occhi, ci aveva letto una
pietà sofferente e non aveva saputo che dire. La ragazza si era allontanata e
per un attimo lui si era sentito ancora più solo.
Suo nonno era quello del terzo letto.
Quattro mesi che era legato a quei fili, e lui erano due mesi che non andava a
vederlo. Vederlo, perché a trovarlo, praticamente, non era mai andato. Trovarlo
presupponeva uno scambio: di parole, di sguardi, di sorrisi. E allora lui aveva
smesso. Vederlo gli faceva solo male.
Guardò l'orologio. Mancava poco più di
un'ora a mezzanotte. Che anno era stato, quello? Non un buon anno, no, per
niente. Sgarruppato, pensò. Come le case del paese del
nonno, ancora diroccate dopo tanti anni.
E anche il nonno: sgarruppato
anche lui, un cartoccio di ossa e fili buttato su un letto.
Indossò il giaccone. Gli amici lo
aspettavano al pub. Amici. Non proprio. La compagnia, il gruppo, i ragazzi.
Amici no. Nessuno con cui parlare davvero. Un paio di ragazze che si credevano
chissà che, e gli altri, i maschi, a parlare solo di auto e di scopate e di
pallone.
Mentre chiudeva la porta di casa,
ancora quella frase, in prima persona questa volta, guarderò in faccia la morte, gli passò per la testa. Ma quasi non
se ne accorse e subito pensò: sono solo degli stronzi. E pensò anche che lui era solo. E che lui quegli stronzi li frequentava
solamente perché non aveva nessun altro.
Già, perché in quell'anno che si stava
chiudendo anche la sua ragazza lo aveva lasciato. Gli aveva detto che era
troppo triste, che lui le dava l'angoscia, che era cambiato. Tanti giri di
parole per dirgli che non lo amava più.
Fuori c'era un vento che strinava il
viso, ma almeno non pioveva più. Nicola
chiuse in fretta la portiera della Punto e inserì la chiave dell'accensione nel
cruscotto. Mise in moto e quando arrivò al bivio mise la freccia e svoltò a
sinistra. A mezzanotte mancava poco meno di mezz'ora: se avesse premuto
sull'acceleratore ci sarebbe riuscito, ad augurare buon anno al nonno. Sapeva che non lo avrebbero fatto entrare. Si
sarebbe fermato davanti all'ingresso e a mezzanotte in punto avrebbe detto:
buon anno, nonno. Avrebbe detto: nonno, torna per raccontarmi di quando hai
guardato in faccia la morte.
Sul manto stradale si stava formando un
sottile strato di ghiaccio. Accese la radio e ne uscirono le note di Round Midnight sulla tromba
di Mile Davis. “ Starò attento” disse a mezza voce. “ Starò
attento, ma a mezzanotte voglio essere dal nonno.”
Mara entrò nella stanza. Non mutava
mai nulla, lì dentro. Le stesse luci, uguali di giorno e di notte, il rumore
dei macchinari, l'immobilità dei corpi.
Un luogo senza tempo. Ogni tanto qualcuno se ne andava, ma arrivava
subito qualcun altro a prenderne il posto. Raramente un letto rimaneva vuoto a
lungo. Il quarto letto, per esempio, al momento non era occupato da nessuno, il
ragazzo slavo era finalmente uscito dal coma e in quel momento stava
probabilmente dormendo nel reparto di terapia intensiva. Ma ben presto sarebbe
arrivato un altro caso disperato e la stanza sarebbe stata al completo. Sempre
così accadeva. E l'ultima notte dell'anno, poi, sembrava favorire gli incidenti
più gravi.
Era contenta di aver scambiato il
proprio turno con la sua collega. Quella non finiva più di ringraziarla, si era
perfino commossa. D'altra parte Mara non aveva nessuno che l'aspettasse per un
brindisi, per un augurio di felice anno nuovo. Nessuno da baciare sotto il
vischio.
Fece il giro dei letti. Il “nonnino”,
come aveva soprannominato il paziente del terzo letto, sembrava quasi stesso
sorridendo. Chissà che sta sognando? si
chiese Mara.
Mancavano poco più di duecento metri
all'ingresso dell'ospedale quando l'auto iniziò a sbandare.
Istintivamente Nicola schiacciò il freno. La macchina si portò nella
carreggiata opposta, senza diminuire la velocità, poi iniziò a fare dei testa
coda..
Fu la faccia di una vecchia, che Nicola
vide prima di svenire. Una vecchia senza denti e senza occhi.
Una vecchia che gli tendeva le braccia.
Era la prima alba del nuovo anno. Non che lì si avvertisse. L'unica cosa che
era cambiata, dall'anno vecchio, era il quarto letto, che in quel momento
accoglieva un nuovo ospite. Nella disgrazia, pensò Mara, è stato fortunato.
Andarsi a schiantare contro il muro di cinta dell'ospedale aveva permesso che i
soccorsi fossero immediati.
Il turno stava per finire. Mara si
avvicinò al letto del nuovo arrivato. Pensò alla coincidenza che aveva portato
il ragazzo a giacere nel letto accanto a quello del nonno. Se lo ricordava,
quel giovane. Una volta si erano parlati. Lui le aveva chiesto se i fili… E lei
gli aveva detto dei sogni… Che era una specie di suo segreto, e chissà perché
glielo aveva confessato. Forse perché lo
aveva visto così triste e solo. Un po' simile a lei.
E ora lui era lì, tenuto in coma dai
farmaci. Qualche speranza c'è, avevano detto i medici. Se supera le quarantotto ore, se la può
cavare.
Prima di andarsene Mara gli posò una
carezza leggera sul viso. “Buon anno,
Nicola. Resisti, ragazzo”
sussurrò.
Fuori il cielo cominciava a tingersi di
un colore rosa sfumato.
Il primo giorno dell'anno si
prospettava sereno.