ASFALTO, ASFALTO E
CEMENTO
Intro
Questo racconto è dedicata a tutti
coloro che sulla strada hanno trovato la morte a causa di incidenti stradali, a
quanti sono stati travolti dalla nera signora della velocità e
dell'incoscienza.
Ogni anno, il bilancio dei morti a
causa di
incidenti stradali si fa sempre più disastroso. Senza contare il numero di
persone che sulla strada hanno perso un arto o la capacità di camminare o di
vedere.
A questo dobbiamo porre rimedio
sensibilizzando maggiormente le persone, educando ed istruendo al rispetto
delle norme di sicurezza, degli altri e, soprattutto, di se stessi.
Infine è dedicata a tutti coloro che,
alle vittime della strada, hanno prestato, prestano e presteranno soccorso e ai
mazzi di fiori che qua e là ci aiutano a ricordare.
…Non
lo so se sbatto o meno le palpebre.
Ogni
movimento mi è impossibile.
A
stento muovo gli occhi.
Il
mio sistema nervoso conosce fin da ora l'esito di questo presente.
Ma
nonostante questo non si rassegna, instancabile cerca di rimettere insiemi i
pezzi, cerca risposte e soluzioni ad una realtà che non vorrebbe accettare.
Alla
mia destra c'è un bimbo con uno zainetto rosso in spalla.
In
condizioni normali non riuscirei a vederlo come invece riesco a farlo ora: il
mio corpo si sta sciogliendo di dosso tutti i vincoli
fisici che fin dal mio primo vagito l'han governato.
Mi
tiene la mano e mi scuote, ogni tanto. Sta parlando e singhiozzando: le lacrime
scendono amare dagli occhi. Lentamente.
Non
capisco nulla di quanto sta dicendo: il suono non ha più alcun significato.
Guardandolo,
provo una tacita sensazione di sollievo: mi sento sereno.
La
mano sinistra sfiora invece la mano di una giovane donna.
E'
inginocchiata accanto a me. Anche lei piange.
I
lunghi capelli scuri le cadono in avanti accompagnando le lacrime ed i
singhiozzi. Vorrei accarezzarle il viso e sentire il calore di quelle lacrime
sulla pelle, come acqua che bagna la superficie arida del mio esistere.
Non
riesco a muovermi e rimango a guardarla. Non so dire cosa provo. Non so dire
come sembro agli occhi della piccola folla che mi si sta radunando attorno.
Parlano e non li comprendo.
Sensazioni
irreali e attutite. Né calore né freddo…
Poco
distanti percepisco il via vai delle auto e mi accorgo solo ora di non essere
su di un verde prato, ma su di un caldo giaciglio d'asfalto.
Asfalto…
asfalto e odore di cemento.
E
solo ora rammento il passato recente che mi ha segnato per sempre.
Ero
incazzato con il mondo intero, e per una ragione che
ora non ricordo neppure.
Ero
furioso e non volevo rimanere qui nemmeno un secondo di più.
Ho
attraversato la strada senza guardare: del mondo esterno non mi importava
nulla. Ho attraversato la strada velocemente, di corsa, fissando la strada
sotto ai miei piedi, quasi la volessi distruggere e
spaccare con lo sguardo, e poi mi son scontrato con
qualcosa. Qualcosa che ora comprendo essere stato uno zaino, lo stesso del
bimbo che piange alla mia destra. Devo averlo spinto, credo, come un ostacolo
sul mio cammino.
E
poi l'impatto.
E'
ancora presente l'ombra del veicolo che mi ha colpito.
Sul
suo corpo di metallo solo un'ammaccatura.
E,
anche se non la vedo, sento una persona piangere da sola. Ha pure vomitato, in
preda al panico e alla tensione, ma questo non lo posso sapere. E adesso sta
piangendo. E al contempo prega.
Ma
non ha colpa, ed in cuor mio l'ho comunque perdonato.
Tracce
di sangue e di ferite sul suo volto, ma da qui, in condizioni normali, non potrei
vederlo.
Da
qui vedo il cielo e alcuni uccelli volare e poi un uomo chino si di me. Poi un altro. Stanno facendo di tutto per salvarmi
ed aiutarmi. Si adoperano per trattenere la mia vita prima del grande volo, mi
parlano ed è chiara la luce dei loro occhi.
Non
riesco a sentire cosa dicono.
Non
riesco a sentire le loro mani sul mio corpo.
Ogni
percezione è rarefatta, dolcemente contraffatta e mitigata.
Ho
perso molto sangue. Le mie forze scivolano lontano, dolcemente, senza fretta.
Vorrei
parlare, vorrei…
Per
qualche istante mi smarrisco in me stesso…
Quando
torno al reale non so nemmeno quanto tempo sia trascorso…
Sento
una mascherina sul mio volto, l'aria che irrompe nei mie
polmoni…è come se mi fossi risvegliato da un sonno breve e profondo.
Riemergo
alla vita.
Il
mio sistema nervoso mi informa: stanno ancora lottando per la mia salvezza.
Stanno
operando da qualche parte, sul mio corpo.
Inutilmente,
lo so.
Ormai
l'ho già capito.
E
allora penso, null'altro mi è più permesso: ho perso totalmente la percezione
di me stesso e del mondo che mi stava attorno.
Non
vedo più lo zainetto di quel bambino…
E
allora arrivano, i miei pensieri. Migliaia di ricordi, immagini sfuggevoli e
fugaci, arrivano e danzano. Un assaggio della vita che è stata, sensazioni ed
esperienze si perdono nel limbo, in un torrente impetuoso di stimoli nervosi e
poi tutti i miei sogni, gli stralci di quella vita che immaginavo di costruire.
Non
voglio andarmene, voglio vivere. Voglio vivere! Voglio vivere! Voglio vivere!
Voglio ingannarmi e sopravvivere e rivedere i volti delle persone che conosco e
che amo. I volti di chi disprezzo e di chi odio, di chi amo e di chi non
conosco. Vi amo tutti, vi amo tutti…non lasciatemi…non lasciatemi…non
lasciatemi…
Qualche
lacrima scende ai lati del mio volto, in una smorfia che sembra un sorriso,
percepisco una goccia, acqua di rugiada sul mio volto…acqua
che dai miei occhi scivola, lenta , verso il buio.
E
poi nulla più.
Quel
che mi accadde in seguito, a voi non è dato sapere.
Sono
morto, questo è ovvio.
Sono
morto su quella strada, in un letto di cemento e d'asfalto.
Sono
morto tra volti sconosciuti.
Sono
morto sotto il cielo, in una stanza senza pareti, in un luogo terribilmente
vuoto. Avevo paura e non potevo saperlo.
Sono
morto con le braccia aperte, tese ad un ultimo nostalgico abbraccio al mondo.
Sono
morto, come molti altri, stroncato dal fiume impetuoso delle belve di metallo.
Sono
morto, per la mia cecità.
Sono
morto, e non volevo crederci.
Sono
morto, il giorno del mio compleanno.