– È per mio
figlio.
L'uomo prese Halid per il braccio e lo tirò verso di sé. Sudava
copiosamente e stringeva forte gli occhi. Le lacrime scorrevano lungo il suo
volto lasciando strisce nere sulle guance sporche. Probabilmente non aveva
nemmeno quarant'anni, ma ne dimostrava almeno
quindici di più, come ogni coltivatore.
Halid lo fissò negli occhi e annuì
senza dire niente. L'uomo chinò la testa e poggiò la fronte sulla sua spalla e
prese a singhiozzare.
– È per mio figlio –
disse ancora con la voce rotta dal pianto. – Mio figlio. Ha solo sette anni.
– Si faccia
coraggio. Oltre la grande porta c'è la salvezza – lo
rassicurò Halid. Aveva distolto gli occhi dal volto
dell'uomo e fissava avanti a sé, verso l'ingresso del tempio. Erano le undici
di mattina e la fila era già molto lunga. Davanti a loro c'erano almeno venti
persone. Era una giornata molto calda e l'attesa sarebbe stata massacrante. E
con quell'uomo al suo fianco diventava ancora più
difficile.
Halid gettò lo sguardo oltre la fila
serpeggiante di persone, verso l'ingresso del Tempio della Belva. L'uomo al suo
fianco lo aveva finalmente lasciato e adesso stava tirando per un braccio
l'uomo di fronte a lui. Continuava a parlare ad alta voce.
Era lì per il
figlio. Suo figlio aveva solo sette anni. Il figlio…
Halid lo guardò con compassione. Quell'uomo aveva paura e forse non avrebbe affrontato la
prova. Forse era giunto fino al Tempio della Belva per liberare la sua vita dal
peso di un figlio malato. Probabilmente era per sé stesso che era giunto al
tempio per affrontare prima il Bambino Senza Occhi, poi la Belva. Il dolore del
figlio veniva dopo le sue sofferenze, la sua stanchezza, la sua voglia di farla
finita, in un modo o in un altro. E non avrebbe superato la prova. Se mai
l'avesse affrontata.
Chiunque affrontava
la prova per sé stesso, non poteva superarla. Così era scritto. Il Bambino
Senza Occhi lo avrebbe ricordato a ognuno di loro. Anche ad
Halid, per l'ennesima volta.
– Esce qualcun altro
– disse un uomo alle sue spalle. Halid si voltò verso
destra, sul lato occidentale del tempio, dove si affacciavano le due porte del
destino: la porta più piccola, quella dello Julaz, la
via diritta, e la porta più grande, la Katham, il passo della
Belva.
L'uomo stava uscendo
dalla porta dello Julaz, la porta più piccola. Non
aveva affrontato la
Belva. Aveva preso coscienza della sua paura, ascoltato il
respiro rauco del demone. Ed era andato oltre. La Belva avrebbe letto nel suo
cuore. Avrebbe trovato dubbi e incertezze. Forse
avrebbe trovato il desiderio di alleggerirsi di un peso, una scintilla di
egoismo. E lo avrebbe sbranato. L'uomo aveva avuta salva la vita e tornava a
testa china verso casa, un luogo che poteva essere distante centinaia di
chilometri. Forse aveva compreso la vera natura del suo dolore e ne avrebbe
tratto giovamento. A volte la
Belva poteva aiutarti anche senza guardarti negli occhi.
Tutte le persone in
fila seguirono la figura curva che si allontanava dal tempio. In tutta la
mattinata nessuno aveva affrontato la prova. Tutte le persone che erano entrate
nel tempio lo avevano abbandonato attraverso la porta dello Julaz.
Erano molti anni che nessuno usciva dalla porta più grande e sempre meno erano
le persone che affrontavano la prova. Chi lo aveva fatto, non era
sopravvissuto. In molti andavano davanti al Bambino Senza Occhi. In pochi
davanti alla Belva.
– Lei ce l'ha un figlio? – L'uomo davanti a lui tornò a tirarlo
per un braccio. Halid si liberò con un gesto gentile
e scosse la testa.
– Allora è qui per
la sua donna? – Halid fece ancora segno di no. L'uomo alzò gli occhi al cielo e sembrò infastidito.
– Allora…
Halid alzò una mano e fece cenno
all'uomo di tacere, quindi indicò la fila che si muoveva verso l'ingresso del
tempio.
– Si concentri sul
suo dolore, uomo – disse alla fine. Lo invitò a fare qualche passo in avanti e
l'altro desistette, afflosciando le spalle.
Dopo un'ora
arrivarono davanti all'ingresso principale. Era tutto molto semplice e sul
marmo bianco che sovrastava l'apertura principale spiccava una sola parola: Haron, la
Belva. Halid la fissò
distrattamente e si concentrò sull'incontro che da lì a pochi minuti lo
aspettava. Il Bambino Senza Occhi avrebbe letto di nuovo nel suo animo. Forse
avrebbe fatto le stesse domande dell'ultima volta, e di quella prima ancora. O
forse no. A volte era imprevedibile. Halid sorrise all'uomo di fronte a lui nel momento in cui
lo vide entrare nel tempio. Stava per affrontare le sue paure. Halid sapeva che quell'uomo non
avrebbe trovato il coraggio di affrontare la prova. O perlomeno lo sperava per
lui, perché non l'avrebbe di certo superata.
Quando Halid si fermò, con i piedi sulla linea rossa del pavimento
che indicava l'ingresso nel regno della Belva, gettò lo sguardo nella penombra
che avvolgeva il tutto. Dietro di lui il sole era alto e caldo, quasi
impossibile da sopportare. Davanti invece si apriva una stanza buia illuminata
tenuemente da poche fiaccole. Il pavimento all'interno del tempio era di un
granito rosso scuro, cremisi come il sangue malvagio. Gli incensi che bruciavano diffondevano un
odore quasi fastidioso che insieme al silenzio ovattato e alla penombra
conferiva un'aria quasi magica all'insieme.
Appena oltre la
soglia del tempio due sacerdoti attendevano in silenzio, col volto rivolto
verso i pellegrini in fila sotto il sole. Alcuni raggi filtravano attraverso i
tendaggi scuri e disegnavano strisce incandescenti sui loro corpi. Halid attendeva con pazienza il suo turno. Seguì ancora una
volta il passo incerto dell'uomo che lo precedeva e lo vide sparire oltre il
varco che conduceva alla stanza del Puro, una piccola apertura in fondo al
grande locale principale.
Quando dalla stanza
del Bambino Senza Occhi giunse il suono di una campanella i due sacerdoti si
mossero quasi all'unisono e allungarono le braccia verso Halid.
– È giunto il
momento – disse uno di loro. Senza dire nulla Halid
fece un passo in avanti ed entrò nel tempio della Belva. I due sacerdoti
cosparsero il suo corpo con degli olî profumati, quindi indicarono anche a lui
il varco in fondo alla sala. Halid la fissò per un
istante senza muovere un passo. Le lame di luce che penetravano dai tendaggi
sembravano tagliare in due la sala. I pochi passi che lo separavano dal Puro
sembravano ogni volta i più difficili. Dopo, tutto era più semplice.
Halid avanzò con passi lenti e
misurati. Voleva sembrare sereno, ma sapeva che l'incontro con il Puro lo
avrebbe scosso, più del ruggito della Belva. Contò i passi fino alla piccola
apertura e quando si fermò davanti alla soglia quasi dovette trattenere un sorriso.
Dodici passi. Uno in
più dell'ultima volta. Era più contratto e il nervosismo che sentiva crescere
dentro di sé lo tratteneva più di quanto avrebbe voluto. Il Puro lo avrebbe
giudicato ancora una volta. Halid sperò che potesse
capire.
Il varco era coperto
da un velo leggero. Halid lo scostò ed entrò nella
piccola sala bianca. Si fermò un passo oltre la soglia, lo sguardo basso in
segno di reverenza.
– Vieni pure avanti,
Halid – disse una voce angelica, quasi femminile.
Halid alzò la testa e puntò gli occhi
sul volto del Puro, il Bambino Senza Occhi. Colui che può vedere. E capire.
L'uomo avanzò di pochi passi e si fermò a un metro dal trono eburneo. La stanza
era completamente vuota e il trono era proprio nel mezzo di essa.
Il Bambino Senza Occhi stava seduto immobile, il volto liscio e sereno sembrava
quello di una statua di marmo. Le cavità vuote degli occhi erano due pozzi
neri, colmi del dolore degli uomini, delle loro incertezze, delle loro
nefandezze.
– Bentornato uomo.
– È un onore per me,
Altissimo.
Halid si inginocchiò e con le mani
carezzò i piedi del fanciullo. L'uomo distolse gli occhi dal volto del Puro e
rimase con la testa china, in attesa.
– Lo sai che posso
leggere nel tuo cuore – disse il Puro.
– Non mi aspetto
nulla di meno.
– Il ruggito della
Belva può rasserenare il tuo spirito?
– Io sono umile
schiavo dell'Altissimo e della Belva.
– Lo sai che solo un
animo puro può superare la prova? – La voce del fanciullo era melodiosa e rilassante, ma Halid si sentiva
denudato da quelle semplici parole.
– Alla Belva non
piacciono le falsità. Solo chi non viene per sé può uscire vivo dalla Katham, la grande porta della salvezza – aggiunse il Puro.
– Lo so, mio
signore.
– Seguirai lo stesso
il percorso?
– Voglio sentire il
ruggito della Belva.
– La belva aiuta
anche chi non affronta la prova – spiegò il fanciullo.
– È così, Altissimo.
Forse troverò la forza di affrontare la prova.
– Io ti leggo nel
profondo Halid. Io conosco il tuo tormento.
– Lei non c'è più,
mio signore – mormorò l'uomo.
– Credi che sia
stato tutto vano?
Halid scosse la testa. – Ho avuto più
tempo di quello che speravo. Nulla è stato vano.
– Ma cerchi ancora
una risposta dentro di te.
– Cerco solo un po'
di serenità.
– La belva sentirà
il tuo dolore. Ma troverà qualcos'altro.
– Prima o poi dovrà
finire – disse Halid, sempre con la testa china, gli
occhi umidi.
– Lei non avrebbe
voluto – sentenziò il Bambino Senza Occhi.
– Forse no. – Ammise l'uomo. – Ora preferirei andare.
– E sia – concesse
il Puro. – La Belva
ti attende.
Halid si alzò e senza guardare il volto
del fanciullo passò al fianco del trono. A pochi metri c'era un altro varco. Halid scostò la tenda e passò oltre. In quel punto iniziava
il percorso della Belva.
– Eccomi – mormorò
appena dentro. Il corridoio che si distendeva davanti a lui era buio e
silenzioso. Si percepiva solo il rauco respiro del demone. Halid
avanzò con passi lenti. Il corridoio curvava leggermente a sinistra e girava
tutto intorno a una stanza circolare. Ogni dieci metri, sulla sinistra, si
apriva un piccolo varco coperto da tende cremisi: gli ingressi che conducevano
nel regno della Belva.
Quando Halid arrivò davanti al primo varco si fermò e chiuse gli
occhi. Il respiro della Belva sembrava più forte.
– Sono di nuovo qui
– mormorò Halid a denti stretti. Il demone sapeva che
lui era lì, così come intuiva il passaggio di tutti gli altri. Viveva delle
loro paure e delle loro incertezze. Era a un passo oltre la tenda. Halid avrebbe potuto allungare una mano e sfiorarlo, ma non
si mosse. Riaprì gli occhi e riprese a camminare.
Seguì la curva del
corridoio sfiorando con la spalla destra il muro opposto agli ingressi. A ogni
passo le gambe diventavano più pesanti e si sentiva sempre meno lucido.
Quando arrivò al
secondo varco si fermò di nuovo. Ancora il respiro della Belva era più forte
del battito del suo cuore. Halid vide la tenda
muoversi. La Belva
era a un passo, proprio di fronte a lui. Poteva decidersi una volta per tutte
e…
Mosse un passo in
avanti e si lasciò il secondo varco alle spalle. Nonostante lì dentro l'aria
fosse fresca, stava sudando. Sentiva la tunica incollata sulla schiena e rivoli
di sudore colavano dalla fronte lungo il suo viso.
Il terzo varco era
l'ultimo. Superarlo significava lasciare il tempio dalla Julaz,
la piccola porta. La porta della vita e della non speranza.
Oppure poteva
affrontare la prova. Oltrepassare il terzo varco e trovarsi a faccia a faccia
con il destino, come tanti anni prima. Ma allora era giovane e credeva in
qualche cosa di più grande di sé stesso. Il demone avrebbe ricordato? Lui
poteva trovare quella stessa forza, o stava cercando solo una via più semplice?
Entrare nel regno
della Belva significava andare incontro alla morte e al fallimento. Questo Halid non voleva concederselo. Strinse forte i denti e
avanzò a passo deciso. Si fermò davanti all'ultima tenda
cremisi e rimase immobile.
– Non posso farlo –
disse. Dall'altro lato rispose solo un grugnito e il rauco respirare della
Belva. Quindi Halid si voltò e corse verso l'uscita,
verso la piccola Julaz. Alle sue spalle il respiro
del demone sembrava già più debole e incredibilmente lontano.
Nella sua testa si
riaffacciarono le parole che aveva scambiato con il Puro
pochi anni prima.
– Perché ritorni, Halid? – la voce dell'Altissimo era sempre morbida e armoniosa.
– Per non
dimenticare mai – aveva risposto l'uomo.
– In questo luogo
vengono persone che cercano una risposta, che credono in qualche cosa. Oppure
che hanno semplicemente una speranza.
– Lo so, Altissimo.
– Qual è la speranza
che ti conduce ogni anno in questo luogo di sofferenze? – aveva chiesto il
Bambino Senza Occhi, eterno e saggio.
– Ma tu…
– Io lo leggo dentro
di te, ma tu hai mai provato a dare voce ai tuoi tormenti?
Halid aveva alzato la testa e per
qualche secondo aveva fissato il volto del Puro, le cavità degli occhi nere
come la notte.
– Vengo qui con la speranza di non dover mai più affrontare la
prova.
– È una buona
speranza, Halid.