MUCCAPAZZA
di Massimo Maugeri
Siamo teatranti in festa
con la morte nel cuore, ha
detto muccapazza non molto tempo fa. Penso spesso a quella frase. Ha
percorso i cunicoli grigi dei miei sentimenti aggrovigliati, si è insinuata tra
gli anfratti confusi dei sensi di colpa, per poi ergersi dal cumulo di banalità
del pensiero dilagante.
Muccapazza non c'è. Non la trovo.
Quella frase continua a
rimuginarmi nel cervello.
Non avrei mai creduto di
poter rimanere coinvolto fino a tal punto, impegolato in questa sorta di
melassa informatica. Sarei stato capace di scommettere tutto quello che ho.
Sono esente da queste stronzate, avrei detto. Io? Vogliamo scherzare? Sono una
persona seria, io.
Integerrima. Ho un mucchio di cose da fare. Scadenze che mi perseguitano, un
inferno di toghe da gestire, destini da decidere in fretta sotto l'alea di una
giustizia teorica. Ho caffè da ingurgitare uno dietro l'altro, collaboratori di
cui non ci si può fidare, sigarette da respirare finché cancro non ci separi,
discorsi da sentire senza ascoltare, incontri meno eludibili delle tasse. E ho
ancora carte da studiare, libri, codici e manuali da compulsare e fiumane di
sentenze, leggi e decreti che mi sommergono aggrovigliandosi in spinosi circuiti
contraddittori.
E ho l'amara, recondita
percezione del tempo che passa.
Dov'è muccapazza?
Non ci avrei mai creduto,
ma non posso nemmeno dire di essere sorpreso dallo squallore nudo del mio
agire.
Non mi lamento, no;
sopravvivo a me stesso nascondendomi dietro il bagliore diafano di questo
computer portatile. E non è vergogna quella che provo. Solo una vaga sensazione
di miseria interiore cristallizzata nel profondo. Rinnego me stesso, sì; vorrei
volgere le spalle allo scorrere quotidiano di queste giornate vacue, ma so di
non averne la forza.
Chi mi conosce avrebbe
difficoltà a individuarmi tra i meandri oscuri di questa sordida pantomima. Lui
ha tutto, direbbero. Tutto ciò che si può desiderare.
Ho tutto, certo: un
rivoltante lavoro di successo, una buona ed effimera salute, una splendida
famiglia angosciante.
Una vita felice.
Dov'è muccapazza?
Conobbi mia moglie
nell'estate del Settanta. Tutt'altra donna da questa bisbetica cialtrona. O
forse erano i miei occhi che guardavano, allora, con il filtro ingannevole
dell'ingenuità giovanile, con la generosa percezione di chi è a credito nei
confronti della ruota perenne. Non v'è dubbio che mia moglie, a vent'anni,
offrisse ben altri scenari alle mie fantasie di ragazzo, diverse strade
percorribili, promettenti situazioni futuribili. Un visino lungo,
ma grazioso, adornato da due soavi mezzelune che sfioravano gli angoli
della bocca; quelle stesse mezzelune che sarebbero diventate, negli anni,
profondi solchi di freschezza avvizzita. Aveva le spalle dritte, mia moglie,
capelli freschi da farsi scivolare tra le dita e l'eloquenza vivace di una
mente fervida non inacidita dalle delusioni degli anni. M'innamorai di quelle
soavi mezzelune, della postura eretta, della chioma fluente, della ricca
eloquenza. Almeno, pensai di essermi innamorato. Non saprei dire, oggi, se fu
vero amore o solo il guizzo fugace di un incauto impulso.
Eppure festeggiamo ancora
le ricorrenze. Ci siamo convinti che amiamo farlo, che è ciò che vogliamo. Ci
sono momenti in cui me ne convinco anch'io, ma passano rapidi come l'incedere
sfuggente di una fortuna sfiorata.
Non siamo altro che
teatranti in festa con la morte nel cuore; pronti a celare le nostre angosce
dietro sorrisi tirati e a coinvolgere il mondo sbandierando la natura giuliva
delle nostre coscienze, abborracciando congratulazioni a iosa, ammannendo cene
pantagrueliche per ogni evento possibile. Sì, è questo che siamo: teatranti in
festa con la morte nel cuore.
Muccapazza non c'è.
Vedo gli altri:
superdotato, lanimalo_61, sperman, ninfea28,
tettonica, gnoccanet. Ci sono tutti, tranne muccapazza. Ce n'è anche di nuovi: yety,
proboscide, maggiora. C'è pure un tale che si differenzia dagli altri, che
sorprende per la generosa originalità del suo nomignolo: bentrovato
a te, piero. No, non ho alcuna voglia di avviare una
conversazione riservata!
Ho una figlia, insipida
come l'aria di questa metropoli, che annaspa tra gli stagni lerci del mondo
scambiando consigli per rabbuffi e filtrando ogni cosa attraverso una ridicola,
donchisciottesca visione della verità. Amo mia figlia più di me stesso, mi
dico, e non mi condizionano la sua natura sciatta, le sue fattezze sgraziate,
il suo disperato bisogno di altro.
Ha ereditato il peggio di me e di sua madre, lo so, come mia moglie e io - del resto
- abbiamo preso il peggio dei nostri antenati. È una maledizione insita nella
nostra stirpe, che nemmeno i più disperati interventi di eugenetica potrebbero
sradicare. Ma non è questo che m'inquieta, quanto piuttosto l'insopportabile
latrare della madre, il suo indice puntato sulla mia inadeguatezza di uomo, di
marito, di padre.
Mia moglie mi parla, mi
urla, mi sommerge di frasi caustiche nel diuturno tentativo di inchiodarmi alle
mie responsabilità, gesticola, accompagna il tutto con il tono mordace della
sua mezza età, mi accusa, si passa le mani tra i capelli crespi, non più
fluenti, mi scaraventa i suoi pensieri irrisolti, le sue teorie caracollanti,
s'inasprisce al muro della mia indifferenza, al deliquio delle mie capacità
reattive.
Ho lasciato che tutto
scivolasse via.
Ho abbandonato le vesti
del teatrante in festa per aprire il passo alla schizofrenia latente, e ora
rifletto le mie frustrazioni sullo schermo di questo portatile obsoleto.
Al chiuso del mio studio,
lontano dalle mura domestiche, ho affidato una vita parallela agli impulsi
elettronici di un modem, e i pensieri sono passati sfuggenti tra queste dita
brancicanti per fissarsi nei caratteri provvisori partoriti dai pulsanti unti
di questa tastiera.
Muccapazza è stata l'ancora di salvataggio, il
faro nella notte tetra, la palingenesi del mio io derelitto, l'antidoto al
veleno dell'esistenza. Ho atteso con ansia quegli incontri virtuali. Ho pensato
a lei ogniqualvolta mi apprestavo ad abbandonarmi alla nequizia incerta del
sonno, e ho abbracciato le leggiadre eteree fattezze di donna dei desideri
offertemi dalle mie visioni ipnagogiche. L'ho percepita nelle mie ore vuote,
soave immagine eidetica. E adesso, tutto ciò che mi resta, è questo nulla
ferale; e l'angoscia insostenibile che attraversa la mia natura agonica traviata
da questi moderni ircocervi.
Il primo incontro fu
frutto del caso. Navigavo alla ricerca di siti specializzati sulle novità
giurisprudenziali. D'improvviso un'icona lampeggiante attirò tutta l'attenzione
cui la mia mente obnubilata era in grado di offrire. Cliccai, aprii le orecchie
a quella sorta di canto delle sirene telematico e approdai a quell'isola di
nulla che unisce le solitudini. Tra voci multiple, parole
vorticanti, nomignoli assurdi, mi lasciai trascinare nella confusione
solipsistica di quella comunità. Finii per assecondare il sistema ricorrendo a
un epiteto dozzinale capace di imporsi all'altrui attenzione.
Fu muccapazza
che venne a me.
Fu lei che cominciò.
Di sera in sera, nel buio
rischiarato dalla luce crepuscolare di quegli incontri
virtuali, muccapazza e io ci univamo in
emozioni inattese che dalle parole scritte rimbalzavano sui nostri sensi
accesi. Non chiesi mai il suo numero di telefono. Non volli mai passare a forme
alternative di conversazione. Né desiderai incontrarla, per il timore che
quell'eccitamento magico rubato alla fisicità dei rapporti ordinari potesse
svalutarsi di fronte a una corporeità che avrebbe potuto renderci estranei.
Così mi accontentai di quel poco di lei che bastava ad avviare le mie pulsioni
onanistiche.
È stato ieri che mia
moglie mi ha lacerato nell'intimo rivelandomi i disastri morali dei quali nostra figlia, la nostra unica figlia, si era
rivestita. All'enunciazione di quelle che furono presentate come novità agghiaccianti, fui pervaso da un
terrore cieco e da un'indecisione ansiosa che lì per lì non seppi come gestire.
Era capitato che, per una
sorta di bizzarro impulso autolesionista, mia figlia si fosse confidata con la
cugina, figlia della sorella di mia moglie, la quale con la duplicità di un
doppiogiochista di professione, aveva provveduto a raccontare tutto ai
genitori. La mattina successiva mia moglie aveva
appreso che nostra figlia soleva comunicare via Internet di cose di sesso con l'inverecondia di una
donnaccia di strada. Quelle abitudini insane, peraltro, perduravano da mesi e
pareva che la ragazza accompagnasse non di rado le oscene comunicazioni
dattiloscritte con atti impudichi assai difficili da descrivere per una persona
a modo. La reazione di mia moglie fu brutale. Fece a pezzi l'apparecchiatura
casalinga che consentiva la connessione veloce alla rete e intimò a mia figlia
di trascorrere la serata chiusa in stanza a dedicarsi ai doveri scolastici, ché
quello sarebbe stato il suo unico impegno nelle settimane, anzi nei mesi, di
più, negli anni a venire, visto che non avrebbe giammai rimesso il naso fuori
di casa. Fui quasi sorpreso dal sottile illogico paradosso insito nella scelta
di quella punizione carceraria, giacché proprio all'interno delle mura
domestiche la ragazza si era macchiata delle colpe contestatele.
Mia moglie non mancò di
rinfacciarmi, con l'abituale spietata animosità acquisita in anni di litigi efferati,
la mia presenza evanescente nel ruolo di padre. Considerò che il mio
atteggiamento evasivo nei confronti della ragazza, che di certo aveva avuto un
ruolo predominante per lo sviluppo di quelle vergognose
confusioni adolescenziali, non poteva più esser
giustificato dall'alibi incerto di un lavoro impegnativo cui dover
render conto.
Fu in quel momento che il
tarlo del dubbio cominciò a rodermi.
Quante possibilità
c'erano che oltre le parole sensuali di muccapazza,
dietro quelle espressioni di eccitante impudicizia che giungevano sino alla
superficie del mio schermo, potesse celarsi il sangue del mio sangue?
Avrei parlato con mia
figlia, sì! Mia moglie me l'imponeva come dovere inevitabile di padre. E
l'avrei fatto. Sì, le avrei parlato. L'avrei ammonita con sferzante severità.
Ma poi? Se davvero fosse lei muccapazza?
Non saprei dire se le mie
perplessità, la mia angoscia, fossero determinate in via principale dall'idea
di aver potuto dare origine a un incesto telematico o se, invece, fossero solo frutto
del consapevole rischio di dover rinunciare a muccapazza
per sempre.
Così, mentre mia figlia è
relegata all'isolamento dalla rete nei confini della sua stanza, io sono qui,
rintanato nel mio studio, assoggettato agli impulsi elettronici di queste anime
confuse, a sprofondare nelle acque torbide dell'inquietudine.
E attendo.
Vieni muccapazza,
vieni. Dimostrami con il tuo arrivo che non discendi dalle mie ossa. Offri a
questi nervi logori il prezioso dono del sollievo. Da' futuro a questo
disperato bisogno d'incontrarti.
In fin dei conti non
m'importa di null'altro. Lo sai anche tu. Non è così difficile. Potremo
continuare a svolgere i nostri compiti con l'affabilità di sempre, a braccia
aperte, con le coscienze intatte, il sorriso disegnato, le battute a mente.
Da bravi attori.
Perché è questo che
siamo, in fondo: teatranti in festa con la morte nel cuore.
Da Tellusfolio
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