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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Contre repêchage, di Grazia Giordani 09/09/2010
 

Contre repêchage

di

Grazia Giordani

 

Tecum vivere amem, tecum obeam libens» - le aveva scritto sulla sabbia, preferendo dichiararsi con i versi di Orazio, piuttosto che con una frase banale. Aurelio era nemico dell'ovvio e del già troppe volte detto. Eppure, lei avrebbe preferito uno scontato «ti amo», parole d'amore meno complicate e – soprattutto – non scritte dove il vento le avrebbe presto sconvolte e cancellate. Tra qualche momento non le sarebbe più stato possibile leggerle. E questo pensiero la preoccupava, quasi sentisse in aria una catastrofe imminente.
E poi, perché nemmeno un bacio? Solo carezze lievi, appena accennate, quasi temesse di sciuparla, sciupando quel momento.
Aurelio viveva questo amore adolescente con una finezza esagerata, a giudizio di lei, bisognosa di un po' di concretezza.
Quel liceale bruno, di raffinata cultura, portava in cuore soprattutto la loro prima passeggiata pomeridiana, lontano dalla spiaggia. Attraverso la pineta avevano raggiunto uno spiazzo con le giostre, venditori di zucchero filato e mandorle caramellate. Ne aveva acquistato un sacchetto, versandone parte nella mano di lei che, poi, aveva stretto dentro la sua. Le mandorle si erano sciolte, colando, appiccicose lungo le dita della ragazza. Ma, quella piccola ginnasiale, non aveva fiatato, timorosa di rompere l'incanto di un contatto così a lungo desiderato.
L'estate sfumò dentro nuvole d'ardesia, lavata da una pioggia che pareva voler lavare il mondo. E a lei parve che lavasse anche i sentimenti del ragazzo.
Poche lettere, troppo intellettuali e poco amorose suggellarono quella storia senza memorabili eventi.
Quella sera, a Milano, proiettavano il film Ha ballato una sola estate. La protagonista, Ulla Jacobsson, gli ricordò quella ragazzina, incerta, piena di ansie, che adesso avrebbe voluto rivedere. Aurelio era troppo preso dagli studi, dal bisogno di fare strada, guadagnare, vista la povertà della sua famiglia. Fece carriera universitaria alla facoltà di lettere. Si sposò con una brava ragazza conosciuta in fretta. Eppure, quel lontano amore acerbo aveva continuato a mantenere uno spazio nascosto nelle latebre sotterranee del suo cuore.
Un giorno gli parve di vederla riflessa nella vetrina di un libraio quella ragazzina del suo passato?
Possibile? No, non era lei.
Gli anni trascorsero tra alti e bassi, come la vita di molti di noi.
Chiamò la primogenita col nome di lei.
Silente omaggio, noto soltanto ai suoi ricordi.
Amava la primavera, anche quella milanese, sporcata dallo smog.
Nei pressi di casa c'era un giardino semiabbandonato dove spesso si dirigeva, spontaneamente, quasi spinto da un arcano richiamo interiore, una voce dell'anima, cui non sapeva sottrarsi.
Camminò fra i cespugli di rosee sfatte, incespicò nel pietrame che sporgeva dal terreno dissestato. Si aggrappò ai rami di un alberello basso e rugoso. Barcollò, si riprese. Cadde senza speranza di salvezza. Ebbe una visione fulminea di quel lontano passato, mentre sul cuore gli brillava il rubino di una rosa.

 

 
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