Contre repêchage
di
Grazia Giordani
Tecum vivere amem, tecum obeam libens» - le aveva scritto sulla sabbia, preferendo dichiararsi
con i versi di Orazio, piuttosto che con una frase banale. Aurelio era nemico
dell'ovvio e del già troppe volte detto. Eppure, lei avrebbe preferito uno
scontato «ti amo», parole d'amore meno complicate e – soprattutto – non scritte
dove il vento le avrebbe presto sconvolte e cancellate. Tra qualche momento non
le sarebbe più stato possibile leggerle. E questo pensiero la preoccupava,
quasi sentisse in aria una catastrofe imminente.
E poi, perché nemmeno un bacio? Solo carezze lievi, appena accennate, quasi
temesse di sciuparla, sciupando quel momento.
Aurelio viveva questo amore adolescente con una finezza esagerata, a giudizio
di lei, bisognosa di un po' di concretezza.
Quel liceale bruno, di raffinata cultura, portava in cuore soprattutto la loro
prima passeggiata pomeridiana, lontano dalla spiaggia. Attraverso la pineta
avevano raggiunto uno spiazzo con le giostre, venditori di zucchero filato e
mandorle caramellate. Ne aveva acquistato un sacchetto, versandone parte nella
mano di lei che, poi, aveva stretto dentro la sua. Le mandorle si erano
sciolte, colando, appiccicose lungo le dita della ragazza. Ma, quella piccola
ginnasiale, non aveva fiatato, timorosa di rompere l'incanto di un contatto
così a lungo desiderato.
L'estate sfumò dentro nuvole d'ardesia, lavata da una pioggia che pareva voler
lavare il mondo. E a lei parve che lavasse anche i sentimenti del ragazzo.
Poche lettere, troppo intellettuali e poco amorose suggellarono quella storia
senza memorabili eventi.
Quella sera, a Milano, proiettavano il film Ha ballato una sola estate. La
protagonista, Ulla Jacobsson,
gli ricordò quella ragazzina, incerta, piena di ansie, che adesso avrebbe
voluto rivedere. Aurelio era troppo preso dagli studi, dal bisogno di fare
strada, guadagnare, vista la povertà della sua famiglia. Fece carriera
universitaria alla facoltà di lettere. Si sposò con una brava ragazza conosciuta
in fretta. Eppure, quel lontano amore acerbo aveva continuato a mantenere uno
spazio nascosto nelle latebre sotterranee del suo cuore.
Un giorno gli parve di vederla riflessa nella vetrina di un libraio quella
ragazzina del suo passato?
Possibile? No, non era lei.
Gli anni trascorsero tra alti e bassi, come la vita di molti di noi.
Chiamò la primogenita col nome di lei.
Silente omaggio, noto soltanto ai suoi ricordi.
Amava la primavera, anche quella milanese, sporcata dallo smog.
Nei pressi di casa c'era un giardino semiabbandonato
dove spesso si dirigeva, spontaneamente, quasi spinto da un arcano richiamo
interiore, una voce dell'anima, cui non sapeva sottrarsi.
Camminò fra i cespugli di rosee sfatte, incespicò nel pietrame che sporgeva dal
terreno dissestato. Si aggrappò ai rami di un alberello basso e rugoso.
Barcollò, si riprese. Cadde senza speranza di salvezza. Ebbe una visione
fulminea di quel lontano passato, mentre sul cuore gli brillava il rubino di
una rosa.