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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il centravanti di Remo Bassini 27/07/2006
 

Il centravanti (racconto) di Remo Bassini

Questo racconto è pubblicato in un'antologia curata da Giusy Baldissone (Racconti di sport) con autori noti (Givone, Ricciardiello, Laura Bosio) e meno (come me).

Sono le 3, devo dormire, ma più lo dico e meno ci riesco. Devo rilassarmi, scegliere i pensieri giusti. I gol più belli. Il mare della Calabria, la piazza del paese, il gatto. Ora faccio entrare aria: fa caldo stanotte in questo albergo di Torino. Ma anche restassi sveglio tutta notte so che domani giocherò bene. Ieri su Stadio hanno scritto: Un calciatore sconosciuto, non più giovane, un figlio del sud che ha sempre militato fra i dilettanti, domenica vivrà un giorno di gloria: perché giocherà contro la difesa più forte della squadra più forte d'Italia. Giornalisti ruffiani. Ho fatto raffiche di gol in prima categoria, Promozione e in serie D, e voi sempre a dire, ripetere, che ero brutto da vedere. Troppo piccolo e tarchiato. Scrissero: Ha qualcosa in comune con Maradona: la “tondità. La mamma ci restò male, pianse; stasera mi ha telefonato: sa che domani giocherò bene, ma ha paura: che io voglia strafare, che corra troppo, che mi faccia espellere se qualcuno dovesse dirmi “nano terrore”.
Ti ricordi mamma quando Lino ti pigliava a calci e pugni e diceva Sei brutta come un rospo? e che io non potevo essere figlio suo? No, non devo pensarci, altrimenti non dormo.
Un altro Lino, Lino DeLuca il magazziniere della prima squadra di serie D in cui ho giocato, è stato il mio vero padre. Un centravanti alto un metro e 70 e che pesa 74 chili, se non gli dài l'opportunità di dimostrare che ha il fiuto del gol come pochi, è destinato a far la riserva. Peggio: riserva delle riserve. Durante le partitelle del giovedì stavo ai bordi del campo: squadra A contro squadra B. Poi alla fine, io coi ragazzini a giocare qualche minuto. Ma il mister aveva già visto quello che doveva vedere. Per lui non esistevo: inutile dare l'anima in quei pochi minuti. Meglio tornare al paese, fare il muratore: come riserva delle riserve guadagnavo troppo poco per pagare il cardiologo per la mamma. Fosti tu, Lino, a convincermi a restare, quella sera che entrasti nello spogliatoio. Ero rimasto solo io. Piangevo. Andiamo al bar, andiamo a bere qualcosa, dicesti.
Ti dissi di me, di mio padre che in casa si vantava di essere andato a puttane, di quando mi diceva: brutto come sei puoi farti solo seghe. Cose che non avevo mai raccontato a nessuno. Come di quel giorno che lo picchiai, cacciandolo da casa. Ero tornato dall'allenamento. Lui era ubriaco, la mamma sanguinava dal naso. Aveva il vestito strappato, le mutande per terra.
Ti raccontai tutto, Lino DeLuca. Tu mi raccontasti di tuo fratello, in fin di vita, e che la sera prima di addormentarti sognavi di fare l'allenatore. Tu, lavorando in squadre di serie C e D, avevi rubato i segreti a tanti tecnici. Qualche allenatore, quando parlo con lui, mi ascolta, qualcun altro no, dicesti. Chissà se mi avevi mai notato sul campo: ero uno dei 28 giocatori, uno degli ultimi. Quando giocavo scampoli di allenamento tu già ritiravi paletti, palloni e pettorine.
Era mercoledì. Il giorno dopo, giovedì, l'allenatore mi fa giocatore la partitella con le riserve. Gli avevi parlato tu. Segnai un gol, colpii una traversa, per due volte rubai palla ai difensori, pressandoli. Tu mi guardavi da bordo campo, compiaciuto. La domenica fui convocato, andai in panchina, entrai alla fine, 5 minuti e un tiro; scagliai una sassata di punta, da 25 metri: per un soffio a lato. Dalla domenica successiva ebbi la maglia da titolare, la numero 28. Giocai sempre, fino a fine campionato: 12 partite, 12 gol.
Fui venduto a un'altra squadra di D. Ti salutai con un abbraccio forte forte, Lino DeLuca. Era tutto merito tuo. Non mi piace la gente, non mi piacciono i miei compagni di squadra. Sto solo, vado a pescare, a correre, sto in disparte e, ogni giorno, vivo per due telefonate: alla mamma e a te, il padre che avrei voluto avere.
Ho cambiato tante squadre ma ho sempre segnato, io. Il record è dell'anno scorso: 30 partite e 32 gol, tutti su azione.
Tanti di testa, in tuffo, rischiando i tacchetti dei difensori in faccia. Quando, ad agosto, mi dissero che un club di A era interessato a me pensai a uno scherzo. Certo, era una neopromossa del sud, con un presidente mafioso che paga con sei mesi di ritardo e che già sai che quando andrai via non prenderai ciò che ti spetta. Al sud succede: per arrotondare, fino all'anno scorso vendevo sigarette di contrabbando.
La mamma non è mai stata così felice, credo. Ora, in casa nostra, appeso al muro, accanto al Crocifisso c'è, incorniciato, un articolo. C'è scritto: Non è bello da vedere, è troppo tozzo. Nelle prove di velocità è lento. Ed è piccolo, non sa palleggiare in corsa. Poi lo vedi mentre gioca e si trasforma. Nello scatto breve arriva sempre primo, non perde mai un tackle, asfissia i difensori; si fa valere anche in elevazione, ma non è forte di testa. E' forte nella testa. Per lui è arrivata la prova del 9: a 28 anni la serie A.
Ero uno dei 32 giocatori. Riserva della riserve. Fino a cinque giorni fa. Ora devo riposare, è tardi. Sono quasi le 4, dormirò 4 ore. Domani farò una buona partita. I loro difensori sono veloci, prestanti, belli da vedere. Sono più forti di me. Lo era anche mio padre quando lo cacciai di casa.

 

 
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