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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L'atlante è l'arte del possibile, di massimolegnani 01/04/2011
 

L'atlante è l'arte del possibile

di

massimolegnani

 

 

Alice non lo sa, ma l'apatia che gli rimprovera nasconde un'inquietudine che ribolle e non ha sfogo. Un'insoddisfazione da vulcano che rimescola l'ira col ghiaccio in un magma che non arriva all'eruzione. All'apparenza Giulio è un Vesuvio sonnacchioso dal placido pennacchio, ma c'è stata anche Pompei, e una nuova Ercolano sarebbe catastrofica, che è impossibile dosare la violenza una volta che il cratere libera la lava. Giulio ne è cosciente e vorrebbe un modo d'acquietarsi che non sia essere spento ma nemmeno continua minaccia d'esplosione. Così prova col fumo ma subito coglie il controsenso di una benzina usata per sedare il fuoco, tenta la terra ma quel riporre semi come speranze in un futuro ha qualcosa d'inquietante, un eccesso smisurato di fiducia, si lascia coinvolgere da amici intraprendenti, ma troppi progetti si fanno fonte d'ansia a malapena soffocata. Alla fine quasi una resa quel mettersi a sfogliare un vecchio atlante. E lì, tra le pagine chiare e quelle oscure, scopre inaspettato un nuovo mondo e un nuovo modo di guardare avanti e indietro.

Una rivelazione.

Memoria e sogno negli stessi fogli, è questo il mistero dell'atlante.

Alpi, Toscana, NordEuropa, SudAmerica, ovunque cada il caso della pagina sarà un cadere fortunato, un affiorare di ricordi o un fantasticare sul possibile.

Così Giulio percorre con gli occhi sulla carta sempre più vivaci le antiche strade, quelle battute un tempo dal piede o dal pedale, traduce segni e simboli di china in memoria accesa, ritrova intatte le fatiche, le soste, le rinunce, la rara soddisfazione della cima, trema ancora alla discesa, impreca per i guasti, si smarrisce negli errori di percorso, ricostruisce con fervore sbagli e bei momenti, qui c'era la neve, qui la foratura, lì la fontana della sete mai estinta. È come ricavare esatta da una foto ormai sbiadita la memoria di un amore, l'anima, la pelle, il fremito, e passo passo riviverli al momento.

Sfoglia l'atlante Giulio e ricongiunge il passato col futuro in un'interezza che gli regala pace, perché, se capita sul foglio dell'Australia dove mai è stato e mai andrà, ecco che subito misura le distanze, studia le escursioni termiche, calcola le tappe, valuta l'arsura dell'interno, s'incanta ad Ayers rock, s'immerge nel sogno con realismo, e presto è pronto a traversare il continente da Sidney a Perth, come dovesse partire il giorno dopo.

Alice si stupisce di questa sotterranea metamorfosi che intuisce nella serenità dell'aria tra i divani più che nei tratti del viso finalmente rilassati o negli occhi più vivaci del suo uomo.

E ancora non è tutto.

Giulio torna all'Europa, inumidisce l'indice alla ricerca di una pagina precisa. Alpi francesi, appena oltre le montagne sue, e lì quel dito segue il percorso che s'inerpica in tornanti assassini verso il Col de l'Iseran, e ondeggia, come il culo di un ciclista affaticato. Giulio è tentato da quel passo mai tentato, il tetto dell'Europa, una follia che lentamente prende forma e affanno. Anche sulla carta patisce la fatica e l'aria rarefatta, il dito che si annebbia all'ipossia, lo sguardo che confonde asfalto e pelle, lo stesso stordimento già provato ma qui più vivo, è più reale l'ossigeno che manca, più concreto quel seno sconosciuto che si frappone e su cui sale con faticosa gioia. Il polpastrello è la sua ruota che gira arranca e sfiora precipizi, impossibili pendenze ed epidermide in un'ascesa senza fine. Potrebbe arrivare fino in cima, coronare con la facilità del dito il sogno e il seno, ma s'arresta in un sussulto di franchezza. A tre quarti di salita chiude l'atlante con un botto secco e un sorriso sulle labbra. Ha una stanchezza vera nelle gambe e un entusiasmo bello dentro gli occhi.

Giulio alza lo sguardo verso Alice che non sa. Le sorride, mai importato l'arrivo, dice, quello che conta è la possibile partenza.

 

 
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