L'atlante è l'arte del possibile
di
massimolegnani
Alice non lo sa, ma l'apatia
che gli rimprovera nasconde un'inquietudine che ribolle e non ha sfogo.
Un'insoddisfazione da vulcano che rimescola l'ira col ghiaccio in un magma che
non arriva all'eruzione. All'apparenza Giulio è un Vesuvio sonnacchioso dal
placido pennacchio, ma c'è stata anche Pompei, e una nuova Ercolano sarebbe
catastrofica, che è impossibile dosare la violenza una volta che il cratere
libera la lava. Giulio
ne è cosciente e vorrebbe un modo d'acquietarsi che non sia essere spento ma nemmeno continua minaccia d'esplosione. Così prova
col fumo ma subito coglie il controsenso di una benzina usata per sedare il
fuoco, tenta la terra ma quel riporre semi come speranze in un futuro ha
qualcosa d'inquietante, un eccesso smisurato di fiducia, si lascia coinvolgere
da amici intraprendenti, ma troppi progetti si fanno
fonte d'ansia a malapena soffocata. Alla fine quasi una resa quel mettersi a
sfogliare un vecchio atlante. E lì, tra le pagine chiare e quelle oscure, scopre
inaspettato un nuovo mondo e un nuovo modo di guardare avanti e indietro.
Una rivelazione.
Memoria e sogno negli stessi fogli, è questo il mistero dell'atlante.
Alpi, Toscana, NordEuropa, SudAmerica, ovunque cada il caso della
pagina sarà un cadere fortunato, un affiorare di ricordi o un fantasticare sul
possibile.
Così Giulio percorre con gli occhi sulla carta sempre più vivaci le
antiche strade, quelle battute un tempo dal piede o dal pedale, traduce segni e
simboli di china in memoria accesa, ritrova intatte le fatiche, le soste, le
rinunce, la rara soddisfazione della cima, trema ancora alla discesa, impreca
per i guasti, si smarrisce negli errori di percorso, ricostruisce con fervore sbagli
e bei momenti, qui c'era la neve, qui la foratura, lì la fontana della sete mai
estinta. È come ricavare esatta da una foto ormai sbiadita la memoria di un
amore, l'anima, la pelle, il fremito, e passo passo riviverli al momento.
Sfoglia l'atlante Giulio e ricongiunge il passato col futuro in
un'interezza che gli regala pace, perché, se capita sul foglio dell'Australia
dove mai è stato e mai andrà, ecco che subito misura le distanze, studia le
escursioni termiche, calcola le tappe, valuta l'arsura dell'interno, s'incanta
ad Ayers rock, s'immerge nel sogno con realismo, e presto è pronto a traversare
il continente da Sidney a Perth, come dovesse partire il giorno dopo.
Alice si stupisce di questa sotterranea metamorfosi che intuisce
nella serenità dell'aria tra i divani più che nei tratti del viso finalmente
rilassati o negli occhi più vivaci del suo uomo.
E ancora non è tutto.
Giulio torna all'Europa, inumidisce l'indice alla ricerca di una
pagina precisa. Alpi francesi, appena oltre le montagne sue, e lì quel dito segue
il percorso che s'inerpica in tornanti assassini verso il Col de l'Iseran, e ondeggia,
come il culo di un ciclista affaticato. Giulio è tentato da quel passo mai
tentato, il tetto dell'Europa, una follia che lentamente prende forma e
affanno. Anche sulla carta patisce la fatica e l'aria rarefatta, il dito che si
annebbia all'ipossia, lo sguardo che confonde asfalto e pelle, lo stesso
stordimento già provato ma qui più vivo, è più reale l'ossigeno che manca, più
concreto quel seno sconosciuto che si frappone e su cui sale con faticosa
gioia. Il polpastrello è la sua ruota che gira arranca e sfiora precipizi,
impossibili pendenze ed epidermide in un'ascesa senza fine. Potrebbe arrivare
fino in cima, coronare con la facilità del dito il sogno e il seno, ma
s'arresta in un sussulto di franchezza. A tre quarti di salita chiude l'atlante
con un botto secco e un sorriso sulle labbra. Ha una stanchezza vera nelle
gambe e un entusiasmo bello dentro gli occhi.
Giulio alza lo sguardo verso Alice che non sa. Le sorride, mai importato
l'arrivo, dice, quello che conta è la possibile partenza.