Enrico e Vanessa
Si erano
conosciuti all'asilo quando avevano quattro anni.
Erano due frugoletti speciali, biondissimi, paffutelli e dai lineamenti delicati.
Correvano e si rincorrevano come topolini da che arrivavano a scuola fino al pomeriggio, quando i genitori andavano a riprenderli.
Avevano simpatizzato subito e si trastullavano felici. Si cercavano e volevano
stare immancabilmente vicini. Piccolissimi, eppure già innamorati. Enrico singhiozzava quando nelle aule della scuola materna non
trovava la sua Vane.
Frequentarono insieme pure le scuole elementari.
“Non vado più a scuola se non c'è Vanessa!” aveva detto il bambino ai
genitori.
Così le due famiglie avevano
dovuto iscriverli sempre assieme.
Ma ogni tanto scoppiava qualche lite tra i due: “Sei il più scemo del
mondo,” diceva la bambina.
“E tu sei un'imbecille e spero che ti strozzi,”
rispondeva lui.
Dopo la quinta elementare, si erano separati per tutta un'estate poiché i familiari avevano scelto destinazioni
diverse per la villeggiatura.
Quando si erano rivisti, erano corsi l'uno nelle braccia dell'altra: “Ciao Vane,
finalmente!” aveva detto Enrico.
Chi scrive la loro storia non dovrebbe usare un verbo scialbo come: ‘aveva detto', quando ne ha tanti
altri a disposizione. Per esempio: ‘aveva cantato', ‘aveva gorgheggiato'. Insomma il ragazzo sembrava una tortora in
amore. Quell'incontro, quel ritrovarsi, avrebbe
commosso il più incallito fanatico di telenovele.
L'amore crebbe ancora alle scuole medie; i loro corpi andavano sviluppandosi poiché erano nella fase della preadolescenza. Essi affrontarono, tenendosi per mano, anche quel difficile periodo della vita d'ogni
ragazzo. Si raccontavano e si svelavano i vari segreti e le varie scoperte
sessuali. Fu Enrico il primo a sapere l'esatto giorno e l'ora precisa in cui a
lei sopraggiunse, per la prima volta, il ciclo mestruale. Fu lui e non la mamma
di Vanessa.
L'incontro e la comunicazione avvenne così:
” Ciao Vane, cosa c'è? Hai un viso strano.”
“Non t'interessa e anche se t'interessasse non te lo direi neppure
morta.”
Nessuno può letteralmente rizzare le orecchie, ma
Enrico ci andò molto vicino.
“Va bene, hai litigato con tua madre?”
“No. E non voglio litigare neanche con te, perciò smetti di fare
domande.”
“Va bene e chi fa domande! Quando è successo?”
“Successo cosa?”
“Mi pareva che avevi detto che era successo
qualcosa e che non volevi dirmelo.”
“Neanche per sogno. Ho detto che non volevo dirtelo, non che era
successo qualcosa.”
“Va bene, se non è accaduto niente di speciale, perché allora hai
quella faccia?”
“Non so perché continui a dire va bene, sembri più scemo del solito.”
“Giusto.”
“Non voglio dirlo a nessuno, meno che mai a te!”
“Giustissimo.”
“E' una cosa nuova, importantissima, terribile, bellissima! Ma non te
la posso dire.”
“Va bene, ma si tratta di te o di qualcun altro?”
“ Di me! Che domande! Comunque non chiedere più nulla perché non posso
parlare.”
“Va bene, ma è successo oggi?”
“Stamattina, e non fare altre domande e soprattutto non dire più: va
bene.”
“Okay, stamattina, è successo a casa tua?”
“Si, me ne sono accorta quando mi sono
svegliata. E ora finiscila!”
“Va bene, ma di che ti sei accorta?”
“Che avevo le mutandine tutte sporche di sangue! Scemo,
sei proprio uno scemo! Ora non parlo proprio più.”
Quando due ragazzi innamorati parlano di cose intime, generalmente vengono scambiate frasi tenere. Se questo non accadde fu
soltanto perché Enrico si trovò improvvisamente senza il fiato necessario per
pronunciarle.
Quando si riprese, biascicò: ”Eh eh, e
questo che vuol dire?”
“ Ma che sono diventata una donna! Te l'ho detto che sei scemo.”
Una donna! Lei era sempre la sua Vane, altro
che donna!
“ A me sembri sempre la stessa, comunque se sei contenta tu……”
“ Enrico tu sei un uomo e queste cose non le puoi capire.”
Lui continuava a capire solo che era sempre la stessa, ma si rendeva
anche conto di cosa le fosse avvenuto, poiché ne aveva spesso sentito parlare
dai suoi amici. E poi in classe avevano fatto il corso d'educazione sessuale.
“Questo vuol dire che da ora in poi potremo avere figli!” aveva solo
aggiunto.
Da quel momento però le cose tra i due cominciarono a cambiare.
Stavano frequentando la terza media e avevano tredici anni.
L'anno successivo si iscrissero al liceo classico e frequentarono il
primo anno con profitto. I genitori erano soddisfatti e vivevano finanche in
simbiosi. D'altra parte, entrambi i ragazzi erano figli unici. Se la famiglia di
Enrico d'estate andava al mare, anche quella di Vanessa vi si recava.
Per Natale andavano tutti in montagna. Ogni ricorrenza si festeggiava
in comune.
In quinto ginnasio, ebbero un nuovo compagno di origine olandese. Un
bellissimo ragazzo, alto, muscoloso, con occhi verdi e sorriso smagliante.
Tutte le compagne di Vanessa ne andavano matte e lo facevano chiaramente
capire. Lei sentiva battere forte il cuore quando
l'Olandese le sorrideva, ma faceva finta di niente per timore che Enrico se ne
accorgesse. Però il loro rapporto non era più lo stesso, poiché il ragazzo era
sempre innamoratissimo di lei e Vanessa invece lo trattava ormai come un
fratello. Lui dipendeva da lei in ogni minima cosa, la ragazza affrontava la
vita con più autonomia, aveva i suoi pensieri intimi e inconfessati, le sue
amicizie femminili che escludevano Enrico; insomma iniziava a crearsi tutto un
suo mondo che non aveva più niente a che fare con lui.
“Quest'estate parto e vado a Londra con la professoressa d'inglese,” gli disse verso la fine del primo liceo.
“Tu da sola non vai da nessuna parte,”
ribatté il ragazzo.
“Mi dispiace, ma ho già preso la mia decisione e poi i miei genitori
mi hanno dato il permesso.”
“I tuoi genitori avranno pensato che naturalmente verrò anch'io.”
“No, tu non verrai, una volta tanto voglio essere sola, e anche questo
papà e mamma lo sanno.”
Fu un duro colpo. Enrico non lo avrebbe mai immaginato.
“Non è vero, i tuoi genitori sanno e vogliono che venga anch'io.”
“Ti ho detto che partirò sola e così sarà.”
“E io ti ho detto che non andrai da nessuna parte senza di me.”
“Enrico sparisci!” ringhiò la ragazza.
Proprio questo dalla sua Vane non se lo
sarebbe mai aspettato. Cosa stava succedendo? Forse era solo un brutto sogno.
“Io non me ne vado e ora tu mi giuri che non partirai senza di me.”
“Io non ti giuro niente e non ti voglio più vedere.”
Altro colpo durissimo! Ma come era possibile tutto ciò?
“Per caso, a Londra, viene pure L'Olandese?”
“E questo che c'entra?”
“C'entra, c'entra, ho visto come lo guardi sempre!”
“Sei un verme!” sbottò Vanessa con l'aria di chi trova
incompleta la frase e vorrebbe aggiungere altri epiteti.
“Se io sono un verme tu stai diventando una brava sgualdrinella.”
E il cuore Enrico? Dov' era il cuore? Di certo sotto i piedi. La voglia
di piangere era straziante, ma ti contenevi con stoica resistenza!
“Coooosa!
Io sgualdrinella! Ma come ti permetti? Ti rendi conto
che una cosa del genere non me l'hai mai detta? Non ti voglio vedere mai più.”
Eppure anche il cuore di Vanessa era gonfio d'amarezza e di lacrime
mal trattenute. Si sentiva tradita, disprezzata. Il suo Enrico di una volta una
cosa del genere non l'avrebbe mai neppure pensata. Dov'era il suo ragazzino, il
suo amico fidato, il suo eterno amore?
Nel cuore di lei l'immagine del ragazzo si andava sempre più
incrinando, i sentimenti venivano offuscati dal
risentimento e l'affetto cedeva il posto all'orgoglio. Però un legame così
lungo e autentico è duro a morire; allora il dolore fu cocente e
improvvisamente la ragazza scoppiò a piangere. Erano lacrime che la facevano
singhiozzare.
“Ma che fai piangi?” Enrico tremava ed era stravolto dalla tenerezza.
“Ma come, dici che non mi vuoi più e piangi? Allora non è vero!”
Ma quanto le volevi bene, Enrico! Quella ragazza era ogni tua ragione
di vita. E' una frase fatta, scritta e ripetuta da ogni narratore di storie
d'amore, eppure descrive perfettamente quel sentimento che ti fa vedere solo
lei, ti fa pensare solo a lei, ti fa star bene solo se c'è lei.
Si abbracciarono piangendo entrambi.
Quell'estate partirono tutti e due per Londra..
Che gran bella città! Londra, con le sue torri, i suoi ponti, i suoi
parchi. Londra, poco romantica per gli innamorati, ma sempre complice di coloro
che vogliono baciarsi in piena Piccadilly Circus.
Fra la comitiva dei ragazzi c'era però anche l'Olandese. E lui non
perdeva mai l'occasione per fare gli occhi dolci a Vanessa, che era divenuta
una bellissima ragazza. Enrico ne soffriva, ma non diceva niente per non
avvilirla.
Iniziarono il penultimo anno del liceo. Lei era sempre svagata e ogni
tanto la sorprendeva a guardare, con occhi incantati e sognanti, il suo rivale.
Una sera erano in casa di lui. La guidò verso una poltrona, ve la
spinse e rimase ritto davanti a lei, nell'atteggiamento di un padre che sta per fare un discorso alla figlia prediletta.
“L'Olandese ti piace, lo guardi sempre con adorazione,” cominciò. “ Parlami di lui. Io so solo che ti sta sempre
alle costole.”
“Non è vero.”
“E' vero e lo sai. Dev'essere un imbecille.”
Vanessa era sulle difensive.
“Non lo è, e comunque non vedo perché dobbiamo parlare di lui.”
“Perché ti piace e arrossisci quando ti
guarda.”
“Tu sogni. Non è vero. E' la gelosia che ti fa parlare.”
“Com'è quel ragazzo? Che tipo è?”
“Se proprio lo vuoi sapere è un tipo sportivo, gioca a hockey.”
“Pattinatore?”
“Non hockey su ghiaccio, hockey su prato. E' molto bravo, fa parte di
una squadra giovanile e deve partire molto spesso.”
“Ah, sì certo, immagino, è un cavallone. Ha due piedi come due barche.”
Enrico, lei lo sapeva, aveva sempre detto pane al pane, ma ora le
spiaceva molto che chiamasse cavallone l'Olandese.
“Non lo definirei così, ” ribatté seccamente.
“Io sì,” insistette lui “mi ricorda tanto un
mio amico: faceva il sollevatore di pesi. Ne fui sempre affascinato. Quando
smise di allenarsi, diventò così grasso che non poteva più sollevare nemmeno
una piuma. E' quel che capita ai ragazzi muscolosi. Succederà anche al tuo eroe
quando smetterà di giocare a hockey. E' per questo che ti consiglio di
lasciarlo perdere.”
Lei era sempre più risentita.
“E' un bel ragazzo e tale sempre resterà, ma a me non interessa
affatto.”
“Vanessa tu non vuoi ammetterlo, ma ne sei invaghita.” Il viso di Enrico era molto alterato e la sofferenza lo
trasformava e lo imbruttiva.
“Ma che stai dicendo! Finiscila!”
“Non la finisco e preferisco che tu l'ammetta.”
Le sue mani, mentre parlava, avevano un movimento convulso.
“Io non ammetto niente e ora me ne vado.” Fece per alzarsi, ma Enrico
la fece cadere sulla poltrona con uno spintone.
“Ammettilo! Abbi almeno il coraggio di dirlo!”
“Ebbene sì, mi piace, e allora?” Aveva le mani afferrate ai braccioli
e lo guardava minacciosa.
Il ceffone che le sferrò, arrivò inatteso. Vanessa si levò di scatto e
scappò. Cercò di fermarla, ma la ragazza gridava ogni volta che la toccava per
bloccarla.
Si rividero a scuola, ma lei né gli parlava più, né lo guardava.
Cercava di avvicinarla, ma gli sfuggiva come un'anguilla.
Trascorse così circa un mese. Ormai lo ignorava totalmente e sembrava
che mai si fossero neppure conosciuti. Ogni tentativo di Enrico per
riconciliarsi era risultato vano. Lui era dimagrito molto, Vanessa invece
sembrava rifiorita.
La incontrò un pomeriggio in compagnia dell'Olandese. Camminavano
abbracciati e felici.
Il dolore può essere fisico? Per Enrico lo fu. Sentì una stretta
violentissima all'addome. Poi il cuore cominciò a pulsargli violentemente. Ebbe
dei conati di vomito e la testa gli girava.
A scuola seppe che ormai i due avevano rapporti completi.
La sua Vanessa! La conosceva da sempre e mai aveva pensato di portarla
a letto, sebbene avesse desiderato farlo un milione di volte.
Qualche tempo dopo, alcuni studenti del liceo stavano trascorrendo
l'intervallo sotto il primo sole di febbraio, nel giardino dell'istituto.
Bastò un temperino. Uno di quei coltellini multiuso con la lama piccola piccola.
Enrico si avvicinò alle spalle della ragazza. Voleva solo spaventarla
e l'afferrò per i capelli puntando il temperino alla gola. Ma Vanessa fece un
movimento brusco e la lama corta e sottile, non si fermò.
Tranciò di netto la carotide.
Lei cadde a terra, in una pozza di sangue, tra le urla terrorizzate
dei compagni.
Erano accorsi tutti, professori e bidelli. Era stata chiamata
l'ambulanza. Il preside pareva impazzito.
Enrico invece sembrava non capire cosa fosse
successo. Si sedette in corridoio, in silenzio, ad attendere. Attendere
cosa? La polizia forse. O quasi certamente tutta la sua vita futura senza
Vanessa.
Fu portato al carcere minorile.
”Volevo solo spaventarla,” continuava a
ripetere “non so che cosa sia successo, non so come sia potuto accadere.”
Piangendo, gridava: ”Non m'importa quanti anni mi daranno, voglio solo
poter avere una foto di Vanessa!”
“Vanessa” trovarono scritto sul suo zaino “sarai il mio amore per
sempre.”