Dal narratore che con il suo Ciclo
degli Ultimi (Il quinto stato, La vita eterna, Un altare per la madre)
ha saputo così incisivamente descrivere quello che era
la civiltà contadina ecco anche le poesie su quel mondo immoto in cui è nato e
cresciuto.
Nella poesia che segue la malinconia
dell'autunno è appena rischiarata dai ricordi
giovanili, da quei rumori, che nel silenzio, erano propri di un certo modo di
vivere, che lui non rinnega, ma che ormai finito gli lascia, più che un
rimpianto, una misurata nostalgia per un'età e un mondo che mai più ritorneranno.
In quegli anni
di
Ferdinando Camon
In quegli anni io
amavo la pianura
- il silenzio autunnale
torceva come frassini sul mondo
sette cieli gradinati come scale
quando io, seduto dove il sentiero
sbocca a delta nella spianata,
ascoltavo lo schiocco di frusta del carrettiere
e guardavo il nero
filo di fumo trascorrere come un levriere.
Il tempo ruminava
l'attesa, l'occhio del bue
spaziava oltre il limite delle fosche
aie,
con rapidi stratti di ciglia
cacciava le viscide mosche
e col tremito delle giogaie.
In quegli anni io
amavo il silenzio
- la pianura autunnale
picchiava alla porta
del cielo sollevando gli stormi
come un'offerta.
I confini del visibile sparivano
sussultando nel continuo riverbero
del fuoco polveroso
tra gli specchi del cielo e dei cieli.
In quegli anni io
amavo la campagna, muto.
Non sapevo di sedere ai confini
di un mondo scaduto.
Da Liberare l'animale – Garzanti, 1973
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