Ceccardo
Roccatagliata Ceccardi (Genova, 6 gennaio 1871 – Genova, 3
agoston1919). Per certi aspetti può essere considerato un
precursore di Eugenio Montale e di Camillo Sbarbaro, ma, poiché
la sua vita, abbastanza breve, è risultata a cavallo di due
secoli, nella sua poesia ci sono inevitabili riflessi di tormenti
decadenti che rimandano a Pascoli, a D’Annunzio, ma soprattutto
ai simbolisti francesi, in particolare Verlaine e Rimbaud. Peraltro
le sue opere mostrano una costante condizione di disagio derivante
dalla vita sregolata che conduceva, una sofferenza interiore che
rasenta l’autodistruzione e che è possibile verificare
anche nella poesia che segue, con un autunno descritto sì
mirabilmente, ma che è pure metafora di un tormento straziante
che prorompe dal fondo con una forza quasi carducciana.
Fantasmi
autunnali
di
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi
Ecco
la morte, o cuore; non senti l'autunno che viene
e in man la
falce tiene pei sogni e per l'amore?
ecco: già invade i
giardini tra un'onda di nebbia, le spalle
cariche di farfalle
morte e di gelsomini.
E invade le colline dal culmine d'oro
sognante
sul glauco ciel tramante di guazze settembrine.
Oh
strade di campagna ne l'ombra dei vespri perdute.
pallide strade
mute, dove la pioggia stagna,
ed egli va, a passo lento, le
siepi e le rame spogliando
foglia a foglia strappando, fra un
singhiozzar di vento!
Già dentro l'umida pieve, nel'albe
tra file di ceri
(fuori i cipressi neri tremano al rezzo
greve)
scende il pievan di velluto vestito d'or (una
squilla
pianger rauca, oscilla, fuori sul borgo muto)
e
dice ai morituri: la morte sentite? oh, pregate
per quante son
passate, bimbe, gigli sui muri,
pregate pace per quanti mai più
tornan dai profondi
capi brinati e biondi, bocche e cuor,
palpitanti!
Tu dolce amor lo sai e pensi: l'autunno già
viene
e in man la falce tiene: non tornerò più
mai.
Che importa se maggio inonda di petali rossi e niveali
gli
orti, e di frulli d'ali? Se d'un riso di bionda
luce, le case
inonda? Le rose, a novembre, un dì morte,
non sono mai
risorte su da la nebbia fonda!
Oh quando batton l'ore dei tristi
adii supremi
non vale, o cuor, se gemi, non val se piangi,
amore,
un gel di morte ne invade ed ogni sogno si
sfoglia:
perfin l'ultima foglia de la speranza cade!
Le
mani strette ai miti colloqui, le bocche tra baci,
i volti che
di paci rosee il sol ha fioriti
stan larve taciturne in fondo
all'anima quali
posano nei ducali orti, tra fonti ed urne
(e
dietro sfuman scene di pallida luce soffuse)
l'iddie pagane
schiuse le forme al ciel, serene
offron quelle bellezze antiche
cullate su l'anche
l'agili membra bianche, nido di tenerezze;
ma
sotto il marmo langue la vita (che freddo!) e l'ondate
sue
tiepide e rosate mai più vi slancia il sangue.
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