Qui
e ora
di
Walter Chiappelli
Editrice
Genesi
Poesia
Pagg.
80
ISBN
978887414796
0
Prezzo
Euro 10,00
La
Poesia di Walter Chiappelli fluisce come fiume che scorre
inesauribile sempre nuovo e contemporaneamente sempre uguale a sé
stesso: attraverso la temperie degli anni e delle occasioni sia
gioiose sia dolorose, la lirica di Chiappelli rinnova lo stupore e
l’ammirazione per la creazione della vita. Nella sostanza è
un canto primordiale. Se dovessimo immaginare il nostro antico
progenitore Adamo con accanto la sua compagna e sposa Eva, senza
altri sopraggiunti diversivi creati dalla cultura degli uomini
dopo la cacciata dal paradiso terrestre – le lotte per il
potere, le lusinghe dell’arte, la dedizione agli
intrattenimenti ludici e/o sportivi – penseremmo alla purezza
di un canto lirico completamente racchiuso e conchiuso nella
contemplazione stupita e commossa della creazione del cosmo,
all’interno del quale la vita biologica rappresenta l’acme
dell’azione divina. Precisamente in tale lode, stupita e
accorata, consiste il canto di Chiappelli: la contemplazione
dell’opera incredibile e ineguagliabile del grande
demiurgo.
Walter Chiappelli va all’origine della poesia.
Ai suoi occhi serve a poco citare Omero o Virgilio, Callimaco o
Orazio, Dante o Shakespeare, Blake o Coleridge e via di seguito,
quando c’è da riempirsi gli occhi e l’anima con lo
stupore per l’universo intero. L’immensità della
creazione raggiunge la sua punta più alta e miracolosa nella
creazione della levità e della coscienza di ogni cosa che
possiede la vita.
La vita è il grande tema del canto di
Walter Chiappelli. Dunque, si tratta di un canto rivolto a tutto ciò
che, all’interno della creazione, è dotato di una sua
autogena capacità di movimento: ciò che si muove per
suo libero arbitrio, per sua autonoma scelta. Dal più
insignificante degli esseri viventi al più complesso genio
umano, il miracolo del movimento autonomo, nella sua fatuità
effimera di breve durata, esprime la potenza di una creazione eccelsa
che raggiunge sempre e comunque il miracolo. È miracoloso
l’infinitesimale microbo al pari del meraviglioso corpo umano:
si tratta sempre del movimento autonomo della vita sulla materia
inerte circostante.
La contemplazione della vita riempie il
cuore di letizia e di gioia. Poiché la vita è comunque
un miracolo lieve che spezza l’inerzia gravosa della materia,
la sua durata è effimera: essa si accende e si spegne come il
pulsare delle lucciole nelle notti estive in campagna. Così la
vita diviene continuo pulsare di luce e di tenebra o se si preferisce
un alternarsi interminabile tra gioia e dolore. Ecco, allora la
piena consapevolezza del Poeta che sa di dovere bere allo stesso
calice sia il nettare della vita sia la cicuta della morte, con
uguale sorriso e arresa accettazione, con identica grazia, perché
questa è la legge imposta al trionfo lieve della vita
sull’immanenza della materia. Tutti noi che apparteniamo alla
vita e che abbiamo ricevuto il miracoloso dono di poterci muovere
autonomamente nell’universo creato: noi andiamo e veniamo
come onde del mare sul bagnasciuga dell’approdo e quantunque
grande sia il segno da noi lasciato sull’arenile, qual che sia
il prodigio di potere o l’elevatezza di ingegno che abbiamo
eretto, qual sia l’impero esercitato sugli altri uomini ovvero
qual sia l’opera d’arte con cui li abbiamo stupiti,
presto o tardi il nostro segno sarà cancellato dalla pertinace
persistenza della materia grezza. Tutti noi ne abbiamo coscienza
e ci sentiamo invasi da malinconica bellezza per un simile stato
delle cose.
Resta valida, allora, per ogni essere vivente una
sola indicazione: godere il dono della vita. Goderne in modo
massimo, fino all’ultima stilla: ogni emozione, ogni fonte di
gioia, ogni resa al dolore, ogni compiacimento della luce, ogni
timore della tenebra. Per godere al sommo di tutte le risorse
ricevute bisogna riuscire a coltivare la dote più alta che il
nostro cervello riesce a esprimere: la speranza di traguardarci oltre
la vita stessa. In verità, non serve chiedersi se esista una
vita dopo la morte. Anzi, è un grave handicap tormentarsi con
un simile fardello mentale, che può divenire un falso scopo e
un inganno della filosofia o della scienza. Ciò che deve
bastare all’uomo di buona volontà è sapere
coltivare la speranza come somma virtù esprimibile dalla mente
degli esseri umani. Qualsiasi animale possiede la stessa carica di
dignità, in quanto qualsiasi animale ha ricevuto il dono
superlativo di muoversi autonomamente dentro la materia inerte.
Tuttavia, solo alcuni esseri umani giungono a sviluppare la speranza
come massima espressione delle risorse ricevute. È, dunque, la
speranza la sublime risorsa che nessun essere vivente possiede con
consapevole coscienza e volontà: nessun animale riesce a
concepire una situazione così complessa e metafisica qual è
la speranza, che non risponde ad alcun imprinting istintivo, ma che è
il portato di un’elaborazione interiore del singolo individuo.
Chi vive nella speranza, conduce la vita su una soglia superiore
a quella vissuta sia dagli animali sia da tutti gli altri esseri
umani che non elaborano tale risorsa. Walter Chiappelli chiarisce
come l’autentica sostanza della speranza consiste nel nutrire
la convinzione che il Bene assoluto trionfa sul Male assoluto. Questa
condizione è la formula generica e totale di ogni possibile
concetto di speranza: tale definizione conduce automaticamente a
traguardare con il pensiero la soglia della morte.
Qui
e ora è
il canto d’amore di Adamo per Eva: è la condizione
primordiale dell’unica gioia che l’uomo può
coltivare sulla Terra, cioè amare la sua compagna. Amarla fino
alla fine delle sue risorse d’amore, cioè amarla, qui
e ora,
anche oltre la morte di lei; amarla nell’esercizio continuativo
della speranza, che sa mantenerla viva nella mente di lui, come
estrema risorsa della gioia che egli può ancora gustare sulla
Terra. Gli occhi del Poeta sono come quelli di Orfeo, la cui
vista e il cui canto non possono restituirgli se non che il fantasma
di Euridice, ma la speranza di averla con sé per sempre gli
consente di vivere ancora ogni dono di vita nella gioia di
essere al mondo: sopravviene in lui questa estrema resistenza alla
morte che, per dirla con Dante, rende l’uomo, se non figlio,
almeno nipote
a Dio,
cioè come figlio del Figlio.
Così il canto d’amore
di Walter per Silvana diviene un concento di voci d’amore
rivolte a tutte le creature della natura, alla bellezza del sole, del
mare, del cielo, delle acque e delle terre; diviene un canto di
misericordia e di amore per gli afflitti dai mali del mondo, dalle
ingiustizie e dalle prevaricazioni dei potenti; diviene, infine, una
testimonianza di condoglianza e di partecipazione alle vittime
casuali delle malattie e in particolare modo dell’attuale
pestilenza del Covid, che attualmente serpeggia per le contrade del
mondo intero.
Sandro
Gros-Pietro
Walter
Chiappelli,
di professione Musicista, è nato a Pracchia, in provincia di
Pistoia nel 1938 e risiede a Porretta Terme, nel
bolognese.
Diplomatosi
all’Istituto d’Arte di Firenze, con Alessandro Parronchi
insegnante di Storia dell’Arte, ha frequentato il “Corso
di perfezionamento di disegno dal vero” di Pietro Annigoni
all’Accademia di Firenze.
Ha
pubblicato alcuni libri di poesie Vivi,
1977; Il
dolore disarmato,
1979 con prefazione di Alessandro Parronchi; Silenzio
vivo,
1984, nonché i florilegi riportati nei Quaderni
paralleli di nuova poesia,
1988 e 2000, e su Eclissi
di luna,
1993. Nel 2002 inizia la collaborazione con Genesi Editrice con
cui pubblica Vampa
celestiale,
seguito da Qui
in carne, in spirito,
2005, Passione
e pensiero,
2006, Realtà
e fede,
2008, Soavissima
pietas,
2009, Mia
rosa mia luce,
2010, Una
rosa è una rosa,
2012, Dolce
solenne parola,
2013, Dentro
il tempo,
2014, Gli
arcobaleni sacri,
2016, Meditare,
vivere,
2017, Il
palpito del mondo,
2019, Qui
e ora,
2020.
È
inserito nella rivista Vernice con
alcune poesie e ha partecipato alla redazione dell’almanacco
paredro Un
secolo in un anno.
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