Mattanza
dell'incanto
Nicola Vacca
intervista
di Iannozzi Giuseppe
Mattanza dell'incanto
Nicola Vacca
Marco Saya
edizioni
Poesiaoggi
1ma ediz 2013 – 83 pag.
Isbn: 978-88-907500-9-0
Nicola Vacca, la prima domanda che ti pongo è sul titolo di questa silloge: “Mattanza dell'incanto”. Quando
si parla di mattanza, in genere, ci si riferisce a un omicidio, ma anche
all'ultimo momento della pesca, quando i tonni vengono
arpionati. Già di per sé, il titolo induce a far pensare che sia stato commesso
un massacro preordinato a tutto danno della magia. Quale magia è andata persa?
Il titolo è volutamente forte, ogni parola di
questo libro è un dardo. Attraversare la propria epoca con la scrittura
significa per me fare i conti a occhi aperti con la cifra del suo disincanto.
Si sta consumando appunto la mattanza dello stupore e della libertà. La crisi
morale avanza più spedita di quella economica. La mia poesia su questo
principalmente riflette, cercando di considerare in ogni suo aspetto tutta la decomposizione
e lo squartamento che stanno pugnalando a morte il nostro tempo senza concedere
alcuna tregua al nostro destino di anime morte sospese
non si sa fino a quanto tra l'essere il nulla.
E' fuor di dubbio che la tua poesia è
anche poesia civile. Tu, Nicola Vacca, credi
che la poesia possa spingere l'uomo verso degli atti rivoluzionari mirati a un
cambiamento della società?
L'impegno civile è al
centro soprattutto della mia produzione recente e soprattutto nasce non
dall'indignazione ideologica, ma dall'attraversamento dell'abisso che cerco di
raccontare con l'onestà della parola che ferisce. Nei miei versi non faccio
sconti a nessuno e penso che oggi più che mai la poesia abbia un compito
preciso che non è quello di salvare la vita, ma di offrire infinite possibilità
in un mondo che sembra non avere più scampo. L'unica rivoluzione possibile che
può scatenare la poesia è quella del cuore.“Mattanza dell'incanto” è un libro
estremo, la sua scrittura è estrema, e quasi sempre
scomoda. Questo è il momento di scrivere per svegliare,come
scriveva Cioran. E penso che la poesia oggi rappresenti un'arma straordinaria
per disturbare il manovratore. L'importante è essere onesti e mirare al cuore
.
Citi spesso Emil Cioran,
inizialmente affascinato dall'esistenzialismo per infine approdare sulle rive
della filosofia di Nietzsche, Schopenhauer ed Heidegger. Cioran rifiutò l'impegno politico attivo. Tu con
la tua poesia, e in particolare con “Mattanza dell'incanto”, come ti
poni?
Cioran è un faro nella
grande notte che stiamo attraversando, un apolide estremo che intinge la penna
nel veleno dei giorni. Non smetto mai di leggerlo e soprattutto di riflettere
sul suo pensiero disordinato per frammenti. Devo molto alla sua opera di straordinario
irregolare che rifiuta ogni tipo di compromesso. La mia poesia è il tentativo
esplicito di pugnalare il mio tempo, senza alcuna finzione e chiamando sempre
ogni cosa con il suo nome. Non vivo nascosto nei miei versi
ma mi mostro nudo con l'intenzione di ferire, di arrivare sempre a dire quello
che penso.
Definiresti la tua ultima produzione poetica impostata sul
nichilismo e il pessimismo?
Il nichilismo e il
pessimismo sono il sale della nostra epoca. Ma non
direi che la mia poesia sia nichilista e pessimista. In ogni verso mi sforzo di
capire tutto il pieno che c'è in questo vuoto. Se fossi nichilista
non crederei nella consapevolezza della scrittura. “Mattanza dell'incanto” è il
mio modesto contributo per testimoniare le amarezze di tutto questo nulla che
divora il tutto. La poesia è l'antidoto al nichilismo anche
se il suo veleno continuerà a scorrere nelle nostre vene.
‘Intanto il male ha sempre fame', dici in “Animali
morenti”: mi par di capire che la speranza è ridotta al lumicino e che, forse,
non è giusto neanche sperare e basta. Senza azioni concrete volte a cambiare lo
stato delle cose, la speranza diventa un accessorio inutile. Potresti approfondire?
Il male non è mai sazio.
Questa è la ragione della sua presenza nel mondo. Il male è sempre affamato
perché l'uomo ne alimenta l'appetito. Quindi l'uomo si identifica
con il male. Senza la cattiveria dell'essere umano che diventa belva non esisterebbe il male. La Storia questo ci insegna e
il viaggio nella notte continua.
“Voglio raccontare con le parole/
quello che dentro inquieta./ Perché la poesia in terra/ è questo
nostro vivere/ che accade ogni giorno”. Si scrive poesia per (far) vivere o per
sopravvivere (a sé stessi)?
Scrivere è l'unico modo
per sopravvivere. La poesia è nelle cose e non descrive ma inventa sempre la
vita. Abbiamo sempre bisogno delle parole per arrivare alla Parola. La
scrittura è il nostro credo e a essa non dobbiamo mai rinunciare se vogliamo
avere sempre qualcosa da dire.
“La poesia nasce/ dal fenomeno in divenire/ della ragione
e del sentimento/ che in un unico abbraccio/ pronunciano la magia
dell'indicibile”. Ma esiste, o è mai esistito,
l'“indicibile”? Se sì, dove e in che cosa lo possiamo trovare?
L'indicibile è la
meraviglia che ci portiamo dentro e che non riusciamo a proporre all'esterno.
Abbiamo bisogno della poesia e della sua ricchezza interiore per mostrare una volta per tutte quello che di buono abbiamo. Solo che è
più comodo farsi e fare del male, piuttosto che
mostrare all'altro quello che realmente siamo. La nudità fa paura perché
scomoda, l'ipocrisia è la maschera che ci permette di andare avanti. E così,
per citare il grande Gaber, facciamo finta di essere sani.
“In questo tempo della vita/ nessuno cerca più la verità
in comune”.
Siamo isolati. O, piuttosto, abbiamo costruito intorno a noi gabbie di
solitudine?
L'incapacità di essere
una sola moltitudine ci rende vulnerabili. Preferiamo vivere nelle nostre
ipocrite solitudini dorate piuttosto che mettere in comune le nostre anime per
il perseguimento di un bene comune che ha a che fare con la nostra interiorità.
La poesia forse è l'ultima speranza per realizzare quella “civiltà delle anime”
che potrebbe davvero cambiare le regole del gioco e renderci migliori.
“[…] niente è leggibile/ dentro questa solitudine/ di cui
siamo i bersagli”.
Siamo dunque “gusci vuoti del nostro ego”?
La solitudine e l'ego . Due mali del nostro essere tra di loro collegati. La loro
alleanza sta creando un dramma esistenziale dalle proporzioni immense. Si
chiama narcisismo con tutte le conseguenze del caso.
Quali sono stati i poeti e i filosofi che hanno
maggiormente influenzato la tua visione del mondo? Per quali motivi?
Nietzsche, Cioran, Ceronetti, Flaiano, Campana, Ungaretti e tutti i poeti e
filosofi che hanno sempre creduto nella schiettezza della parola nuda.
Oggi come oggi, val ancora la pena di scrivere della
poesia e pubblicarla? Un problema, grave e serio, che ho riscontrato già da un
po' di anni, è che la gente, in generale, non legge neanche più i poeti
classici. Domina l'ignoranza, e per questo la società è maggiormente esposta
alle menzogne mediatiche.
Vale la pena di scrivere
e pubblicare buona poesia. In questa direzione bisogna muoversi. Questo è il
compito di un'onesta critica letteraria e di un'editoria degna di questo nome.
Ogni giorno ricevo libri da sedicenti poeti che si credono
con smisurata presunzione i nuovi Montale e mi consigliano di recensire il loro
libro perché è il capolavoro del millennio. Per non parlare delle consorterie
pseudo letterarie che hanno completamente assassinato il mondo della poesia con
il loro marchettificio a cielo aperto. Comunque il
discorso è lungo e complesso. Per fortuna la buona poesia ancora sopravvive e
ci sono piccoli editori che tengono accesa la speranza.
Scrive Gian Ruggero Manzoni, nella prefazione al
tuo “Mattanza dell'incanto”: “Nicola Vacca indica, in questo suo ultimo
libro, oltre che le cause, anche i possibili effetti del crollo, affidandosi
alla poesia, la quale ritorna a diventare ‘metodo sociale di lotta' al fine di sensibilizzare (accusare) poi
di spronare una possibile reazione a uno stato, non accettato, putrescente e cancrenoso”. E' dunque la nostra una società
votata all'autolesionismo, all'assurdo, alla putrefazione? Non v'è dunque
alcuna soluzione, giacché par sia morto, nella
coscienza dell'uomo, il ‘metodo sociale di lotta'?
Il mio libro apre una
finestra di pensiero sulla crisi morale che tutto sta uccidendo. La mattanza
continua a mietere vittime. Il poeta non può continuare a tacere davanti a
questo massacro della libertà e dello stupore. Il suo compito è quello di riempire il caos, sapendo di non essere
predicatore delle moltitudini.
Il poeta è guardiano dei
fatti e ha il dovere di non nascondersi. A fare quello ci pensano
gli intellettuali.
“A cosa serve la vita/ se alla conoscenza si preferisce/
la presunzione di bastare a se stessi”. E' possibile abbattere la presunzione
per ridare voce alla conoscenza? Possono in qualche modo le parole aiutare
l'uomo a diventare, finalmente e una volta per tutte,
uomo?
Ci proviamo, anche se le
resistenze sembrano invincibili.
Qual è il grido d'allarme che lanci attraverso “Mattanza dell'incanto”?
Tu, Nicola Vacca, speri possa esser sentito da qualcuno (eventualmente)
in ascolto?
“Mattanza dell'incanto” è
innanzitutto poesia libera, e in quanto libera diviene
poesia sociale, morale, che ci dice ciò che abbiamo perduto, e nella critica
spietata verso la contemporaneità tende a indicare una via, invita a riscoprire
il significato e il senso della parola “civiltà”.
Siamo in un permanente
stato d'allerta e io cerco soltanto di svegliare le
coscienze. Per questo continuerò a scrivere, rifiutando ogni tipo di
compromesso e soprattutto facendo della poesia una cosa onesta. «Dovete ascoltare
i poeti, perché i poeti sono sentinelle, guardano lontano e sanno indicare la
via». Così la pensava David Maria Turoldo. Speriamo che questo accada al più
presto, perché non abbiamo molto tempo a disposizione per aggiustare le cose.