Intervista
a Maurizio de Giovanni, autore de Il
senso del dolore. L'inverno del commissario Ricciardi,
edito da Fandango.
Questo tuo romanzo,
giallo come trama, ma non come sostanza, sta avendo un notevole successo. Vuoi
parlarci della sua genesi?
Ti ringrazio anzitutto per
l'attenzione che tu e i lettori mi dedicate, alla quale per fortuna non ho
alcuna intenzione di abituarmi. Ricciardi nasce per
disperazione. Mi spiego: ho cominciato a scrivere molto tardi, tre anni fa alla
non tenera età di 47; ho sempre avuto un immenso rispetto per la scrittura, da
lettore bulimico e onnivoro quale sono, e quindi pensavo di non essere
all'altezza di creare mondi, sogni o emozioni per gli altri. Detto tra noi, la
penso ancora così.
Avendo un pomeriggio
libero, in quella fase calante di carriera e attenzione familiare che i miei
coetanei conoscono così bene, pensai di frequentare un laboratorio di lettura
di testi umoristici (quanto di più lontano da Ricciardi
si possa immaginare). I miei mentori mi iscrissero al concorso “Tiro rapido”
della Porsche, una sorta di tortura che implicava la chiusura degli aspiranti esordienti in un caffè storico (a Napoli il Gambrinus, splendido locale liberty del centro) per 911
minuti, che sono 15 ore e 11 minuti, non la stessa cosa, detta così. I
partecipanti, bravi e consapevoli, scrivevano a tutta birra per qualificarsi
alla finale di Firenze, al Giubbe Rosse. Disperato per la mancanza di idee e
per l'incombente brutta figura che avrei fatto alla mia veneranda età, guardai
fuori la vetrata che dà sulla piazza e vidi transitare una bambina, con una
bambola in braccio. L'espressione seria della bimba, l'ambiente d'epoca in cui
mi trovavo, la voglia di andarmene a casa: tutti ottimi ingredienti per il
primo racconto di Ricciardi.
Vinsi la gara, e a Firenze
la giuria (Lucarelli, Evangelisti, Carofiglio e il
presidente Protti, direttore dell'Europeo) mi chiese
un altro racconto con lo stesso protagonista. Vinsi anche là.
Il racconto vincitore fu
pubblicato sul giornale e attirò l'attenzione prima di un'agente
letteraria e poi, in seguito a altre strane vie che una di queste volte se
soffri d'insonnia ti racconterò, della Fandango di Domenico Procacci e di
Rosaria Carpinelli, un vero genio. Ce l'avevo, un romanzo con quel protagonista? Certo, che ce
l'avevo. Tu che avresti risposto? Presi le ferie, ed ecco il romanzo.
Quindi, caro Renzo, mi
capisci se ti dico che in realtà Ricciardi è nato
dalla disperazione e per puro caso.
In qualsiasi lavoro il
personaggio principale è quello preferito dall'autore, perché vi si rispecchia,
oppure desidererebbe essere come lui. In questo commissario, volto a ricercare
a tutti i costi una giustizia, prima quella di legge, e poi quella umana, c'è
qualche cosa di te, oppure vi sono caratteristiche che desidereresti fossero
tue? Se sì, quali sono?
Scrivere Ricciardi è un'emozione strana, almeno per me che come ti
dicevo non ho altri romanzi nel cassetto. In effetti è
come se lo caricassi a molla, come un giocattolo, e poi lo mettessi in un
plastico che è il suo tempo, almeno come lo vedo io. Sono creativo solo nel
caricarlo: ma tutti i movimenti che fa, le sensazioni che prova, le poche
emozioni che manifesta, sono tutti suoi.
Non ha di me nulla, Ricciardi. Anzi, io non ho nulla di lui. Il suo modo di
guardare è indiretto, filtrato: è uno spettatore perenne di un dolore infinito,
fisico, urlato nelle orecchie senza pause. E' il portatore di una sofferenza
frammentata e infinita, unica e comune. Non vuole perseguire la giustizia degli
uomini, che è lontana da quella vera, ma solo dare pace a chi è stato strappato
dalla vita. Se dovessi fare mia qualcosa di lui, direi la capacità di amare in
silenzio, senza piangere e senza ridere. E di amare così tanto da desiderare il
bene di chi si ama, e se il bene di chi si ama è la
propria assenza la si deve regalare come un fiore estremo.
Il romanzo è ambientato
nel 1931, epoca in cui non eri ancora nato. Eppure sei riuscito a ricreare
un'atmosfera crepuscolare e opprimente, propria di un regime che, raggiunta
l'apice delle sue fortune, iniziava a sgretolarsi. Come hai potuto descrivere,
pur non essendo stato presente in quegli anni?
Reperire la documentazione
su quegli anni, in questa città, è cosa difficile e complessa. Difficile perché
è come se i decenni successivi se ne siano vergognati tanto da volerli
cancellare, anche se è proprio in quel ventennio che sono radicati i nostri
tempi. Complessa perché le fotografie, i testi, le musiche sono contraddittori
e vanno in differenti direzioni. Allora ho fatto un passo indietro, resistendo
alla tentazione di approfondire e scavare, e cercando invece uno sguardo
d'insieme. Mi sono ritrovato così immerso in un'epoca che ho sentito vicina,
molto affine a quella difficile e mobile che le fantasie stanno vivendo a
Napoli in questo inizio di millennio.
Sono contento che
nell'ambientazione la maggior parte dei lettori ritrovi la cosa migliore del
romanzo, perché è stata la
maggiore sfida e sarei felice di averla vinta.
Con la risposta
precedente hai in parte riscontrato anche la domanda che sto per farti e che mi
frulla nella testa fin dalla lettura delle prime pagine. Mi sono detto: c'è una
descrizione di una realtà dell'epoca, una sorta di immagine surreale che
assomiglia per molti aspetti anche alla situazione attuale. Non mi riferivo a
quella di Napoli, che non posso conoscere direttamente, ma a quella più
generale del nostro paese e addirittura dell'intero mondo. E' evidente che
Napoli raccoglie di questi aspetti le caratteristiche più lancinanti, ma non è l'immondizia
che fa paura, bensì quell'immobilità che consente appena di vivere alla
giornata, dimentichi del passato e senza la possibilità di fare progetti per il
futuro.
Ho colto nel segno?
Hai colto nel segno. Tra
le caratteristiche permanenti della mia città c'è una sorta di miopia sociale,
l'incapacità cioè di programmare qualsiasi iniziativa nel medio periodo. E' una
realtà autogenerante, un serpente che si morde la
coda: meno si fa per la collettività, più è necessario al padre di famiglia
arrangiare a titolo individuale una sopravvivenza purchessia. Sapessi, caro
Renzo, e sapessero i tuoi lettori che spreco
terribile di talenti e di intelligenze in questa quotidiana lotta con necessità
e nemici che altrove sono dimenticati.
Ricciardi lotta con la fame e l'amore; la prima
acceca e dispera, il secondo giustifica ansia di possesso e brama di potere.
Entrambi assolvono il reo ai propri stessi occhi, non attenuano ma sostengono
la propensione al delitto.
Ho scelto gli anni trenta
anche per questo: l'assenza di luminol, dna,
spettrografie e altri ingredienti dei vari CSI lasciano solo i sentimenti su
cui indagare. Ricciardi cammina per scene del delitto
inquinate, in mezzo a cadaveri spostati e maneggiati, tra oggetti lasciati da
curiosi e in assenza di altri sottratti da sciacalli e ladruncoli, ed è
costretto a risalire per le vie che ha, che sono quelle dell'emozione. Non ha
microscopi, certo: ma sono convinto che ai suoi tempi O.J.
Simpson non sarebbe stato assolto.
Il commissario Ricciardi è ormai un personaggio, quasi autonomo dalla
narrazione, ma le sue caratteristiche lo connotano in modo indelebile, grazie a
una personalità che è radicalmente diversa da quella di altri investigatori
famosi e non tanto per le sue qualità professionali, ma per quello che è come
uomo.
Questa caratterizzazione
potrebbe far sì che altri tuoi romanzi, non imperniati sulla sua figura, forse
presenterebbero dei personaggi analoghi, con il rischio di una sovrapposizione.
Secondo te esiste questa
possibilità e, nel caso, come intenderesti ovviarvi?
Ti ho raccontato prima
quanto casuale e tardivo sia stato il mio approccio alla scrittura e quindi al
romanzo. Ricciardi non mi frulla in testa da
quand'ero ragazzo, non è l'unico approdo della mia fantasia; ma è sicuramente
un forte richiamo. Credo che la sua caratteristica principale sia la
solitudine, e che è di questa caratteristica che mi sarebbe difficile fare a
meno in altre scritture e in altre vicende.
Per quanto riguarda i
fantasmi, penso che ognuno di noi veda i suoi e che li veda perennemente. E' la
caratteristica più evidente di Ricciardi ma
certamente non l'unica; mi piace pensare che siano molti quelli che hanno visto
in lui quello che hai visto tu, un uomo disperato che guarda il mondo e la vita
da dietro una lastra di vetro.
Mi risulta che sono
previsti altri tre romanzi con protagonista Ricciardi
e che saranno editi da Fandango.
Già mi sembra che a fine
giugno esca il prossimo, dove la stagione prevede la primavera. E' quindi
logico pensare che dopo ci saranno l'estate e poi l'autunno, un ciclo che si
chiude insomma.
Puoi assicurarci fin da
ora che nonostante l'autunno avremo ancora il piacere di leggere di questo
straordinario personaggio, a cui penso sarai più che affezionato? E, un'ultimissima domanda: ci sono altri
progetti letterari in corso, oltre a quelli di cui ho sopra accennato?
Il prossimo romanzo, in
uscita a giugno, si chiama “La condanna del sangue – la primavera del
commissario Ricciardi”. E' un romanzo di cui sono
piuttosto contento, ci sono personaggi che credo potranno coinvolgere i lettori
e spero non deluderà.
Sto scrivendo il romanzo
dell'estate cui seguirà l'autunno. In essi, in parallelo alle indagini sui
delitti, si sviluppano le storie dei personaggi principali con alcuni ritorni:
molti mi chiedono dell'evoluzione dell'amore di Ricciardi,
di Livia, di Maione e altro, ma devo confessarti che
anche in questo non mi sento autonomo; scelgono le storie il loro sviluppo.
Nel mio caso funziona più
o meno come un'espressione algebrica: puoi inventarti solo la traccia, numeri, parentesi, potenze e radici, poi però i
passaggi successivi sono necessari e portano a un risultato che non puoi
conoscere in partenza.
Per quanto riguarda il
seguito, sta ai lettori decidere. Se, come spero, il successo de “Il senso del
dolore” si dovesse replicare anche per gli altri romanzi la storia di Ricciardi potrà continuare; in fondo i quattro libri
raccontano di un solo anno.
Altri progetti? Qualche
idea ce l'avrei, e qualche editore pazzo sarebbe anche disponibile a sostenerne
lo sviluppo. Tutto sommato, mio carissimo Renzo, c'è la possibilità che il
sottoscritto possa continuare a tediarvi per un po'.
Nel frattempo abbraccio te
e tutti i lettori, confermando la mia piena disponibilità a incontrarvi ancora
quando e come vorrete.
Grazie, Maurizio, per le
tue risposte e anche per la tua simpatia. Ti saluto con l'augurio che anche “la
primavera de” del tuo commissario sia un successo.
Il senso del dolore
L'inverno del commissario Ricciardi
di Maurizio de Giovanni
Fandango Libri
Narrativa romanzo giallo
Pagg. 247
ISBN: 9788860440730
Prezzo: € 10,00