Intervista
a Domenico Guzzo, autore del saggio storico La morte fra la piazza e la stazione,
edito da Agemina.
L'intervistato
è Domenico Guzzo, nato a Losanna (Svizzera) nel 1982
da una famiglia di emigrati meridionali, e cresciuto in un piccolo villaggio
del basso Cilento.
Trasferitosi
a Forlì, diviene direttore di una piccola pubblicazione a diffusione intrastudentesca e Curatore di un fortunato cineforum
universitario.
Laureatosi
in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Sede di Forlì, si occupa dapprima di
politiche migratorie comunitarie a Bruxelles, per poi passare alla sezione
eventi cinematografici e culturali dell'Istituto Italiano di Cultura di
Marsiglia.
"La morte fra la Piazza e la Stazione" è il
suo primo libro.
Mi ha subito interessato
questo volume, in quanto esplicativo di un titolo, peraltro indovinato, è il
sottotitolo: Storia e cultura politica del terrorismo in Italia negli anni 70'. Ci puoi spiegare la genesi
di questo tuo lavoro?
Credo che la genesi possa
riassumersi in una sorta di “Invidia del
pene” verso gli anni Settanta italiani: l'esser nato allorquando le maggior parte delle vicende narrate nel saggio, erano
ampiamente concluse, si spiega con la fascinazione, che su di me ha esercitato,
la distonia fra due caratteristiche estreme dei cosiddetti Anni di Piombo. Da
una parte, quella stagione, mi appariva come la più fertile, culturalmente
parlando, della nostra storia repubblicana (si vedano la forza e l'audacia autoriale del cinema, della musica, del giornalismo e del
teatro di allora); allo stesso tempo, il decennio compreso fra le due grandi
stragi di Milano e Bologna, si presentava come il precipitato di modi
nichilisti ed antisociali di esistenza politica. Il mio saggio s'inserisce e
trova giustificazione, per l'appunto, in questo iato apparente, che trova,
addirittura, toni parossistici al giorno d'oggi, nella misura in cui le
passioni ideologiche ed il coraggio artistico paiono soffocare al ritmo della
commercializzazione mediatica.
Al fondo della ricerca,
ritengo ci sia sempre la volontà di cristallizzare una parte del vissuto
nazionale, al fine di preservarne memoria a favore delle nuovissime
generazioni, troppo spesso ignare degli estremi del nostro recente passato.
Immagino le difficoltà di
reperire la documentazione, perché la bibliografia di base e che tu giustamente
hai citato in calce all'opera, non è molta e risulta frammentata. Peraltro, di
recente sono stati desecretati documenti riservati di
quel periodo, ma non credo che, prendendone visione, tu abbia potuto avere
notizie assolutamente nuove. Forse ti sono risultate più utili le due
interviste ai giudici Guido Salvini
e Libero Mancuso. E' così?
In effetti, la
ricognizione dei documenti risulta opaca allo stesso modo in cui risulta
grumosa la ricostruzione storiografica di quegli anni. Corretta, è altresì la
tua affermazione, per la quale nulla di sorprendentemente nuovo sia emerso
dalle ultime desecretazioni. Le interviste hanno
avuto, invece, il pregio di confermare alcune ipotesi investigative e di meglio
destrutturate alcuni diffusissimi abbagli.
In sintesi, si può
affermare che il modello generale e le linee di tendenza rintracciate, siano
piuttosto efficaci nello spiegare il dipanarsi della violenza politica
nell'Italia degli anni '70; ciò che manca è l'assoluta limpidezza e
sequenzialità delle fonti: lacuna che impedisce di sistematizzare
scientificamente il periodo, e di conseguenza, permette ancora sacche di mera
faziosità e dietrologia.
Dato l'argomento
scottante, nel corso delle tue ricerche hai trovato reticenza o disponibilità?
In generale, ho
riscontrato una diffusa disponibilità. Piuttosto mi sento di sottolineare come
ogni fonte (scritta, orale o archivistica che fosse) esprimesse una propria
personalissima verità dei fatti, ben al di là dell'ineluttabile soggettività memoriale. Vale a dire che
la freschezza di quei tragici eventi (alcuni datano meno di 30 anni, dettaglio
che li pone ancora nella sfera della cronaca e non in quella della
storiografia) comporta un coinvolgimento personale, spesso, eccessivo, poco
compatibile con una razionale e strutturata ricostruzione dei rapporti di
causa/effetto sottostante quelle determinate vicende
italiane.
Il tuo lavoro è molto
organico, esaminando il fenomeno in tutte le sue sfaccettature e, a mio parere,
costituisce un testo basilare per ulteriori approfondimenti ed è quindi
necessario agli storici, ma è anche al momento l'unica possibilità per cercare
di comprendere che avvenne negli anni di piombo.
Eversione nera da una
parte ed eversione rossa dall'altro, spesso intrecciate, a volte con punti di
contatto, al punto che mi viene di pensare che dietro tutte quelle stragi e quegli omicidi mirati ci sia stata
un'unica cabina di regia.
Qual è la tua opinione al
riguardo?
Personalmente, anche e
soprattutto alla luce delle ricerche, dei colloqui e delle riflessioni che ho
potuto effettuare, non credo alla plausibilità di un unico regista, di un unico
grande cattivo maestro. Credo, invece, che l'estremismo italiano, sia nero che
rosso, abbia avuto origini del tutto endogene (frutto del perverso percorso di
modernizzazione italiano, dell'inadeguatezza della classe politica, di alcune
tipiche distorsioni culturali nostrane, e della gabbia imposta dalle esigenze
di guerra fredda), ma che sia stato dolosamente alimentato, al fine di
implementare determinati esiti di politica interna ed estera.
Più che un'unica cabina di
regia, bisogna immaginare una sofisticata camera di compensazione, la
cosiddetta STRATEGIA DELLA TENSIONE, all'interno della quale, trovavano coagulo
i bisogni dei due blocchi geopolitici, così come i bisogni di vasti strati di
potere nazionale. Gli anni di piombo registrano continue fluttuazioni, micro-contrraddizioni e repentini cambi di fronte: ciò fa
pensare ad una Strategia della Tensione come sommatoria di plurime, autonome e
spesso configgenti tattiche, che però trovavano intesa in un comune sentire
fatto di preservazione dello Status quo (quello imposto a Yalta) e contenimento di alcune, potenzialmente, esiziali
tendenze politiche, come il filoarabismo palestinese
ed il processo di socialdemocratizzazione del PCI.
Pensi che un giorno ci sarà
possibile sapere il perché di quegli anni di tensione e chi furono
effettivamente le menti, i mandanti del terrore di quel periodo?
Sinceramente credo di no:
le collusioni e i benefici politici di quella lunga scia di morte sono troppo
estesi per essere una giorno dipanati. Lo scenario
maggiormente plausibile parla di uno stillicidio di documenti d'archivio, che
permetteranno la validazione di singole ipotesi storiografiche, ma mai
dell'intero quadro d'insieme. Fra molti anni, credo si possa arrivare ad un
condiviso affresco delle ragioni di fondo che avevano permesso le modalità di
quella stagione, ma moltissimi punti oscuri persisteranno, alla luce di 2
motivazioni: a) il tempo cancellerà le esistenze, e le relative possibilità
chiarificatrici, di alcune fondamentali personalità a conoscenza di ristretti e
perversi segreti; b) il susseguirsi di tanti anni di deduzioni,
controdeduzioni, rivelazioni, immediate smentite, forzati oblii e sfacciate
reticenze, hanno ammantato quelle vicende di una tale coltre di nebbia, che anche l'emersione della fedele ricognizione dei
fatti, troverebbe rapido affogo!
Questo è il primo volume
che pubblichi con le Edizioni Agemina. Come ti sei trovato, hai avuto
assistenza adeguata?
Alla casa editrice posso
solo esprimere un'autentica gratitudine, nella misura in cui ha deciso di
puntare su un giovane sconosciuto e di agevolarlo in tutte le maniere che le
erano possibili. In un mondo editoriale piuttosto chiuso e pavido, Agemina è
stata l'unica isola di promozione culturale, cui i miei sforzi sono potuti
approdare. L'esser qui oggi, a discutere di terrorismo e caratteristiche
culturali degli anni '70 italiani, lo si deve per la maggior parte,
all'assistenza ed alla disponibilità offerti dalla casa editrice.
Programmi letterari ce ne
sono? Se sì, ci puoi anticipare almeno di che si tratta?
Sì, ce ne sono. Alcuni
riposano ancora nell'orizzonte delle possibilità, altri hanno, invece, maggiore
concretezza. Nell'immediato sto approntando una nuova ricerca storiografica, che
si concentra sui rapporti fra l'Italia
fascista e la Svizzera:
è un argomento che ha trovato sinora un interesse estemporaneo, ed a tratti
folkloristico, ma che credo, di contro, possa essere rivelatore di una parte
della spiegazione, per la quale la
Svizzera abbia visto preservata, caso unico, la propria
neutralità in un più generale contesto di sfacelo collettivo europeo. Resta ben
inteso che la ricerca sul fenomeno terroristico italiano non trova soluzione di
continuità e che mira a successive pubblicazioni, ogni qualvolta rilevanti
novità vengano alla luce.
Grazie per le esaurienti
rispose e auguri per questo tuo libro che aiuta noi che abbiamo vissuto quel
periodo e altri che, per loro fortuna sono venuti dopo, a comprendere un po' di
più il perché tanto sangue è stato versato.
La Morte fra la Piazza e la Stazione
Storia e cultura politica del terrorismo
in Italia negli anni ‘70
di Domenico Guzzo
Edizioni Agemina
www.edizioniagemina.it
Saggio storico
Pagg. 246
ISBN: 97888965555941
Prezzo: € 18,00