Intervista di Salvo Zappulla a Sergio Sozi, autore de
Il maniaco e altri racconti, edito da
Walter Casini
Sergio, il modo di comunicare degli esseri umani si
evolve, dalla parola alla carta stampata, dai cellulari a internet. Anche la
letteratura si evolve. Quanto è importante secondo te la ricerca di nuove
espressioni linguistiche?
Be', Salvo, io direi che più che ''evolversi'' il
nostro modo di comunicare sia vittima di quelle violente trasformazioni imposte
dalle esigenze economiche e politiche; insomma la gente comunica in modo
diverso, rispetto a, che so, trent'anni fa, solo per adeguarsi e sopravvivere, mica perché viva meglio. Anzi, vive peggio,
la gente, oggi, soprattutto da un punto di vista spirituale, affettivo, morale
o meramente psicologico. Poi ci sono molte persone confuse che comunicano come
possono solo perché hanno una personalità debole, o addirittura spesso
schizoide, nevrotica o insicura, traumatizzata. Lo squilibrio oggi è il Massimo
Comune Denominatore dell'Italia. E dunque la lingua comune muta, riferendoci la
pericolosa instabilità della Nazione. Io, in questo contesto che non amo per
niente, credo pertanto di seguire le mie strade personali, attingendo
linguisticamente alla Letteratura degli avi, a quel ''sermo familiaris'' che tanto mi
ha dato parole di nuovo conio e ai dialetti. Insomma: la lingua italiana, letteraria o orale,
colta, e altre varie stratificazioni
autobiografiche mi dànno il marmo policromo in cui scolpisco
le mie pazzie. Io disprezzo fondamentalmente questo Millennio e la fine del
precedente, dunque ne adotto alcuni termini solo per deturparli e irriderli, lo
dico a chiare note. Non ho niente a che spartire con la realtà di oggi.
Pertanto ricerco, sí, ma
dove voglio io: nei miei ricordi e sogni, nelle mie ricerche, nelle carezze e
gli schiaffi ricevuti, nei libri e nel lessico di Bontempelli
o Italo Calvino, di Yourcenar o Plauto, Palazzeschi,
Consolo, Tomasi di Lampedusa, Dante, Petrarca, Danilo
Kiš, Prešeren, Bulgakov,
Ariosto. Anche il D'Annunzio poeta. Meno Leopardi (lessicalmente
parlando, eh!).
In un periodo di consumismo letterario, in cui gli
autori si devono adeguare alle esigenze di mercato se vogliono pubblicare e
vendere, tu esci con “Il maniaco e altri
racconti”, un testo fuori dagli schemi se vogliamo, originale e che mira a
un pubblico colto. Uno scrittore deve sempre seguire la propria poetica
letteraria?
Se persino uno scrittore si adegua alle mode, come
nemmeno Virgilio in fondo fece, significa che siamo alla fine dell'arte
scrittoria e del pensiero, del sentimento che sta nelle lettere: meglio cambiar
mestiere e darsi al business in maniera chiara: non piangerà nessuno dei nostri
(presunti) lettori. Ogni mestiere ha le proprie caratteristiche
professionali, credo: quello di scrivere ha come regola fissa la potenza
dell'individuo (colto) e la sua volontà di dettare le regole al proprio
mestiere stesso. Chi le regole se le fa dettare dagli altri è un pessimo
professionista, in questo campo. Secondo me.
E' difficile imporsi pubblicando con un piccolo
editore, il mercato librario è strozzato dalla grande editoria la quale
esercita una grossa influenza sulla stampa e la rete di distribuzione. Quali
canali può utilizzare un piccolo editore per promuovere i propri prodotti?
Il punto fondamentale è il ''cosa'' un piccolo editore deve proporre al pubblico,
direi prima. Poi viene la diffusione dell'opera. Allora, vediamo: il piccolo
editore deve proporre opere di individui sani mentalmente ma molto fantasiosi e
conoscitori della Letteratura e delle sue regole – stilistica, retorica,
grammatica, sintassi, grafica, ecc. Ciò precisato, diciamo che diffondere i
libri presso le piccole librerie e anche in Internet – appoggiandosi per farli
conoscere ai tanti siti e blog letterari – è meglio che sperare nella grande
distribuzione. A meno che diversi piccoli editori non siano in gamba e non si
associno, così creando piccoli insiemi di editori indipendenti (piccoli
insiemi, ripeto) per sopravvivere e farsi notare anche dai grandi molok della distribuzione (Librerie Feltrinelli, ecc.).
Quest'ultima soluzione sarebbe molto costruttiva, a mio parere: entrare con
delle specie di cooperative fra piccoli editori nel grande mercato per proporre
ai cittadini delle opere vere, letterarie, e non delle pellicole messe su carta
come avviene ora. Dare qualità perché la qualità vince sempre, senza pretendere
di vendere centomila copie, ma esigendo di smerciarne tremila sí. Anche tramite le grandi librerie e i supermercati,
perché no. Ma come ho detto io, non da soli. Uniti si vince. Quattro piccoli
editori associati che pubblichino roba buona possono mirare a vendere tremila
copie di ogni singolo libro senza imitare il cinema o i libri pubblicati dai
grandi, come no! Basta farlo. Coraggio!
Ne “Il
maniaco” si avvicendano situazioni grottesche ed esilaranti, ha poco del
classico giallo poliziesco, le lettere inviate da un folle come messaggio da
svelare. La scrittura ancora al centro dell'attenzione. Quale messaggio hai voluto
trasmettere?
Tanti, Salvo, veramente tanti messaggi
(nella ''bottiglia del libro''), fra i quali resta
centrale quello della solitudine e della malvagità delle attuali forme d' intelligenza del nostro popolo, del suo egoismo e della
sua incapacità di sentire il prossimo appoggiandosi alla comune origine arcaica
e alle tradizioni profonde ed antiche dell'Italia. L'Italia moderna ha bisogno
di schiaffoni spiritosi e tosti, per capire di essere antica e salda, per
risvegliarsi dal letargo frenetico di questa modernità assurda. Questa Italia,
dove mettere in piazza (ossia in tivú) i propri
sentimenti è diventato folle esercizio quotidiano, non potrebbe invece
tollerare un ''pazzo'' che scriva a degli sconosciuti
per dire qualcosa di personale e sincero. In questa ottica, il mio ''maniaco''
è un evangelizzatore protocristiano molto
consapevole, che porta un messaggio cristiano e assieme pagano: amatevi e
condividete le vostre miserie, gente italica! Questo dice il mio ''maniaco sano'' scrivendo delicate e liriche lettere anonime a degli
sconosciuti. Gli sconosciuti non riescono, pazzi loro, a capire perché qualcuno
li ami pur non conoscendoli, e si chiedono stizziti: Ma come! se manco mia moglie mi ama cosí! com'è possibile che
un estraneo, invece... Inoltre ci sono altre questioni che sarebbe troppo lungo
sviluppare. Lo lascio fare ai lettori, che sono piú
intelligenti di me quasi sempre.
Stai
lavorando a un nuovo testo? Vuoi accennarci qualcosa?
Io non lavoro: fatico, sudo! ah! ah! ah!
Scusa Salvo, torno serio: per adesso ho altri venti racconti della stessa serie
del ''Maniaco'' già pronti, piú
un bell'inedito quasiromanzo, intitolato ''Il menú'' da piazzare e altra roba narrativa medio-breve; dunque faccio altre cose: curatele e
postfazioni di libri italiani tradotti in Slovenia dove vivo, traduzioni,
articoli di cultura et similia.
Lavoro per non dovere fare altri lavori. Il romanzo, comunque, non è né la mia
dimensione ideale, né quella di molti altri autori italiani viventi. Lo si vede
dalle schifezze che girano: romanzi che sono in realtà sceneggiature. Io no.
Roba allungata fino a pagina trecento, scena per scena come se fossi una
telecamera vivente, solo per far contenti gli editori, non ne rifilo alla
gente. La gente va rispettata. Sempre. E stimolata a leggere la Letteratura con
la elle maiuscola, mica i film messi su pagina. Dunque come narratore
mi gratto la panza – non la pancia – e scrivo sugli scrittori, li interpreto e
traduco, li intervisto trattandoli male quando posso. E campo bene con la mia
famiglia, l'opera d'arte che Dio mi ha concesso di edificare.
Salvo
Zappulla