Salvo Zappulla intervista Enrico Gregori, autore di Un tè prima di morire, edito da Bietti.
Enrico,
il tuo romanzo sembra prendersi gioco delle debolezze umane, scritto quasi con
irriverenza. E' così?
I
deboli sono capaci di impennate “eroiche” così come i più
spietati hanno i loro punti deboli e le loro fobie. Sì, è quello che
penso.
Quanto
ha influito il tuo mestiere di giornalista in questo noir?
Moltissimo
per quanto riguarda tecniche e strumenti investigativi. Ma anche per la
comprensione della psicologia dei “detective”.
E' più
fantasiosa la vita o la letteratura?
Ho
imparato che la vita riserva sorprese clamorose. Se la letteratura si limita a
raccontare la vita, romanzandola un po', è già un bel risultato.
Il tuo
linguaggio è piuttosto crudo, non lesini a descrivere scene di sesso, usando
termini per niente edulcorati. E' una tua maniera di raccontare la realtà senza
inutili e ipocriti perbenismi?
Il
perbenismo lo ritengo innocuo se non addirittura dannoso. Insomma non serve a
nulla. Sono per il “verismo”, con tutto il rispetto per “maestro” Verga. Nei
prossimi libri sarò, secondo me, addirittura più crudo anche
se le scene di sesso saranno decisamente soft.
E' più difficile raccontare la cronaca o il
sogno?
Credo
la cronaca. I sogni sono opinabili. Ognuno sogna i propri.
Si
coglie una vena sottile d'ironia tra le pagine, quasi distaccata, come se in
fondo tutto è destinato a procedere secondo regole al di sopra di noi umani e
non si può far altro che prenderne atto o sorridere amaro. E così?
Più o
meno. Credo che la vita abbia le sue regole. Tu puoi anche stravolgerle ma
prima o poi la vita ti presenterà il conto. Se sei disposto a pagare il prezzo
delle tue “trasgressioni” è un piccolo salvataggio, altrimenti soccombi.