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  Libri e interviste  »  L'intervista di Renzo Montagnoli a Pietro Zerella, autore di “ Il sole dei lupi Un sopravvissuto ai gulag di Stalin”, edito in proprio 26/02/2010
 

Intervista di Renzo Montagnoli a Pietro Zerella, autore del romanzo Il sole dei lupi, edito in proprio.

 

 

 

Questo libro, che è la storia romanzata di un personaggio realmente esistito, mi sembra che faccia emergere, fra tanti aspetti, uno che credo saliente: l'uomo, non l'intellettuale o comunque di rilievo, ma l'umile uomo della strada vittima di regimi che negano, oltre la libertà, anche la dignità. In fondo Anatolio, il protagonista, non è per natura un sovversivo, o un rivoluzionario, ma un umile che, per quanto viva nell'ombra, cerca di conservare la sua dignità di essere umano. Dal gulag di Stalin all'atmosfera oppressiva del fascismo si trascina cercando di restare sempre se stesso e questo mi sembra un messaggio forte, fondamentale.

Sei d'accordo?

 

Certamente sono d'accordo con te. Anatolio, come tanti umili personaggi della storia, suo malgrado, è stato un eroe. In tempi tristi, forse i più disumani di tutta l'era dell'uomo, dove la vita era uguale al “nulla”, è riuscito a conservare la sua dignità d'uomo forte con una grande fede interiore. Si è salvato dal “non essere più uomo” per aver creduto nelle poche cose che aveva appreso dalla madre: la fede in Dio. In ogni atto, ogni azione d'Anatolio traspare l'insegnamento, la testimonianza familiare, in uno Stato dove la religione è contrastata e combattuta. Il protagonista di questa storia è uscito vivo da due opposti Regimi ed ha subito sulla sua pelle la negazione della libertà e il fanatismo culturale e materiale del quale si cibano tutte le dittature.  Due autoritarismi diversi, opposti, il nostro più blando ma ugualmente oppressivo, forse meno sanguinario per l'indole di noi italiani, quello russo è stata tremendo, sanguinario, dove sono morti nei Gulag, o fucilati, circa 20 milioni di cittadini russi. Anatolio, come il salice, è stato flessibile, si è curvato, si è genuflesso, ma non si è rotto, ovvero mai arreso, ha avuto una grande fiducia in se stesso e la duttilità del sangue italiano.

 

Infatti ho intitolato la mia recensione “La storia di un uomo qualunque”, perché, a differenza di Arcipelago Gulag, in cui è narrata l'esperienza di Solženicyn, un intellettuale e per questo potenziale oppositore del regime, Anatolio è uno di noi, vittima solo di un regime che sopravvive grazie al terrore. Dato che Anatolio Molinari non è un personaggio di fantasia, come ti sei imbattuto in lui e come ti sei documentato relativamente alla sua storia?

 

Mi sono imbattuto nel fascicolo di questo personaggio nel fare una ricerca all'Archivio di Stato di Benevento sui sovversivi del Regime fascista. Allora stavo scrivendo un libro sull'operato del capo della polizia Arturo Bocchini (1926-1940). Trovai a carico di Anatolio Molinari una ricca documentazione. Mi incuriosì la sua storia. Un personaggio nato in Russia da genitori italiani (suo nonno, marmista era italiano) e lui stesso aveva conservato la cittadinanza del nostro paese, impiegato nell'amministrazione sovietica era stato coinvolto in una caso di spionaggio a favore della Polonia con altri cinque amici e poi tutti fucilati tranne Anatolio inviato ai lavori forzati per 10 anni. Questo personaggio, che lavorava il marmo come il padre e il nonno, scacciato dalla Russia era poi arrivato nel Sannio, in un Paese dove si lavorava il marmo. (le montagne di Vitulano si vedono da casa mia). Vigilato dalla polizia italiana e più volte interrogato alla fine comprese che per vivere in pace doveva prendere la tessera del fascismo. In questo paese, nel 1938 nacque il figlio Romoaldo. Mi misi alla sua ricerca, abita a Roma, ma lui non sapeva quasi nulla di suo padre, era solo a conoscenza che la polizia russa lo aveva tenuto in carcere a Mosca. Chiesi della notizie, ma non mi disse quasi nulla, non mi conosceva e quindi diffidava. In seguito, a spizzico, ebbi qualche notizia sulla sua vita a Roma e sul suo lavoro negli ultimi anni. La polizia dopo la caduta del fascismo lo lasciò in pace. Fu veramente un perseguitato per caso. In Italia la polizia lo vigilava soltanto perché era stato espulso dalla Russia e quindi lo sospettava come potenziale spia e quindi nemico del Regime. Dai documenti trovati Anatolio in Italia non commise mai un reato, neanche il più piccolo, anzi collaborò con le autorità italiane. Di particolare importanza è quel memoriale della vita in Russia. Pur avendo letto tanti libri di autori Russi, da Tolstoi, ai giorni nostri, non avevo mai letto della categoria dei “Già uomini”. Mi sono documentato su tutta la letteratura e storia russa, e addirittura sulla flora e la fauna della Siberia. (Se il merlo e l'usignolo vivevano in Russia e così del Larice…)

 

E' evidente che tutta la tua produzione ha un carattere di conservazione della memoria, cioè di ciò che è stato, finendo con il diventare una testimonianza storica. E non mi riferisco solo a questo libro, ma anche ai tuoi racconti. Il ricordo, il conservarlo, lo scrivere di un mondo che è stato e ora non c'è più che significato ha per te? Per dirla in termini più chiari, perché ritieni importante scrivere del passato?

 

Detti comuni sul Passato c'è ne sono tanti:

“Guardo al futuro senza dimenticare il passato

“Non può esistere futuro senza passato” e così via…

Al di fuori di tanti aforismi scrivo del passato per non far dimenticare ai nostri figli, ai giovani, chi eravamo, il nostro stato d'essere, il difficile cammino percorso attraverso gli anni, il modo di vivere di una volta…

Da diversi anni scrivo ricordando i fatti e gli uomini della mia Comunità.

Incominciai a scrivere frammenti di storia del mio Paese “San Leucio del Sannio”.

Questo Paese non ha una grande storia (t'invio a parte una poesia che scrissi in proposito molti anni fa) e allora iniziai a fare ricerche e scrivere della nostra piccola storia. Su San Leucio e i suoi abitanti ho scritto tre-quattro libri, in alcuni riporto certi personaggi tipici con i loro nomignoli: “Minico a ptacca

Ogni anno, sono ormai 22 anni che a fine d'anno scrivo una rivista per gli anziani ricca di foto d'epoca in bianco e nero, di fatti recenti e del passato, scrivo per lasciare una testimonianza del nostro essere stati. (Queste riviste sono molto richieste all'estro dai nostri emigranti, in particolare in Australia, si fanno le fotocopie e se le passano). Se va tutto bene al 25° numero, mi fermerò e raccoglierò tutto in un libro.

Scrivo del passato per non dimenticare, per raccogliere e trasmettere qualche cosa.

Poi sono innamoratissimo del mio paese, in ogni mio romanzo mi capita di inserirlo o farlo emergere in qualche modo.

Vedi Renzo, la mia realtà è molto paesana, ma crediamo ancora in certi valori, anche se qui ormai…

Pensa che un padre di famiglia, molto all'antica, roba da “Libro Cuore” si rinchiude volontariamente in una casa di riposo con il figlio handicappato per non lasciarlo alla sua morte solo in mezzo alla strada. Stando con lui nella casa di riposo il figlio si abituerà e non sarà abbandonato. Questo fatto l'ho scritto prima per me stesso perché conoscevo la famiglia, poi per lasciare una testimonianza ai miei concittadini ma in più per omaggiare quell'uomo morto prematuramente per il figlio. Il racconto l'ho inviato al giornale per la pubblicazione, ma sarà difficile perché esula dai compiti del quotidiano. Spero che lo pubblicheranno (se vuoi te lo manderò, è un racconto nuovo che ho scritto da qualche mese).

 

 

Sono d'accordo, tanto che è risaputo quanta importanza io riconnetta alla conoscenza delle proprie origini. Se non sappiamo quale è stato il nostro passato, non siamo in grado di vivere compiutamente il presente e nemmeno possiamo fare progetti concreti per il futuro. Chi è senza è memoria è un uomo che può solo vegetare. Del resto questo è il tema della mia prima silloge, Canti celtici.

Ma ritorniamo all'intervista e mi sembra logico chiederti quale è l'autore, fra i tanti che hai letto, che più ha esercitato un ascendente su di te e per quale motivo.

 

 

Solzenycyn A. con “Arcipelago Gulag” e Primo  Levi con  “ Se questo è un uomo”  due personaggi che hanno vissuto tribolazioni terribili ma che proprio dalle loro inumane sofferenze hanno trovato lo spirito e la forza di scrivere due magnifiche opere. Più politico il primo che con i suoi Gulag ha mostrato al mondo il vero volto dell'URSS di allora, i suoi scritti sono valsi a dare una spallata al “Muro di Mosca”, come lo furono “Le mie prigioni” di Silvio Pellico per l'Austria.

Meno Primo Levi che è diventato noto per le camere a gas di Hitler, ma che non ha influito in modo particolare sulla caduta degli “Dei del mondo tedesco” perché appena terminata la guerra si erano scoperti le nefandezze dei campi di sterminio nazista.

Accomuna questi due personaggi l'aver saputo trasmettere al mondo, con la loro penna, di cosa è capace l'uomo quando è guidato dalla sete di potere.

Due uomini sotto due diverse dittature ma uniti da un unico destino dove emerge la forza d'animo, l'intelligenza e la cultura che li ha aiutati a sopravvivere.

Questi due autori mi hanno assistito per tutto il percorso del “Sole dei Lupi”.

 

 

Certamente per Il sole dei Lupi questi due autori sono stati un punto di riferimento per te, ma in generale quale è o quali sono quei narratori che più hanno contribuito alla tua formazione letteraria?

 

 

Questa è una domanda difficile perché ho divorato tanti libri e tanti autori diversi che non so ancora quali hanno contribuito alla mia formazione letteraria.

Mi sono letto gran parte degli autori russi, da Tolstoi a Puskin e credo che questi mi abbiano leggermente influenzato.

Per i racconti Raymond Carver, per la narrativa Ernest Hemingway, di più il moderno Ken Follett, Buzzati, ma credo che il mio stile e i miei personaggi si avvicinano molto a quelli di Verga, al verismo.

Renzo, forse tu, attraverso i miei scritti, mi puoi dire quale autore ha contribuito alla mia formazione letteraria!

Dicono, che i miei scritti siano semplici, godibili, accattivanti, in essi traspare molta serenità.

Non so se è piaggeria o verità.

 

 

La realtà è che chi legge e poi scrive assume alcune caratteristiche di altri autori, mischiandole alle sue e di conseguenza è difficile dare una risposta alla tua risposta-domanda. Sì, nei tuoi racconti, ma anche in questo romanzo c'è qualche cosa di Verga, ma lui aveva un tono più distaccato, quasi fosse un fotografo della realtà.

Mi risulta che tu scriva molto, soprattutto relativamente alla tua zona geografica e in una prospettiva storica. Che cos'hai in cantiere, attualmente?

 

 

E' vero scrivo molto.

Qualche giorno fa è uscito fresco di stampa un mio libro storico:” Stefano Borgia e il Ducato Pontificio di Benevento”.

E' un grosso personaggio di chiesa e politico. Nato a Velletri (Roma) è stato governatore di Benevento, (1759-64), cardinale e anche governatore di Roma nel periodo di Napoleone.

Si distinse a Benevento per la lotta al brigantaggio, per aver saputo dominare la terribile carestia del 1764 tanto che i beneventani lo nominarono “Salvatore della città”.

E' particolarmente ricordato per aver scritto tre volumi della “storia della Pontificia città di Benevento” dai longobardi in poi. Tutti gli storici che parlano della Longobardia Minor attingono ai suoi scritti.

Su questo personaggio quasi nessuno storico si era soffermato più di tanto, né in campo nazionale né locale. Tutti hanno parlato dei famosi Borgia del Valentino, Lucrezia e del papa-padre. La famiglia Borgia che io tratto non è parente di quella più famosa.

Ho avuto l'onore di avere avuto la presentazione del libro dal Sindaco di Velletri, dall'Arcivescovo di Benevento e dal Presidente della Provincia del Sannio, che risiede nel castello dove aveva governato il Borgia.

Per la presentazione del libro sono in attesa di concordare con l'Arcivescovo, il Presidente della Provincia e il Sindaco di Velletri.

 

 

Siamo arrivati all'ultima domanda, che a onor del vero è doppia, nel senso che sono due, anche se collegate. Mi viene naturale chiederti come mai un ispettore di polizia non scriva almeno un giallo e inoltre qual è quel libro che sogni da una vita di scrivere?

 

 

Non mi sono mai cimentato a scrivere un giallo;  chissà,  un domani, forse… In qualche racconto e anche nel Sole dei lupi ho lasciato intravvedere il mio lavoro.

Credo di aver già scritto i libri sognati.

Tutti noi che scriviamo siamo alla ricerca di realizzare qualcosa di eccezionale che ci faccia ricordare nel tempo.

Mi capita che ogni libro che scrivo mi sembra il migliore. Attendo con ansia la pubblicazione, poi non lo seguo più, passo oltre, alla ricerca di qualcosa che mi dia più soddisfazione.

Il massimo entusiasmo lo ricavo mentre scrivo e la storia si dipana sotto la tastiera.

Gioisco  e mi commuovo col personaggio che sto creando. Man mano che la storia va avanti la vivo e alla fine ne esco sfinito come dopo aver portato un grasso fardello sulle spalle per tutto la stesura del libro.

Oggi sono ancora alla ricerca di un soggetto, un input che m'impegni e mi faccia sognare.

Ora sto scrivendo della seconda guerra mondiale vista da un marinaio partito volontario all'età di 16 anni. Non ne sono troppo entusiasta. Mi sono impantanato in un argomento che non sento mio. Sto fermo sulla famosa “pagina bianca”. (La verità è che mi addolora inoltrarmi in una pagina scura della nostra storia nazionale, quando ti accorgi che i nostri soldati andavano a combattere con i fucili del 1891, con le scarpe di cartone e la loro vita era considerata nulla).

 

 

 

Grazie Pietro per la piacevole conversazione e ti saluto con un arrivederci alla prossima, magari per la tua ultima fatica “Stefano Borgia e il Ducato Pontificio di Benevento”.

 

 

Il sole dei lupi

Un sopravvissuto ai Gulag di Stalin

di Pietro Zerella

Prefazione dell'autore

Copertina di Alessio Zuzolo

Opera stampata in proprio

Per acquisti:

pzerella@libero.it

Narrativa romanzo

Pagg. 223

Prezzo € 14,00

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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