Afonie
indispensabili – Gavino Puggioni –
Thoth – Pagg. 146 – ISBN 9788898025916
– Euro 12,00
La
solitudine del poeta
È
un canto solitario e triste, quello che il poeta Gavino Puggioni
intona e libera tra le strade scoscese del mondo e dell’umano
vivere. Versi, i suoi, acuti e penetranti, che s’intrecciano in
pagine dense di significato ed emozioni.
In
questa nuova silloge, così come in altri precedenti lavori,
uno dei tratti distintivi della sua scrittura è senza dubbio
quello di uscire dai confini, per quanto vasti, della propria
interiorità per prestare ascolto alla realtà di cui
quella stessa interiorità è parte. La penna
dell’autore, non a caso, si sofferma, con addolorata
indignazione, agli angoli delle nostre strade, ma anche su
quell’altrove soltanto in apparenza lontano, dove masse di
disperati vivono una quotidianità di guerre e atrocità
impunite, dove “il cielo è tenebra/ […] e la
terra germoglia/ di cadaveri”. E s’interroga, pur se
tanti sono i perché che rimangono senza risposta, mentre
assiste impotente alle brutture di un mondo nel quale, oggi, anche il
dolore finisce per essere globalizzato: “Le armi/ ma perché
le armi?/ chi devono ammazzare/ ancora?/ Le violenze/ ma perché
le violenze?/ i nostri bambini/ le nostre donne/ perché tante
vittime?”
Echi
di guerre che bussano ormai incessantemente alle nostre porte,
dignità umiliate e calpestate, giovani vite brutalmente recise
da una terra di cui non s’ode che il pianto: in questo
scenario, devastato e devastante, il poeta è solo, smarrito,
con una identità che non è più la stessa.
Intorno a lui soltanto il vuoto del silenzio, riempito dal fragore
dei pensieri e dalla voce inquieta del vento. Ma, per fortuna, esiste
anche il mare, quello che bagna la terra natìa e la cui voce
scuote l’anima, riconducendo il cuore a ritroso nel tempo,
lungo i sentieri perduti degli anni.
Ecco
ricomparire allora, come sprazzi di sole, frammenti d’infanzia
e altre stagioni felici, quando c’era ancora spazio per i sogni
e le voci dei bambini si rincorrevano a perdifiato tra vigne e
canneti. Il tempo, però, sommo e sublime inganno, scivola via
troppo in fretta, facendo sì che l’esistenza si riduca
sconsolata a essere “come un’ombra”, e ciò
che resta, alla fine, è soltanto amaro disincanto: “Avevo
tempo/ da consumare/ forse per amare/ Lo credevo/ ne ero convinto/
Invece l'ho consumato/ e/ non me ne sono accorto!”
Con
uno stile incisivo, metricamente libero, spesso lapidario, Gavino
Puggioni dà forma e sostanza a una silloge intensa e
appassionata, nella quale la solitudine diventa condizione dell’anima
attraverso cui scrutare il mondo, sia interiore che esteriore, mentre
passato e futuro già s’intersecano nell’oggi
desideroso di altra vita, altro tempo, così come di pace e
speranza.
Laura
Vargiu
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