SE
STALIN NON FOSSE
CLASSICI. Esce da Adelphi «Il rumore del
tempo e altri scritti», la narrativa del 1923-1925 del grande poeta russo
I capolavori di Mandel'stam descrivono gli anni prima
del terrore rosso che lo travolse. C'è già una belva ma «della letteratura» e
il furore è tutto di creatività
Veramente prezioso il volume di Adelphi
con Il rumore del tempo e altri
scritti di Osip Mandel'stam (209 pagine, 19 euro,
a cura di Daniela Rizzi). Il libro comprende anche Teodosia
e Il francobollo egiziano, oltre ad altre pagine dell'autore. Gli scritti sono
degli anni 1923-1925. La narrazione è apertamente autobiografica e abbraccia
quell'arco temporale che va dall'infanzia all'adolescenza, aprendosi con i
primi ricordi, collocabili attorno alla metà degli anni Novanta del XIX secolo,
e si conclude nel momento in cui l'autore inizia a
scrivere versi. È la Russia dei fermenti rivoluzionari ma che non sa ancora di
piombare nell'era staliniana che sarà fatale all'autore, destinato a scomparire
nei gulag. Intento di Mandel'stam è riprodurre il «rumore»
dell'epoca, quel concerto di suoni lievi o altisonanti, armoniosi o
discordanti, ma sempre evocativi che fanno da fondale alla sequenza dei fatti
biografici e ne rappresentano in un certo senso la trama, anche se non ce n'è
una vera e propria. Rapsodica e discontinua, metaforica fino all'estremo, è uno
dei più alti esempi di quella prosa assoluta che ha
contrassegnato la letteratura novecentesca. «La mia memoria non è amorevole, ma ostile e lavora non a riprodurre, ma a
eliminare il passato. Il raznocinec», il piccolo
borghese russo spesso evocato da Mandel'stam, «non sa che farsene della memoria, gli basta
raccontare i libri che ha letto e la sua biografia è
bell'e pronta. Là dove per le generazioni fortunate parla l'epos in esametri e
in cronaca, là per me c'è il segno dello iato e tra me e il secolo c'è una frana, un fossato, pieno d'un tempo rumoreggiante».
L'epoca ci viene così offerta per ritratti,
testimonianze, luoghi e persone, con il sense of humour tipico delle persone intelligenti. Mandel'stam cita episodi, personaggi ed eventi,
raccontandoli in brevi, incisivi paragrafi. Così ci ritroviamo a Pietroburgo e
ci mettiamo a cercare «la belva della letteratura», ma non tardiamo ad
accorgerci che Gipius insegna in realtà «il furore
letterario». Sentiamo il suo ruggito, visto che «dagli
altri testimoni, egli differiva proprio per quella rabbiosa meraviglia. Aveva
un atteggiamento belluino nei confronti della letteratura, come verso l'unica
fonte di calore animale. Si scaldava alla letteratura sfregandosi ad essa con il suo pelo». Incontriamo Sergej
Ivanyc in grado di dettare in una settimana, senza
riprendere fiato, 135 pagine sulle cause della caduta dell'impero romano, eroe,
costui, in egual misura posseduto dal demone della rivoluzione e da quello
della cioccolata («Se Sergej Ivanyc
si fosse tramutato in un puro logaritmo delle velocità astrali o in una
funzione dello spazio, non mi sarei meravigliato: egli doveva uscire dalla
vita, a tal punto era una chimera»). Splendide pagine ci parlano della libreria
della prima infanzia dell'autore: Puskin,
Lemontov, Dostoevskij, su cui vigeva un ferreo
divieto, mentre tutto Turgenev che invece era
permesso. E qui l'autore sa trasportarci oltre, fuori dal limite dai libri,
facendoci volare alto con la sua fatata penna. Atmosfere di Crimea in Teodosia e clima surreale ne Il
francobollo egiziano, dove la prosa si fa danza e dove il protagonista Parnok è a tratti alter ego dell'autore, a tratti un
epigono de Il Sosia di dostoevskijana memoria,
rivisitato con penna mirabilmente allucinata e visionaria. Assoluto capolavoro.
Grazia Giordani
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