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  Letteratura  »  L'orda Quando gli albanesi eravamo noi, di Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli e recensito da Arcangela Cammalleri 11/07/2012
 

L'orda

Quando gli Albanesi eravamo noi

di Gian Antonio Stella

Ed. Rizzoli

Saggistica

 

Quarta di copertina: “Volevamo braccia, sono arrivati uomini.”  Max Frisch

 

Durante le grandi ondate migratorie dall'Ottocento in poi, tanti Italiani, moltissimi, emigrarono in  America, in Australia e in Europa (Francia, Svizzera, Germania, Belgio…) e divennero immigrati, stranieri mal sopportati e, quasi fino a tempi recenti ( anni '70) disprezzati. Il giornalista Stella ripercorre, attraverso documentazioni e reperti delle varie epoche, l'emigrazione di tanti nostri compatrioti, come erano percepiti e trattati dai Paesi “ospitanti”.

“La feccia del pianeta”, questo eravamo, o meglio, così eravamo visti. Bel paese, brutta gente. La differenza tra gli emigrati di oggi in Italia e noi all'estero è solo temporale, noi abbiamo vissuto l'esperienza prima, loro dopo, ma gli stessi pregiudizi, gli stessi stereotipi ci accostano per ostilità e diffidenze simili. Oggi si sputa su quelli come noi eravamo o siamo stati. Nell'introduzione del libro è racchiuso il senso del titolo e di tutto il contenuto del medesimo. Negli States del Sud eravamo catalogati non visibilmente negri, sporchi e verrebbe da scrivere brutti e cattivi parafrasando il titolo di un arcinoto film. Essere accusati di qualsiasi misfatto raccapricciante, di qualsiasi losco malaffare, essere qualificati come mafiosi, facili alle risse a all'uso del coltello erano inevitabili conseguenze. Quanti Italiani furono percossi, ingiuriati, arrestati e uccisi solo perché crumiri o perché eravano tutti siciliani. Era l'orda, solo paragonabile agli Unni, quella che sbarcava negli U.S.A.La discarica senza legge”: l'invasione giornaliera dei nuovi immigrati direttamente dai bassifondi d'Europa, così eravamo  raffigurati in una illustrazione del Judge, 6 giugno 1903, tanti sorci bollati come anarchici, mafiosi…mentre campeggia la scritta: Occhio zio Sam: sbarcano i sorci!

Non avevano nome i nostri bisnonni, nonni emigranti, ma solo appellativi, nomignoli sprezzanti ed insultanti. Per i paesi anglosassoni eravamo i Dagger, da coltello, popolo dello stiletto, facile da usare come per mangiare e come per uccidere. Per gli Australiani i Ding, il cane selvatico. Per gli Argentini tutti Napoletani, per i Francesi, Fraais de Coni (Cuneo). In dialetto svizzero-tedesco Cinquaiol, dal grido cinq nel gioco della morra. Una sfilza di definizioni senza fine: Uàp ( Guappi),  

Cristos ( bestemmiatori), Chianti (ubriaconi), Greaseball, non tanto per la brillantina in testa quanto per le teste unte e grasse. Sul Croniche di San Francisco 1904: al di sotto del 45° parallelo sono tutti malfattori. Difficili da inserire come gli Slavi e gli Unni. Straccioni maleodoranti. I peggiori rifiuti d'Europa, popolo dai bassi istinti. In tempi più recenti la situazione migliora, ma l'equazione Italiani=Mafia permane. Immigrati clandestini, quanti nel secondo dopoguerra oltrepassando il Gran San Bernardo per andare in Francia furono gettati da qualche dirupo…ricorda gli scafisti che gettano in mare i poveri emigranti dopo aver sborsato tanti quattrini. Furono trentamila i bambini nascosti perché clandestini, in Svizzera “Come Anna Frank” il caso di una bambina nascosta per 4 anni in casa senza uscire mai.

Stella afferma che piace ricordare solo i nostri compatrioti emigrati che hanno fatto fortuna e hanno dato lustro, ma tutti quelli che non ce l'hanno fatta  e sopravvivono oggi tra mille difficoltà nelle periferie, si fa fatica a ricordarli. Le stime parlano di milioni di padri, fratelli di cui non si ha traccia, testimonianza di una storica sconfitta soprattutto nell'Italia della retorica risorgimentale, savoiarda e fascista. Non c'è stereotipo di oggi che non sia stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi. “Loro” sono clandestini? Lo siamo stati anche noi. “Loro” si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti? L'abbiamo fatto anche noi ( un prete irlandese teorizzava che gli Italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro popolo, se si eccettuano, forse, i Cinesi). “Loro” vendono le donne? Le abbiamo vendute anche noi. Rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Anche noi accusati di questo. Importano criminalità? Noi ne abbiamo esportata dappertutto. Fanno troppi figli rispetto alla media italiana? Noi spaventavamo allo stesso modo. Perfino l'accusa più nuova, dopo l'11 settembre, che tra gli immigrati ci sono tanti terroristi, è per noi vecchissima: a seminare il terrore,  per un paio di decenni, furono i nostri anarchici. In questa doppia versione dei fatti può essere riassunta la storia dell'emigrazione italiana. 

Detto questo, alla larga dall'apertura totale delle frontiere, dall'esaltazione del melting pot, ma alla larga più ancora dal razzismo, dalla xenofobia, in una società che ha rimosso una parte del suo passato. La lettura del libro è interessante e fa riflettere: tanti di noi puntano l'indice sugli immigrati perché ricordano una parte di noi che vogliamo dimenticare. Ma la Storia non si cancella.

 

Gian Antonio Stella, giornalista del “Corriere della sera”, ha scritto diversi libri, tra i quali i bestseller Schei, Dio Po, Lo spreco, Chic e Tribù.

 

 

Arcangela Cammalleri

 
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