Divergenze. Borgese,
Malaparte, Morselli, Sciascia
di Antonio Di Grado
ad est dell'equatore
Pollena Trocchia (NA)
100 pp. 14,00 €
Giuseppe
Antonio Borgese, Curzio Malaparte, Guido Morselli e Leonardo Sciascia sono per così dire i
“ragazzacci” della letteratura italiana del Novecento, che non hanno ancora deciso cosa faranno da grandi. Non sanno cosa
li aspetta dietro l'angolo, e questo li rende poco raccomandabili, ma anche
molto interessanti. La critica imperante semplicemente si mostra imperturbabile,
evitando così di correre inutili rischi. Antonio Di Grado, da parte sua, ce li
racconta assecondando i loro dubbi e assecondandoli
nei loro ripensamenti, nelle loro forse insanabili contraddizioni. Ci mostra la
loro particolare riluttanza ad adattarsi a schemi precostituiti,
benché da loro stessi acutamente e accuratamente abbozzati. Ciascuno, leggendo
e rileggendo il libro del professore Di Grado, Divergenze, ad est dell'equatore 2012,
non mancherà di cogliere questi scrittori occupati a rivedere le loro
rispettive posizioni, per occuparne un'altra, almeno temporaneamente. Sempre
con un sorriso ironico appena abbozzato: enigmatici e pirandellianamente
sfuggenti. Le loro contraddizioni sono nondimeno la linfa vitale che anima la
letteratura, poiché è di queste cose che la letteratura (e la società) si nutre
e deve nutrirsi. E tuttavia, molto spesso anche la critica più avveduta si è
disinteressata di loro, proprio perché questi autori non rientrano nelle
classificazioni più accreditate, accanto ad altri altrettanto geniali e questa
volta classificabili scrittori. Il dubbio permane. Ma
è pur vero che ci si muove per luoghi comuni: come se la genialità si potesse
irreggimentare o persino comandare. La letteratura, ma anche la filosofia, la
storia sono quindi stati ridotti alla stregua di
sterili e del tutto inutili luoghi comuni, buoni solo per delimitare lo spazio
di un'appartenenza? No. O almeno non del tutto. È solo che le “etichette”,
aiutano a capire meglio e più in fretta. E tuttavia, a travalicare i limiti
dettati da questa stessa impostazione, si finisce
ineluttabilmente per delineare ambiti d'incomprensione e sacche d'esclusione,
quando piuttosto sarebbe il caso di lasciare ampio spazio al dialogo e al
dubbio. Divergenze, dunque, ma solo per tratteggiare, per una volta, plausibili
ipotesi di lavoro, e non proprio per classificare come inclassificabile chi per
vocazione mette costantemente in discussione se stesso e per ciò stesso la
propria opera.
Massimiliano Magnano