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  Letteratura  »  Il buon informatore, di John Banville, edito da Guanda e recensito da Grazia Giordani 25/02/2013
 

Capire tutto subito per capire poi che ci si è sbagliati

IL LIBRO. Da Guanda «Il buon informatore»
John Banville noir: guida il lettore tra i pregiudizi e infine lo spiazza

 

 

Abituati all'ambientazione dublinese anni Cinquanta, che fa da sfondo cupo ai thriller di John Banville, con Il buon informatore (titolo originale The Lemur, Guanda, 137 pagine, 15 euro, traduzione di Irene Abigail Piccinini) facciamo un salto geografico, trasferendoci nell'attuale New York. La Grande Mela è descritta da una penna eletta come quella dello scrittore irlandese, da tempo in odore di Nobel. Protagonista è John Glass, irlandese come l'autore, un tempo cronista famoso e militante, in prima linea in tutti i fatti di rilievo del Novecento (Piazza Tienanmen, conflitto nordirlandese, l'Intifada), che in un momento di debolezza ha promesso di scrivere la biografia di Big Bill Mulholland, il suocero plutocrate dai dubbi trascorsi, ex agente della Cia. Glass accetta l'incarico un po' per noia, molto per soggezione al suocero e non da ultimo, per la promessa di un milione di dollari. Il romanzo si apre con un incontro caustico tra Dylan Riley, che sarà ribattezzato Il Lemure, e Glass, che sta considerando di assumerlo quale assistente nella ricerca di dati sulla vita di Big Bill: teme di scoprire fatti inconfessati, e non vuole trovarsi solo di frionte al caso. «Il cacciatore d'informazioni era un ragazzo molto alto, magro, con la testa troppo piccola per la sua corporatura e un pomo d'Adamo grande come una palla da golf. Con quel suo collo lungo lungo e quella testina piccola e quei grandi occhioni lucidi assomigliava tantissimo a un roditore esotico di cui lì per lì non gli veniva in mente il nome». Sembra instaurarsi un'immediata aura d'antipatia tra l'informatore e il giornalista, tanto da presumere che l'accordo potrebbe vanificarsi. La vita di Glass non è delle più confortanti. Si ha l'impressione che sia in una fase depressiva. Di professione, più che il giornalista, ora fa il marito di una donna ricca, con cui non condivide più il letto, ma gli agi di chi ha molti soldi. A questo si aggiunge un'amante segreta non perdutamente innamorata e un figliastro di un'antipatia e una scontrosità più che indisponenti. Per non parlare dell'incombente suocero. Inoltre, Glass detesta quel suo studio al trentanovesimo piano — tanto per cambiare, di proprietà del suocero— dove suona l'allarme se tenta di fumare una sigaretta. Proprio nel culmine dell'apatia, mentre Glass arriva a rimpiangere la sua vita irlandese, negli anni in cui almeno il giornalismo gli procurava soddisfazioni, compare Ambrose, il poliziotto che gli porta la notizia di un misterioso omicidio: Riley, l'informatore, è stato ucciso con una revolverata in un occhio. Cosa aveva scoperto Il Lemure di così pericoloso e sconvolgente? Qualcosa su Big Bill o sullo stesso giornalista? Che vogliano ricattarlo per via dell'amante? Glass cerca di venirne a capo e, quando si crede di aver capito tutto, si rivela la sofisticata capacità del giallista. Banville ci ha fin qui depistati, conducendoci nelle ultime pagine a un finale a sorpresa. Un noir di rara incisività e potenza, impreziosito da paesaggi dell'anima e risvolti psicologici.

 

Grazia Giordani

 

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