Alessio Accardo – Gabriele Acerbo
My name is Virzì
L'avventurosa storia di
un regista di Livorno
Le Mani - Euro 16 – Pag. 335
My
name is Virzì non sembra neppure un libro di cinema da
quanto è scritto bene. Non so dire se la passione con cui ho letto il testo è
dovuta al fatto che l'argomento m'intriga e che un po' di tempo fa avevo
cominciato ad accumulare materiale per scrivere un libro sull'autore livornese.
Poi non ne ho fatto di niente. Meglio così, perché Accardo e Acerbo hanno
redatto davvero un libro definitivo sul regista de La bella vita e La prima cosa
bella, tracciando limiti di ricerca ben definiti. Adesso
sono attesi dal duro compito di aggiornare e di continuare a seguire l'opera di
un regista interessante del quale sono divenuti i più documentati biografi.
Pare che dal testo - edito
con cura da Le mani e messo in commercio a un prezzo accessibile (inconsueto
per un testo di cinema) - sarà ricavato un documentario, aggiornato alle ultime
pellicole. Non è un peccato che al lavoro manchi Tutti i santi giorni, un netto passo
indietro e una battuta d'arresto nel quadro di una produzione di grande
livello, al punto che non sarebbe stato facile trovare elementi per salvarlo.
Il lavoro è impreziosito da una dotta ma al tempo stesso agile introduzione del
cinemaniaco
Gianni Canova, che ammette un errore di giudizio nei
confronti delle prime opere di un regista che poi (da Tutta la vita davanti, il film che ha
convinto la critica) ha cominciato ad apprezzare. Acerbo e Accardo raccontano
la vita avventurosa di un regista che parte da Livorno insieme all'amico
Francesco Bruni, frequenta la scuola del grande Furio Scarpelli,
comincia a scrivere sceneggiature e si candida a diventare l'erede della
tradizione della commedia all'italiana. Gli autori narrano l'apprendistato e la
lotta di classe all'Ovosodo, nella Livorno operaia,
il lutto familiare con la scomparsa del padre, l'autobiografia romanzata che affiora
in ogni film. “Per raccontare una bugia credibile bisogna partire da una
parziale verità”, afferma Virzì. Il regista livornese è un romanziere mancato,
il suo cinema è molto letterario, recitato quasi sempre
da non professionisti, spesso amici di gioventù, attento a raccontare storie appassionanti
più che a realizzare inquadrature suggestive. Furio Scarpelli
è il grande maestro di un regista che cresce sui romanzi di Dickens, sulle
pellicole di Scola, Pietrangeli, Risi, Monicelli, Ender…
appassionandosi al miglior modo di raccontare la vita: la commedia. Il saggio narra
la passione politica, gli anni del Centro Sperimentale, le prime sceneggiature
(Condominio, Biciclette ai tropici…),
i cortometraggi fallimentari e il sorprendente esordio de La bella vita. Virzì è
regista a me caro per la scelta di Piombino, esemplare la descrizione di una
classe operaia allo sbando, priva di punti di riferimento, ma ottima anche la
scelta del set cittadino per girare N,
quando invece di andare all'Isola d'Elba adatta il centro storico piombinese.
Un autore che intinge la penna nel sarcasmo livornese, che fa sorridere con amarezza
sui nostri difetti, raccontando la fine di balordi imprenditori senza futuro (Baci e abbracci) e lo scontro da
sinistra radical-chic e arricchiti
berlusconiani (Ferie d'agosto). Ovosodo
rappresenta la riconciliazione livornese, un modo per riappropriarsi delle
radici e di raccontare - in parte - la sua adolescenza. La prima cosa bella lo è ancora di più, opera scritta dopo il
matrimonio con Micaela Ramazzotti, impregnata di amore e di nostalgia per il
passato, inarrivabile per vette di poesia e lirismo, intensa
nel raccontare la storia di una famiglia. Mastandrea,
ormai attore feticcio di Virzì (che finge di non sapere il significato
dell'espressione) dà il meglio di se nel ruolo del figlio che torna a casa per
accudire la madre e nel frattempo ripensa al passato.
Tra i lavori di Virzì, il meno riuscito è My name is Tanino, film irrisolto,
ancora una volta interpretato da un attore non professionista, forse girato in
una location non troppo legata alla
poetica labronica. Caterina va in città
è molto autobiografico, perché Caterina è Virzì che lascia la provincia per andare
a vivere nella capitale, ma è ancora una volta un film che narra un'epopea
familiare, racconta le vicissitudini di un rapporto destinato a morire. Tutta la vita davanti è il film più amato dalla critica, buon successo di
pubblico, che descrive il mondo dei precari, per la prima volta protagonisti di
un'epopea cinematografica. Film galeotto per il regista, fa scoccare la
scintilla del secondo amore della vita di Virzì, dopo
Paola Tiziana Cruciani, quella Micaela Ramazzotti
(nudo integrale cliccatissimo su Youtube!)
che diventerà moglie e madre del primo figlio maschio.
Acerbo e Accardo non si
limitano a raccontare il cinema e la vita di Virzì, compongono anche un
documentato lavoro critico, non limitandosi a riferire opinioni altrui, ma dando
un quadro d'insieme della poetica del regista. Inadeguatezza, fascino discreto
della provincia, cantore delle piccole cose, nostalgia dell'innocenza,
letteratura al cinema, romanzo di formazione, voce fuori campo, cinema di
parola, verosimiglianza, macchiettiamo, stereotipi,
bozzettismo, inzeppamento,
commedia di donne, il mondo visto dai ragazzini, attori dilettanti guidati con
passione, lieto fine ineludibile… Tutto questo è il cinema di Virzì. Tutto questo Accardo e Acerbo lo spiegano con dovizia di
particolari, passione, competenza e - cosa non trascurabile - con uno stile
piano e accattivante, da consumati narratori.
“Federico Fellini è
ricordato come il regista con la sciarpa e Alessandro Blasetti
è definito il regista con gli stivali, a noi piacerebbe chiamare Paolo Virzì il
regista che ride”, concludono gli autori.
In fondo proprio questo è
la commedia: una risata vi seppellirà.
Gordiano
Lupi
www.infol.it/lupi