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  Letteratura  »  DINO CAMPANA La storia segreta e la tragica poesia, di Neuro Bonifazi, edito da Longo e recensito da Franca Canapini 21/04/2013
 

Neuro Bonifazi

DINO CAMPANA

La storia segreta

e la tragica poesia

Longo Editore

Ravenna, 2007

 

“Poeta finalmente indiscusso e autore del più bel libro di poesia del secolo scorso…

 

Le due letture, a distanza di tempo, che avevo fatto dei Canti Orfici, mi avevano lasciato una forte empatia per il poeta e due immagini poetiche che mi sembravano (e sembrano) insuperabili …La luce affonda uguale dentro gli specchi all'infinito…Nuda mistica in alto cava/Infinitamente occhiuta devastazione era la notte tirrenica… che aprono ad un respiro vastissimo.

Ne avevo riportato anche la sensazione di trovarmi di fronte ad una poetica così originale e alta (di difficile decifrazione), che non si poteva ingabbiare in nessuna corrente letteraria e che superava i suoi tempi; e mi dispiaceva vedere tale autore segnalato in qualche antologia scolastica come un isolato, magari precursore dell'Ermetismo, la cui poetica era comunque inficiata dalla follia. Mi sentivo straniata soprattutto dalla sua prosa poetica. Risuonavano in me il languore, la malinconia, le macchie di sanguigno o di rosso sparse nei vari paesaggi, l'atemporalità, la ricerca della natura primigenia, il viaggio, gli esseri umani attuali trasfigurati e mitizzati, la visionarietà, il caos.

Poi, per una serie di coincidenze (ma Jung le chiamerebbe sincronicità), mi sono ritrovata a leggere: Dino Campana La storia segreta La tragica poesia di Neuro Bonifazi.

Questo saggio, straordinario, per chi ama la poesia di Dino Campana o l'abbia solamente sfiorata (come me), senza sprofondare nei suoi abissi temporali e spaziali e soprattutto umani, risulta al lettore frutto di un lentissimo, entusiasta lavoro di scavo nella poetica dell'autore. Neuro Bonifazi, infatti, ha pubblicato già nel lontano 1964 un saggio su Dino Campana e, in seguito, ha curato per Garzanti l'edizione dei Canti Orfici del 1989, per cui è probabile che la sua esegesi trovi proprio in questo libro sviluppo, sintesi e compimento. Un'opera, dove l'autore usa tutte le fonti disponibili (biografiche, storico-letterarie, filosofiche, esoteriche e orfiche), e tutte le strategie critiche, comprese le conoscenze di psicanalisi, per mostrarci come I Canti Orfici ( o il precedente manoscritto Il più lungo giorno) siano il più bel libro di poesia del secolo scorso rivalutando, con l'amore paziente di un padre virtuale, la personalità di Campana e la sua ricerca di sanità mentale attraverso la poesia; fino a mostrarci, attraverso l'analisi delle lettere scritte dal poeta, che, anche al momento dell'internamento nella clinica psichiatrica di Castel Pulci –Firenze, nel gennaio del 1918, si trovava in normali condizioni di lucidità mentale. (1)

Il saggio è strutturato in maniera tale da presentarsi come una guida attenta e approfondita alla lettura e decifrazione dei Canti Orfici. I primi tre capitoli ( La “nevrastenia”: una storia segreta – La nascita della poesia. Il “Quaderno”. – La ricerca dell'amore perduto. La Chimera ) ci introducono al mistero psichico, filosofico, visionario del poeta. Dal quarto al decimo e ultimo siamo condotti dentro la “Parola” del poeta e ripercorriamo, alla luce sapiente del critico, il viaggio dei Canti Orfici e degli ultimi lavori scritti ( appassionata e appassionante l'esegesi del poemetto Arabesco-Olimpia) dopo la pubblicazione del capolavoro. Per cui, letti l'introduzione e i primi tre capitoli, è opportuno ( e illuminante) seguire il discorso critico con la contemporanea lettura dei passi cui si riferisce.

Il discorso di Bonifazi prende avvio da alcune sue fondamentali considerazioni:

Campana (pur essendo stato ormai riconosciuto poeta e occupi un posto sicuro nella centralità della tradizione letteraria italiana) è un autore la cui complessità resta ancora da scoprire. Nonostante le varie biografie romanzate e non, la sua personalità psichica e la sua storia segreta sono un mistero mai tentato davvero con gli strumenti analitici adatti: ancora ci si chiede se Campana fosse un matto autentico oppure un sano, perseguitato dai pregiudizi borghesi, familiari e paesani. Anche la sua passione o infatuazione per le idee filosofiche di Nietzsche, (evidenziata proprio da Bonifazi) spesso non è presa in considerazione e a volte rifiutata. I Canti Orfici sono ancora oscuri sia nella loro essenzialità, sia nei particolari delle loro figurazioni simboliche. Non c'è stata vera attenzione, da parte della critica, agli scritti del Quaderno, a quelli post Orfici e neppure al manoscritto Più lungo giorno.

Di tutto ciò Bonifazi si propone di dare uno svelamento. E da qui inizia un'affascinante discussione- ricerca che ci conduce in un viaggio di conoscenza entusiasmante, che, nel mentre rende a Campana i suoi meriti indiscutibili, ci avvicina al bellissimo saggio La nascita della tragedia di F. Nietzsche e alle storie esoteriche di I grandi iniziati di E'. Schuré. Insomma veniamo anche a contatto con quella “sapienza oscura” che per taluni è sintesi della conoscenza del mondo. E, sicuramente, è radice e fondamento dell'opera del nostro poeta. Secondo Bonifazi, infatti, la poesia di Campana è davvero “orfica” in senso mitico (secondo l'interpretazione apollinea della mitologia greca) e mistico (secondo l'originaria religiosità “folle” dei misteri dionisiaci)(2); è una poesia di “conoscenza”, investita interamente da un pensiero riflesso e totale, “métaphisique”; “un pensiero che…è composto di fede e iniziazione, secondo la teologia degli antichi misteri, rivissuti tragicamente e esteticamente, in senso moderno e “inattuale”, nella Nascita della tragedia di Nietzsche”.

E' una poesia che, con gli strumenti del canto e del linguaggio poetico, simbolico e metaforico mira a tentare il mistero della vita e della morte, al di là delle incongruenze e dei limiti della ragione umana.

Scandagliare i Canti alla luce dell'ipotesi che sia un compatto poema orfico (come per primo ha affermato Mario Luzi), ispirato ad una precisa fede filosofica e esoterica, significa, per il nostro critico, ricondurre ad una radice unica, nutrita dalla linfa di diverse conflittualità incosce, gli elementi teorici, biografici, analitici e segreti che s'incrociano nell'opera. E dopo il preciso e approfondito lavoro di scandaglio è evidente anche per il lettore come e quanto “la letterarietà dotta e figurativa e misterica siano in Campana una necessità inderogabile, un impegno totale… una specie di soccorso vitale, estremo, una vocazione drammatica, l'accettazione di un destino…una decisione simile a un eroismo oltre l'umano, o meglio, a un versamento di sangue innocente…la sua è una cultura che è diventata carne, sangue, respiro e battito della sua vita e della sua immaginazione, ed è quindi indubitabile che tutto questo, letteratura e filosofia, principi filosofici e misterici, miti e figure simboliche, moralità inattuale e stile evocativo, ecc. rispondano a un'esigenza profonda, indiscutibile, misteriosa agli occhi stessi del poeta e alla sua coscienza. La quale sceglie e s'immerge completamente senza che lui se ne faccia una vera ragione…tutto teso com'è verso un sogno supremo. Sogno d'arte e bellezza, sogno del “supremo amore”, non impedito da nessun divieto…”

Il saggio è talmente denso di conoscenze, scoperte e riflessioni che è impossibile sintetizzarlo; si può portare ad esempio del lavoro l'analisi della figura della donna nella fantasmatica orficità di Campana. Analizzando le parole simboliche con le quali la racconta, e prendendo atto dei suoi disturbi psichici quali il complesso di persecuzione, il narcisismo secondario e il delirio di gelosia, la figura femminile diviene immagine scaturita da un complesso edipico non risolto, ma sublimato dalla sua ideologia filosofica. Per cui la donna è una Chimera ( menade, sfinge, prostituta, moderna reincarnazione della sacerdotessa, Gioconda, Vergine bambina, donna amorosa, donna liberata) ambigua, multiforme, imprendibile (simbolo dell'illusione universale); e dovrebbe essere la madre a cui lo lega il primordiale amore, ma che il delirio di gelosia nei confronti del padre gliela fa immaginare come la prostituta e la vergine, la sposa di altri da odiare e la bambina ingenua e amorosa da proteggere teneramente, l'aridità del mondo e la dolcezza dell'amore.

Lo scandaglio si affina al punto di cercare nella scomposizione della parola stessa la chiave dell'enigma. “… in questo caso si tratta proprio del nome chimera che a Campana derivava dai testi francesi e quindi chimère e lui il francese lo sapeva. Ebbene noi proviamo a supporre che il suo incoscio, catturato dall'omofonia, scomponesse sillabicamente la parola in modo da cambiarne significato: da chimère a chi-mère e anche chi-mèr, ossia a parole dal suffisso madre e/o mare o giuochi di parole basati sullo stesso suono madre. Ne abbiamo visti altri di questi segni linguistici basati sullo stesso suono ( come “vertigine” verginità e come “enormità” “anormalità”) che possono testimoniare di un'intensa attività incoscia e provare una tendenza inavvertita e involontaria, ma presente in lui, e segnale se si vuole di forti pulsioni interiori…”

Tante altre sono le parole simbolo che vengono tentate e aperte: la catastrofe, l'accecamento, il portico, il viaggio e il ritorno, il sorriso di chi sa sognare (un sorriso superiore, apollineo, solare dell'arte, il sorriso che Leonardo sa mettere sulle labbra delle sue donne ritratte) oppure il significato simbolico dei colori (rosso divieto, bianco liberazione ) e tutte contribuiscono a convincerci che il poeta orfico Dino Campana ha saputo elevarsi al di sopra della presunta malattia e realizzare il suo sogno di bellezza. Liberazione e sublimazione nella Bellezza dell'arte, che il critico individua proprio nei versi centrali di Genova, (considerati da altri come spia dei suoi disturbi mentali) (3) e che invece esprimono pienamente l'epilogo bello dell'avventura di una tragica (nel senso nietzschiano del termine) elevazione verso il cielo (luce-bellezza-purezza), sull'atrocità dell'esistenza; “quella “atroce” sua esistenza che solo un amore immemoriale infantile, riassaporato attraverso l'unico potere mistico e orficamente gioioso della sua visione poetica di grazia e bellezza, potè splendidamente e “incosciamente ” glorificare”; e lo condusse alla “fusione del capolavoro”.

“…Infine il mio piccolo dovere era di non arrendermi e l'ho fatto e me ne vo.”(Dino Campana)

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(1)

A proposito dell'internamento sono molto interessanti le ultime pagine del libro nelle quali il critico, analizzando le lettere di Campana e i racconti dello psichiatra Pariani, ipotizza che il poeta abbia accettato di buon grado l'internamento come soluzione alle sue difficoltà pratico- economiche e che i successivi discorsi deliranti siano stati frutto di una auto-suggestione reattiva alla suggestione con la quale i medici lo curavano. Ci tiene l'autore a lasciarci l'immagine di un Campana “ironico” e canzonatore, ribelle e irriducibile fino all'ultimo. E ne difende il valore con espressioni vibranti: “Così l'esistenza di questo grande poeta moderno e la sua opera grandiosa si svolgono interamente tra due diagnosi pressoché uguali e parimenti imprecise, dovute alla rudimentale psichiatria del suo tempo, che non conosceva tra l'altro né Freud né Nietzsche, e alla considerazione cialtrona e delinquenziale diffusa dovunque riguardo alle persone strane e diverse.”

(2)

“Dalla struttura della tragedia classica Nietzsche risale alle origini arcaiche, consistenti nel culto misterico e orgiastico di Dioniso, ossia mette in evidenza che la tragedia era originariamente il canto del capro, animale sacro a Dioniso, dio della natura selvaggia e liberatrice che incarna il disordine e le forze istintive e violente dell'uomo…Passato dalla Tracia nel mondo greco il culto orgiastico e sfrenato di Dioniso fu accettato, ma moderato sensibilmente dal culto centrale della mitologia greca del solare Apollo, dio dell'armonia, della forma, della bellezza, della grazia e dell'ordine intellettuale….I misteri dionisiaci presero il nome di orfici dal leggendario cantore e sacerdote greco Orfeo e così si diffusero nel mondo occidentale, e in tal modo dionisiaco e apollineo, apparentemente antitetici, si unirono per originare un perfetto e armonico equilibrio estetico di cui la tragedia arcaica fu la più perfetta realizzazione….Al centro del culto della religione dionisiaca c'era la violenta rievocazione dell'uccisione sanguinosa di Dioniso da parte dei Titani, come SIMBOLO DELLA LACERAZIONE DELLA PRIMORDIALE UNITA' (e quindi il dolore, la rivalità, la differenza sessuale), individui gettati nella mortalità temporale della realtà e dell'esistenza; ma c'era anche la rinascita del dio, l'aspirazione degli iniziati alla ricostituzione (una sorta di vittoria sul tempo e una prova dell'eternità e divinità al di là della morte, precisamente con la perdita della propria individualità). La religione olimpica, ossia degli dei del'Olimpo, e in particolare di Apollo, conserva il senso profondo e tragico del dionisiaco, ma insiste sul superamento del terrore tragico e sul nichilismo dell'esistere, e soprattutto limita gli eccessi orgiastici..

Nietzsche mette in risalto…l'aspetto dionisiaco, che genera da se stesso la forma apollinea quasi come una barriera di difesa all'impeto dirompente dello spirito dionisiaco…sostiene che si deve accettare fino in fondo la tragicità dell'esistenza e trovare una specie di gioia paradossale nel vivere il caos e la brutalità, legata al tempo e alla quotidianità e alla molteplicità del reale. Certo, l'uomo deve cambiare, i vecchi valori sono morti(come Dio) non perché non esistono, ma perché non servono più all'uomo. Il quale sarà un super-uomo…un uomo che andrà oltre la sua vecchia umanità, e quindi un oltre-uomo, un essere libero, che agirà per realizzare se stesso e considererà la sua vita come un'opera d'arte, ossia amerà la vita, non si vergognerà dei propri desideri, e cercherà se possibile ( con l'aiuto del SOGNO e dell'OBLIO…) la gioia e la felicità. E l'otterrà se saprà essere “leggero”, ridere e danzare sul male, scivolare-glisser sulle cose del mondo, volare…”

(3)

“…D'alto sale, il vento come bianca finse una visione

di Grazia

Come dalla vicenda infaticabile

De le nuvole e de le stelle dentro del cielo serale

Dentro il vico marino in alto sale,……

Dentro il vico ché rosse in alto sale

Marino l'ali rosse dei fanali

Rabescavano l'ombra illanguidita,. . . . . .

Che nel vico marino, in alto sale

Che bianca e lieve e querula salì!

Come nell'ali rosse dei fanali

Bianca e rossa nell'ombra dei fanali

Che bianca e lieve e tremula salì:…..

Ora di già nel rosso del fanale

Era già l'ombra faticosamente

Bianca………..

Bianca quando nel rosso del fanale

Bianca lontana faticosamente

L'eco attonita rise un irreale

Riso: e che l'eco faticosamente

E bianca e lieve e attonita salì……”

BIOGRAFIA

Neuro Bonifazi, già Ordinario di Letteratura italiana nell'Università di Urbino, dove è nato e risiede, è autore di numerosi saggi, tra i quali ricordiamo innanzitutto quelli su Giacomo Leopardi (Leopardi autobiografico, 1984; Lingua mortale, 1987; Modelli leopardiani, 2003 editi dalla Longo Editore Ravenna; Il “riso” leopardiano e le “Operette morali” Urbania, 1974

E il volume Leopardi. L'immagine antica (Einaudi 1991).

E' noto inoltre per il saggio Dino Campana del 1964 ( Edizioni dell'Ateneo), ristampato nel 1978, al quale ha aggiunto la cura dell'edizione commentata dei Canti Orfici (Garzanti 1989).

Altri saggi riguardano Parini e il Giorno (Argalia 1966), L'alibi del realismo (La Nuova Italia, 1972), Le lettere infedeli (Officina 1975), Teoria del fantastico ( Longo 1983), Il genere letterario (Longo 1987). Ha curato l'edizione critica del cinquecentesco G. B. Pigna, Il ben divino (Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965). Il suo ultimo saggio è Gesù il Messia (Helicon, 2010).

 

 

Franca Canapini

 

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