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  Letteratura  »  Venivamo tutte per mare, di Julie Otsuka, edito da Bollati Boringhieri e recensito da Arcangela Cammalleri 05/05/2013
 

Julie Otsuka

Venivamo tutte per mare

Titolo originale The Buddha in the Attic

Ed. Bollati Boringhieri

Romanzo

 

Di loro alcuni lasciarono un nome,

che ancora è ricordato con lode.

Di altri non sussiste memoria;

svanirono come se non fossero esistiti;

furono come se non fossero mai stati,

loro e i loro figli dopo di essi.

Siracide 44, 8-

 

 

Il tetto si è bruciato

ora

posso vedere la luna.

Mizuta Masahide

 

Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka narra la prima immigrazione giapponese negli Stati Uniti, è un libro toccante intessuto da una scrittura mirabile: lieve, armonica, musicale ed emozionante.

Come ebbe a scrivere un critico è come un sussurro che accarezza ed ipnotizza e come dichiara la stessa autrice è una storia corale di migliaia di giovani donne giapponesi - le cosiddette “ spose in fotografia”-che andarono in America agli inizi del Novecento.

Giovani sacrificate e dalle famiglie originarie per togliersi il fardello della dote per sposarle e per avere una bocca in meno da sfamare e dai futuri mariti che le sfruttarono senza alcun cedimento emozionale.

Come tante emigrazioni dolorose ma nello stesso tempo piene di aspettative, il racconto inizia dal viaggio per mare di queste fanciulle sprovvedute ed ingenue, tra le mani hanno la foto dei futuri mariti, istantanee di giovani che poi in realtà erano o vecchi o laidi ed insensibili e d'aspetto tutt'altro che gradevole. L'approdo e l'adattamento in terra straniera tra le grinfie di uno sconosciuto sa spesso devastante: una schiavitù fisica e morale dura da sopportare se non con estrema rassegnazione e profonda sofferenza.

Senza retorica o spinte sentimentali come l'occasione imporrebbe, l'autrice ci accosta ad un mondo femminile, quello orientale,(ma l'animo femminile ha connotazioni etniche?) così dedito alla abnegazione di se stesse e dei propri desideri più intimi da colpire al cuore il lettore, in uno stile delicato e scevro da sovrabbondanti aggettivazioni.

Si dipanano storie collettive, narrate in prima persona plurale, dolenti, non prive, a volte, di piccole e brevi speranze, intessute di sentimenti e stati d'animo: paura, incertezza, dolore, sofferenza, nostalgia… Acuta la delusione per essere state ingannate, ogni promessa della terra promessa si rivela infondata e l'amore sognato infranto da una realtà miserevole e squallida. La fatica fisica fino all'estremo, la sottomissione all'uomo fino all'annullamento di sé fanno di queste giovani vittime sacrificali, immolate in nome di una più prospera e migliore condizione di vita. Se i mariti avessero detto la verità nelle loro lettere - non erano mercanti di seta, ma raccoglitori di frutta, non vivevano in grandi case con molte stanze, ma sotto una tenda o dentro un granaio o all'aperto, nei campi, sotto il sole e le stelle - non sarebbero mai venute in America a fare i lavori che nessun americano rispettabile voleva fare. Avevano la schiena forte e le mani agili, resistenti e disciplinati e dal carattere docile: la migliore razza di lavoratori che l'America avesse!  Alcune avevano lasciato in patria anche dei figli e il rimpianto di essi mordeva l'animo… ”Sulla nave non potevamo immaginare che avremmo sognato nostra figlia ogni notte fino al giorno della nostra morte, e nel sogno avrebbe sempre avuto tre anni come l'ultima volta che l'avevamo vista: una figura minuscola con un kimono rosso scuro accovacciata ai margini di una pozzanghera, incantata  davanti a un'ape morta che galleggiava sull'acqua! E nei ricordi nostalgici e nella fatiche e nelle umiliazioni quotidiane si consumano intere esistenze, nutrendo la speranza vana che qualcuno si accorgesse di loro e le liberasse, e molte di loro immaginavano di ritornare in Giappone. E in Giappone ritorneranno tanti giapponesi, maschi, trasferimenti di massa, evacuazione d tutti gli stranieri nemici dalla costa, al grido Rimandiamoli da Tojo! dopo l'attacco di Pearl Harbor. La narrazione del libro arriva fino agli anni'40 quando le generazioni dopo si sono americanizzate sfuggendo sempre più alle consetuetudini dei loro padri e si sono conformate alla lingua e alla società statunitensi.   

 

Il pregio artistico di questo libro è nel descrivere una realtà dolorosa, a tratti spregevole, da domandarsi perché tanta  umanità debba sopravvivere invece di vivere in una lingua talmente bella da farsi arte e l'arte trasfigurare la realtà ed elevarla a dignità.                                                                                                                                                                                                                                                                                                          

 

Julie Otsuka è nata in California. Si è laureata in Belle Arti alla Yale University e ha conseguito un Master of Fine Arts alla Columbia University. E' anche pittrice. Oggi vive e lavora a New York. Il suo primo romanzo, When the Emperor Was Divine (2002), dopo aver scalato le classifiche con duecentosessantamila copie vendute negli Stati Uniti, è considerato un classico contemporaneo: con questo libro, unanimamente giudicato dalla critica un capolavoro. Julia Otsuka ha vinto l'Asian American Literary Award, l'American Library Association Alex Award e una Guggenheim Fellowship.

 

 

Arcangela Cammalleri

 

 
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