Vuoi
essere un uomo? Ammazza un orso
di Ferdinando Camon
"La
Stampa-Tuttolibri" 6 aprile 2013
Son tornate le linci, le
volpi, le aquile, i lupi, e gli orsi. Prima 5-6 coppie di Orso Bruno liberate
nei boschi del Bellunese e del Trentino, a ridosso dell'Austria; adesso si
calcola che ce ne siano alcune decine. Vai per i sentieri della Val Zoldana, e sai che a destra e
a sinistra ce n'è qualcuno: tu non vedi lui, ma lui vede
te. Andar per monti non è più come vent'anni fa. Allora eri padrone dispotico,
potevi perderti in un bosco e dormire tranquillo sotto gli alberi, sapevi che
tutto ciò che si muoveva e respirava intorno a te aveva paura di te: intorno a
te si stendeva il creato, così com'era uscito dalla
mani del Creatore, e tu eri il re del creato. Beh, non lo sei più. Prendiamo
proprio la Val Zoldana:
esci dall'autostrada, arrivi a Forno, e lì un orso ha sbranato un asino; arrivi
a Dont, e lì s'aggira un
orso piccolo, chiamato perciò “orsetto”. Un altro, sopra Trento, ha tagliato la
strada statale e ha sbattuto contro un'Alfa Romeo. Danni all'Alfa, ma lui è
morto. La Val Zoldana è
vicina all'area che il mondo conosce per la catastrofe del Vajont: la
catastrofe avvenne di notte, al mattino i giornali
nazionali non avevano la notizia, il “Gazzettino” sì, a caratteri mastodontici,
mai visti caratteri così grandi, sembravano tagliati con lo scalpello. In
stazione, all'alba presto, era un via-vai di lettori che correvano in edicola a
cambiare i loro giornali nazionali col “Gazzettino”. Passo spesso di lì, e ogni
volta mi domando: nascerà un nuovo scrittore, capace di raccontare la nuova Natura, la paura dell'uomo detronizzato, la grandezza
del piccolo uomo che affronta la Grande Bestia? E la dolcezza materna di questi
monti e di queste valli, dove ci sono uomini che parlano con i cani in lingua
tedesca? Cani che sono lupi, allevati da piccoli. D'improvviso,
in silenzio, eccolo il romanzo della nuova Natura, delle bestie selvagge, degli
orsi e specialmente del Grande Orso, soprannominato El
Diàol. Il centro del racconto sta a
Colle Santa Lucia, uno di quei paesi bellissimi che però t'ispirano un senso di
allarme: visiti il cimitero, delizioso, e dalle epigrafi capisci che le due
guerre mondiali per loro non sono cominciate nel ‘15 e nel '40, ma nel '14 e
'39. Nel '15 erano i nostri nemici. È un'oasi di lingua ladina. L'orso Diàol sta nel cuore del bosco, assalta caprioli e nella
furia di sbranarli li scaraventa tra i rami degli abeti. Il romanzo ha un
impianto apparentemente hemingwayano, padre e figlio
che vanno a uccidere il Diàol per intascare una
maxi-scommessa, ma in realtà Hemingway sta troppo in superficie, qui il testo
scende più in profondità, non lo senti derivare da qualcuno dei “Quarantanove
racconti” di Ernest, ma dalla “Linea d'ombra” di Conrad. La “linea d'ombra”
segna l'uscita dell'uomo dall'età dell'innocenza e l'entrata nelle grandi
sfide, la furia dell'oceano, i mostri della natura e dello spirito, fuori di te
e dentro di te. Oltrepassi quella linea, e non sei più lo stesso. Qui la grande
sfida sta nel cercare, trovare e uccidere il Grande Orso, El
Diàol. La scommessa l'ha lanciata il padre, ma se a
uccidere l'orso fosse il padre, sarebbe uno dei tanti racconti d'avventura a
quota simbolica zero. Qui la quota simbolica è alta: è il figlio, 12 anni, che uccide la Bestia, su quella linea d'ombra
avviene il passaggio delle consegne, il figlio è un vincente che vince la vita,
il padre esce dalla vittoria e dalla vita. Lo scontro avviene nel cuore del bosco dove il padre, quand'era ragazzo, aveva una capanna
segreta, per sé e per la sua ragazza. Il figlio studia bene il posto.
Diventerà
il suo posto segreto. Righetto sposta indietro la vicenda, al tempo della
catastrofe del Vajont, ma la spinta a scrivere gli
viene oggi dal ritorno delle bestie feroci. È da queste che è eccitato. Un
tempo avremmo detto “ispirato”.
Matteo
Righetto, La pelle dell'orso, romanzo,
Guanda ed., 2013, pagg. 160, euro 14,00
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