Rischi
di perderti a immedesimarti nel commissario
IL LIBRO. «Le abitudini delle volpi» (Guanda)
Il transfert del giallista Indridason
con il suo personaggio: pericoloso
Ancora una volta
proposto da Guanda, il nuovo giallo di Arnaldur Indridason Le
abitudini delle volpi (306 pagine, 18 euro, traduzione di Silvia Cosimini) conferna la
fama dell'autore nordico. Nato nel 1961 a Reykjavik, Indridason
si è dedicato sia alla scrittura di romanzi che di
sceneggiature, dopo aver lavorato come giornalista e critico cinematografico
per la maggiore testata islandese, il Morgunbladid.
Di quello che è acclamato come miglior scrittore giallista dei Paesi nordici,
già abbiamo apprezzato, sempre per i tipi di Guanda, La signora in verde, Un
grande gelo, Un caso sospetto e, ultimamente, Cielo nero. Questa volta, il
commissario Erlendur si decide ad affrontare il
dramma che lo ossessiona da sempre, legato alla scomparsa del fratellino di
otto anni. Si ha quasi la sensazione, leggendo queste angoscianti pagine, che
l'autore subisca un transfert con il suo personaggio, quasi l'empatia che si è
creata tra lui e i suoi lettori lo condizioni, in un gioco ambiguo tra reale e
immaginato. Infatti, nel precedente romanzo, Erlendur
era assente, in quanto impegnato a ritrovare le tracce
della sua infanzia, quindi ora apprendiamo che stava cercando di medicare le
sue ferite psicologiche, tentando di andare in fondo a rimossi misteri.
L'INCHIESTA del poliziotto sulla scomparsa di Mattildur
— una donna sparita misteriosamente nella neve durante gli anni della guerra,
dopo aver fatto da guida a un battaglione di soldati inglesi — sarà un valido
aggancio, in parallelo con la sua intima ricerca. Trascorrerà qualche tempo nel
piccolo villaggio sulle rive di un fiordo dell'Islanda orientale, deciso a far
luce sulla scomparsa del fratellino Bergur, avvenuta
anch'essa, come qualla della donna su cui indaga,
durante una bufera di neve. Di notte, solo nel rudere della sua casa
abbandonata, attende che il gelo e il vento — sembra di essere nella brughiera
delle sorelle Brontë — gli riportino i fantasmi di
quel sofferto passato e proprio qui si verifica
l'accennato parallelo con la scomparsa di Mattildur,
quasi una matrioska che congiunga e contenga le due sparizioni. Abituati in Indridason a una maggior snellezza di scrittura, che in
romanzi precedenti ci ha affascinato, notiamo in queste sue pagine qualche
battuta d'arresto, un dinamismo inficiato dall'assenza in Erlendur
del suo piglio ossimorico, umanamente spietato.
Comunque, il romanzo non è privo di fascino, perché si addentra, con la
consueta penna sapiente, dentro i misteri e il dramma dell'amore. Un romanzo
dei sensi di colpa, dei tormenti inconfessabili, espresso nel consueto stile
prosciugato, venato di una scarna, quasi irsuta
poesia, in carattere con il buio di quei panorami islandesi, dove l'allegria
non sembra essere certo di casa.
Grazia Giordani
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