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  Letteratura  »  Le abitudini delle volpi, di Arnaldur Indridason, edito da Guanda e recensito da Grazia Giordani 23/05/2013
 

Rischi di perderti a immedesimarti nel commissario

IL LIBRO. «Le abitudini delle volpi» (Guanda)
Il transfert del giallista Indridason con il suo personaggio: pericoloso

 

 

Ancora una volta proposto da Guanda, il nuovo giallo di Arnaldur Indridason Le abitudini delle volpi (306 pagine, 18 euro, traduzione di Silvia Cosimini) conferna la fama dell'autore nordico. Nato nel 1961 a Reykjavik, Indridason si è dedicato sia alla scrittura di romanzi che di sceneggiature, dopo aver lavorato come giornalista e critico cinematografico per la maggiore testata islandese, il Morgunbladid. Di quello che è acclamato come miglior scrittore giallista dei Paesi nordici, già abbiamo apprezzato, sempre per i tipi di Guanda, La signora in verde, Un grande gelo, Un caso sospetto e, ultimamente, Cielo nero. Questa volta, il commissario Erlendur si decide ad affrontare il dramma che lo ossessiona da sempre, legato alla scomparsa del fratellino di otto anni. Si ha quasi la sensazione, leggendo queste angoscianti pagine, che l'autore subisca un transfert con il suo personaggio, quasi l'empatia che si è creata tra lui e i suoi lettori lo condizioni, in un gioco ambiguo tra reale e immaginato. Infatti, nel precedente romanzo, Erlendur era assente, in quanto impegnato a ritrovare le tracce della sua infanzia, quindi ora apprendiamo che stava cercando di medicare le sue ferite psicologiche, tentando di andare in fondo a rimossi misteri. L'INCHIESTA del poliziotto sulla scomparsa di Mattildur — una donna sparita misteriosamente nella neve durante gli anni della guerra, dopo aver fatto da guida a un battaglione di soldati inglesi — sarà un valido aggancio, in parallelo con la sua intima ricerca. Trascorrerà qualche tempo nel piccolo villaggio sulle rive di un fiordo dell'Islanda orientale, deciso a far luce sulla scomparsa del fratellino Bergur, avvenuta anch'essa, come qualla della donna su cui indaga, durante una bufera di neve. Di notte, solo nel rudere della sua casa abbandonata, attende che il gelo e il vento — sembra di essere nella brughiera delle sorelle Brontë — gli riportino i fantasmi di quel sofferto passato e proprio qui si verifica l'accennato parallelo con la scomparsa di Mattildur, quasi una matrioska che congiunga e contenga le due sparizioni. Abituati in Indridason a una maggior snellezza di scrittura, che in romanzi precedenti ci ha affascinato, notiamo in queste sue pagine qualche battuta d'arresto, un dinamismo inficiato dall'assenza in Erlendur del suo piglio ossimorico, umanamente spietato. Comunque, il romanzo non è privo di fascino, perché si addentra, con la consueta penna sapiente, dentro i misteri e il dramma dell'amore. Un romanzo dei sensi di colpa, dei tormenti inconfessabili, espresso nel consueto stile prosciugato, venato di una scarna, quasi irsuta poesia, in carattere con il buio di quei panorami islandesi, dove l'allegria non sembra essere certo di casa.

 


Grazia Giordani

 

 

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