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  Letteratura  »  Alle radici del brigantaggio – Parte XX, di Pietro Zerella 14/10/2014
 

Alle radici del brigantaggio

 

di Pietro Zerella

 

Parte XX

 

 

 

Monte Taburno base dei reazionari

 

Cipriano La Gala (qualche altra fonte Cipriano DELLA Gala)



      Il monte Taburno, è stato il protagonista di gran parte delle azioni dei partigiani (1860-1870). Situato  nella catena degli Appennini, è ricco di caverne e dalle quale, forse, ne deriva il nome: (Taburno- monte delle Taberne); queste cavità offrivano facili ricoveri e sicuri nascondigli ai rivoltosi (almeno dieci bande). Il Taburno è un monte famoso, ne celebrarono la bellezza, i poeti dell'antichità come Virgilio, che l'ammirò passando dalla via Appia diretto a Brindisi con Orazio, Mecenate, Varo, e altri studiosi.
       Publio Virgilio Marone, massimo poeta del mondo latino, esperto della cultura agreste, durante il viaggio per Brindisi, in compagnia di Orazio, fu colpito dalla flora e dalla fauna della Valle Caudina. Al verso 38 del II libro delle Georgiche, menziona il Taburno e lo indica adatto alla coltura degli ulivi: “ e rivestire il grande Taburno con uliveti”
      Carlo III di Borbone (1), ne aveva fatto un deposito estivo dei cavalli stalloni dell'esercito.
      Tra la fine del 1860 e l'inizio del 1861, il Taburno diventò una montagna strategica per le comunicazioni tra la Campania, le Puglie e la Basilicata. Ottima base per la guerriglia delle tante bande filo borboniche. Da questo monte, i rivoltosi partivano per impedire le comunicazioni dell'esercito piemontese tra il Tirreno e l'Adriatico.
      La fitta abetaia e il terreno accidentato e le caverne, erano preziosi alleati per l'occultamento di uomini e cavalli e per organizzare imboscate contro il nemico.
     Per farne il suo quartiere generale, scelse questa montagna, il capo massa Cipriano La Gala. Aveva ai suoi ordini una banda di ben trecento uomini (qualche altra fonte parla di cinquecento uomini) organizzati in commandos di non più di dieci persone. Questi gruppi organizzavano continue sortite contro i territori di Cancello, Nola, Caserta, Limatola, Durazzano, Arpaia, Sant'Agata dei Goti, Cervinara.
     Per il ritorno di Francesco II sul trono di Napoli, La Gala arruolava gli uomini pagandoli con il denaro del comitato centrale borbonico di Napoli. Quando finirono le sovvenzioni, La Gala fu costretto a provvedere da sé. Ricorse al sistema delle estorsione di denaro ai liberali e ai possidenti, non risparmiando i preti.(2)
      Le bande, vere e proprie strutture politico-militari avevano come scopo il combattimento. Esse erano sempre guidate da un capo, da cui venivano pagati. Il capo si distingueva tra gli altri per abilità, energia e coraggio e andava all'attacco sempre davanti agi altri.  La Gala poteva contare oltre che sulla sua banda anche su un migliaio di affiliati che si riunivano e si allontanavano secondo la necessità o fornivano ai briganti denaro e viveri.
       Di solito ogni banda si procurava le armi con colpi di mano contro i corpi della guardia nazionale o negli scontri con i Piemontesi, ma in generale erano armati di fucile da caccia tipico dei contadini. Qualche volta La Gala, a corto di armi poté contare sulla solidarietà popolare e anche sulla collaborazione di militi come fu il caso di Francesco Frecentese e Nicola Pinta, militi della Guardia Nazionale di Palma. Questi furono espulsi dalla milizia perché, in un giro di perlustrazione, si erano allontanati dai commilitoni raggiungendo gli uomini di Cipriano per poi ritornare completamente disarmati. (3) L'indomani la banda, avendo bisogno di altre armi, occupò Cervino e Durazzano requisendo i fucili dai locali posti di Guardia.
       La banda aveva molti centri direttivi provvisti di larga autonomia. I gruppi più piccoli, formati da pochi individui, avevano incarichi minori e non di rado fungevano da avamposti o da fiancheggiatori di bande più grandi quando erano preposte all'invasione di villaggi, contrade o interi paesi.
       Lo studioso Franco Molfese nella sua “storia del brigantaggio dopo l'Unità” scrive che i briganti effettuavano “scariche improvvise sul fianco delle colonne avanzanti e attacco principale da altre direzioni, in località dominanti accuratamente scelte, con vie di ritirata sempre aperte per i boschi o verso monti”.
        La banda per avere successo nei suoi attacchi e per sfuggire ai soldati, aveva bisogno del supporto di amici fidati “manutengoli”, di spie, di conniventi. Questi erano contadini, pastori, artigiani, parroci e anche guardie civili.
       Diventò famoso il raggruppamento capeggiato da Angelo Bianco, noto come Turri Turri, che, forte di cinquanta uomini, si lanciò all'assalto di Sirignano.(4)
        A Visciano, la sera del 24 giugno 1861 duecento uomini guidati di Crescenzo e Cipriano occuparono il paese, suonarono le campane a stormo e inneggiarono a Francesco II distruggendo i ritratti di Vittorio Emanuele e Garibaldi. Nello stesso giorno, la banda invase pure Pago e Migliano: la tattica era sempre la stessa: Crescenzo bloccava il paese dall'esterno, Cipriano lo invadeva assalendo la casa comunale e il posto di guardia, requisendo fucili e viveri. (5)
       La Gala, forte di un largo consenso popolare, con i suoi uomini controllava i distretti di Nola e Caserta sino all'Irpinia, al Taburno, al Sannio. Era evaso nel 1859 dal bagno penale di Castellammare di Stabbia, dove stava scontando una condanna a venti anni di lavori forzati “per furto accompagnato da pubblica violenza”. Riuscì a evadere dandosi alla macchia.
        I giudici di Santa Maria Capua Vetere lo definirono: “ una figura torva dalla corporatura solida, la fronte alta, gli occhi aguzzi, dalla mascella prepotente su cui si stagliava una barba ruvida, tutto ciò concorreva a circoscrivere una fisionomia dura, folle, ribelle. “Un assassino, uno corridore di campagna.. un malfattore volgare, un uomo dedito al sangue, alla rapina, un uomo che mangia le carni del suo antico compagno di galera.” (6)
      Cipriano dal 1860 si batte per la causa di Francesco II. M. Monnier lo definisce: “forzato evaso, capo di banditi e generale borbonico, assai più avventuroso e più importante di Chiavone…”.
        La banda La Gala, e l'autrice di delitti, a volte raccapriccianti come atti di cannibalismo, di grassazioni, di sequestri, di assalti a villaggi e masserie, treni e diligenze. Furono tantissimi i colpi di mano e i delitti, ma non tutti in nome di Francesco II. Particolarmente crudele era il fratello Giona.
        La resa dei conti arrivò alla fine di dicembre '61. La banda braccata da ogni parte, da Benevento, Caserta e Napoli; si divise in piccoli gruppi per eludere la vigilanza dell'esercito e guadagnare il confine pontificio.
      La sera del 6 gennaio 1862, i militi ebbero notizia che Cipriano si aggirava nel territorio dei Mazzoni di Capua, usando come ricovero durante la notte, una casa di Casal di Principe:(7)
       “I carabinieri di Capua ricevono l'ordine di recarsi sul posto e accerchiare la casa. Il sergente Luigi Monti e il maresciallo Giacomo Gedda lungo il percorso, intimano l'alt a vari uomini a cavallo. Non si ottempera al comando. Gli uomini si danno alla fuga, meno uno che viene riconosciuto nella persona di Angelo Menniello, manutengolo, è obbligato a dare le indicazioni necessarie per arrivare al rifugio. Nella casina, tutti dormono meno Cipriano che sveglia i suoi e insieme con Giona e Domenico Papa, si apre un varco tra i militi sparando su di loro ed uccidendo il maresciallo Gedda. Nella sua sortita, è favorito dall'oscurità e dalla pioggia battente; Non fanno a tempo a porsi in salvo Aniello Mercogliano, un ex sequestrato obbligato ad aggregarsi nella banda, in cui è rimasto sei mesi e due guardiani di bufali che hanno concesso l'ospitalità. Arrestati i tre, si procede all'inseguimento e il contadino Carlo Guerra proprietario della masseria Bonito, ammette di aver dato aiuto a tre uomini, di cui uno ferito gravemente alla mano. Nell'impossibilità di fornire bende, ha stracciato una camicia e dato un asino al ferito. Antonio Federico, Ferdinando Santoro, Francesco Gravante, Marcello Petrella e i sacerdoti Vincenzo e Giovanni Caianiello, hanno riconosciuto nel ferito Cipriano La Gala. I tre raggiungono il confine e si mettono al sicuro. Una fitta rete di omertà li protegge, finché amici potenti procurano ai La Gaia, a D'Avanzo e Papa un passaporto con tanto di visto dell'ambasciata di Francia per Marsiglia e della legazione di Spagna per Barcellona”.(8)
      I quattro fuggiaschi, con uno stratagemma, furono arrestati il 10 luglio 1863 nel porto di Genova, sul piroscafo Aunis (nave francese delle messaggerie imperiali). La nave era diretta a Marsiglia. Durante l'assenza del capitano, sceso a terra per vidimare le carte di bordo all'Ufficio di Sanità portuale, salirono sul vapore un commissario di polizia italiana, agenti e carabinieri e arrestarono i quattro, in aperta violazione della Convenzione consolare italo-francese. (9) Alla fine si trovò un compromesso diplomatico. I quattro furono, riconsegnati alla Francia con l'accordo che le autorità transalpine restituissero i detenuti agli italiani. Il 7 settembre i francesi li riconsegnarono alle autorità italiane.
      L'arresto di La Gala e compagni decretò anche quello del principe Medici di Ottajano, accusato di aver contribuito a mantenere e armare le bande del Taburno. (10)
      Dalle carte processuali si conosce la famiglia di Cipriano La Gala:
 “La madre di Cipriano Della Gala, il fratello di lui Romano e la germana Marta erano tutti indiziati come coloro che provvedevano a somministrare ogni sorta, fu l'Autorità politica della Provincia obbligata “ ad arrestarli.”La prigioni di quai tutta la propria famiglia determino Cipriano della Gala a tentare l'ardito colpo di mano per liberarla, il quale nelle sue conseguenze, e ne frutti posteriori ha dimostrato essersi egli sospinto a quell'andare diversamento non tanto per la salvezza e liberazione de' suoi, quanto per farsi il campione della causa della reazione politica, la quale negli scorridori di campagna e negli uomini volti ad ogni generazione di misfatti trova soltanto i suoi sostenitori”.
            La sentenza era scontata.
 Dal verdetto si evince l'indirizzo politico della condanna dei quattro arrestati. Alla richiesta della difesa di riconoscere agli imputati il reato politico, ricordando le varie buone azioni di Cipriano tra le quali: “il fatto di Cancello, l'assalto al treno, quando i briganti salvarono il denaro privato e presero solo quello pubblico con grida inneggianti a re Francesco”, il Presidente non ne volle sapere, rigettò ogni richiesta.
      Il giudice aveva già sentenziato che la banda La Gala era fatta di “volgari malfattori”.
      Le testimonianze orali, erano spesso confuse. Rilasciate dai comparenti, tra la verità e la menzogna, tra la precisione e l'inesattezza, tra l' “è così” e il “mi pare”. (11)

                             

L'interrogatorio del 24 febbraio 1864 di Della Gala

      Nel processo del 24 febbraio 1864, Giona, D'Avanzo e Papa rigettarono ogni accusa d'aver fatto parte della banda. Solo Cipriano affermò: “ho corso la campagna onoratamente, non ho fatto estorsioni, ho ricevuto denari da diverse persone dabbene e con questo ho soddisfatto ai bisogni della banda”, poi, incalzato dal Presidente di Corte sul perché avesse scorso la campagna disse “per difendere il mio soprano”.
     I quattro furono accusati di “estorsione di lire 204, pasta, sale e tabacco commessa a mano armata e del sequestro di Vincenzo d'Avanzo avvenuti il 23 maggio 1861, di grassazione di 314 lire e 50 centesimi ai danni del ricevitore della ferrovia di Cancello nella sera del 23 giugno 1861, di omicidio di Gennaro Ferrara commesso a Cancello il 27 luglio del 1861 e dei carabinieri Bartolo Cuminelli e Pietro Brocchieri uccisi la stessa sera a Cimitile, ed ancora dell'omicidio a Palma del bersagliere Federico Pellegrino il 31 agosto 1861 e nello stesso mese del saccheggio delle case di Giovanni e Michele Mascolo di Sasso, di grassazione di lire 12,750 il 2 settembre a Paolisi in danno di Giacomo e Pasquale Viscusi, di assassino di Francesco de Cesare avvenuto sul Taburno il 4 settembre, nonché di numerosi altri crimini”.
      Cipriano respinse ogni addebito dichiarando: “non sono andato facendo queste lazzaronate”.
       La Gala fece rilevare: “si sta indagando su anni di guerra civile in cui per mantenere una colonna armata di cinquecento uomini eraè indispensabile ricorrere a ricatti, sequestri e furti. Eppure c'è chi concesse denari di propria iniziativa e si vide scrivere il suo nome in un registro da Giovanni D'Avanzo: al ritorno di Francesco II chi aveva finanziato i combattenti sarebbero stati ripagati”. (12

                      

 

 

Assalto alle carceri di Cicciano e di Caserta

      Il 13 novembre del 1860 La Gala assalì il carcere di Cicciano liberando Ferrara Alessio di Taurano, Del Mastro Francesco, Guerriero Giuseppe di Baiano e Colucci Domenico di Domicella (13)
    Nel mese di giugno del 1861 in tarda serata Cipriano (qualche altra fonte parla di Antonio Caruso di Avella) con diciassette uomini della sua banda travestiti da Guardia Nazionale, si presentarono alle porte del carcere di Caserta accompagnati da diversi mastini napoletani dicendo che dovevano consegnare due briganti. Nessuno ebbe dubbi del tranello, furono loro consegnate le chiavi. In pochi attimi furono liberati 56 detenuti di cui 34 aderirono la stessa notte alla banda, erano Giona (fratello di Cipriano La Gala), Domenico Gentile, Domenico Sparano, Alessandro Greco, Antonio Fiorilli, Giovanni Iandola, Filippo Luri, Giovanni D'Avanzo, Giuseppe Barone, Nicola Maturo, Giuseppe Basilicata, Raffaele Chiavitto, Giuseppe Tartaglia, Nicasio Penna, Francesco De Nardo, Stanislao Picasio, Giovanni Perone, Angelantonio Rinaldi, Angelomaso Marino, Pellegrino Petrillo, Vincenzo Lo Duca, Salvatore Villani, Raffaele Santoro, Francesco Novelli, Giuseppe La Manna, Vito Stolfa, Francesco e Andrea Cerrito, Giovanni De Cesare, Luigi Spera, Francesco e Vincenzo Casilla, Saverio Caccavale e Alessandro Rossi. (14)
      Dai tanti episodi si rileva che se per le autorità politiche e giudiziarie del Regno d'Italia Cipriano La Gala era un bandito, un assassino, un “camorrista”, per il popolo invece Cipriano era considerato un liberatore.
      Nel processo la difesa sostenne che “Cipriano è da considerarsi un partigiano del Borbone e basta. Quanto poi alle buone azioni in difesa degli umili, basta far riferimento ai numerosi contadini che spontaneamente hanno voluto fare testimonianza, onde rendere di pubblico dominio le restituzioni di denaro e suppellettili, nonchè il rilascio di molte persone”. (15) Cipriano non negò gli addebiti, ma dichiarò di avere agito per motivi politici e che gli si attribuivano colpe non sue ma di altri capibanda che agivano nella zona.
      A sua discolpa, chiese al giudice di mettere a verbale i nomi dei capibanda che scorazzavano sul Taburno nel 1861, attribuendo a costoro, che agirono durante la sua latitanza, tutte le azioni delittuose. Anzi “sempre che mi occorse incontrarmi non mancai di dolermi con loro delle tante grida che dappertutto si levavano per gli atti obbrobriosi ai quali si lasciavano andare, e di esortarli a impedire ogni eccesso”. (16).

 Nomi dei Capibanda e degli altri briganti che trafficavano sui Monti di Cervinara: 1) Domenico Bello di Cervinara. - 2) Pasquale Martone, id. - 3) Antonio Caruso di Avella. - 4) Domenico il Calabrese. - 5) Antonio Zappatore. - 6) Antonio Pungolo.     Capibanda che esistevano tra' monti e contorni di Cancello. 1) Giuseppe Tiniero di Arienzo - 2) Antonio Pipolo, Napoli o Marigliano - 3) Lisco Fabiano di Marigliano - 4) Donato PizzaCicciano - 5) Felice di Marigliano - 6) Angelo Pascarella alias Angiolillo di Messercola - 7) Luigi Esposito di Marigliano - 8) Francesco Liberato di Camposano. Capibanda che stavano pe' monti di Taburno. 1) I fratelli Giovanni e Tommaso Romano di Limatola - 2) Il nipote del Generale Bosco a nome Giuseppe - 3) Luciano Martino di Casalduni - 4) Padresanto di Guardia Sanframondi - 5) Cosimo di Cerreto - 6) Giuseppe Gallo di Casalduni - 7) Vincenzo alias Pelorosso di Cerreto - 8) Un Maggiore borbonico che portava 180 persone -.9) Il nipote del generale Vial, il tenente ed altri che venivano da Benevento - 10) Michele Caruso di Benevento (16). Capibanda de' dintorni di Nola. 1) Crescenzo Gravina di Palma - 2) Angelo Bianco di Bajano - 3) altro a nome La Vecchia di Monteforte - 4) Pasquale D'Avanzo di Avella - 5) Antonio Del Mastro di Avella - 6) Ginseppe Santaniello della parte di Palma - 7) Benedetto D'Avanzo di Avella o Mugnano.

 Nelle udienze successive i testimoni si mostrano reticenti, non riconobbero gli imputati, caddero in contraddizioni e il Pubblico Ministero si lamentò di così spiccata perdita di memoria. Alcuni arrivarono ad affermare, con suo sommo dispetto, che era proprio così; “avevano subito tali violente emozioni, da esserne restati davvero scimuniti”.

 I cronisti riferirono che la paura chiuse la bocca di tutti “e non c'e verso di provare l'effettiva presenza degli imputati ai fatti”.
(17)

       Il generale piemontese Giuseppe Govone che interrogato alla Camera nel dì 13 luglio del 1863 sul perché le popolazioni meridionali sostenessero i briganti, ebbe a dire: “I cafoni veggono nel brigante il vindice dei torti, che la società loro infligge”. Per i contadini Cipriano Della Gala non era un delinquente, un uomo pericoloso, no, era addirittura un uomo che dava la libertà”.(18)

      

I generali Pinelli e Franzini

Dal 30 giugno 1861, le forze italiane che in Terra del Lavoro combattevano la resistenza, erano formate: “La Guardia Nazionale Mobile, cinque battaglioni di bersaglieri, due reggimenti di fanteria, artiglieria da montagna, due compagnie di granatieri e quattro squadroni di cavalleggeri”, comandate dal generale Ferdinando Pinelli.
      Queste forze dovevano sgominare le bande “di Cipriano la Gala forte di circa 150 briganti, fra i quali volontari francesi e bavaresi; quella di Antonio Caruso di circa cinquanta; una terza di Antonio del Mastro di circa quaranta; una quarta di Angelo Bianco di circa trentasei; una quinta di Crescenzo Gravina, di cui ignorasi il numero dei componenti”.
          In tutto i reazionari erano circa trecento contro un numero assai maggiore dell'esercito governativo che non riuscì ad avere ragione di questi partigiani anche perché questi avevano l'appoggio popolare, ciò che mancava ai piemontesi.
               Dai resoconti del tempo degli scontri tra le truppe del generale Pinelli e le bande dei reazionari, dai giornali dell'epoca non sempre veritieri, si apprende:
        “Il primo settembre del 1861, le truppe eseguirono i chiari comandi del generale Pinelli: occuparono le pendici di Montevergine, Monteforte ed ancora Mercogliano e Summonte. Imponenti colonne di uomini presidiavano montagne e centri abitativi di Roccarainola, Mugnano e Baiano. Al comando di Pinelli c'erano 4.000 uomini, due compagnie di granatieri e 2 pezzi di artiglieria piazzato sul castello di Avella, una numerosa colonna di bersaglieri che  occupava l'intera piana di Lauro. Così disposte le truppe attesero l'intera notte di sabato ed all'alba di domenica scagliarono tre violenti attacchi. Il primo a Sarmola si ingaggiò con la banda di Antonio del Mastro; i briganti furono accerchiati al sopraggiungere dei bersaglieri da Lauro. Il secondo attacco fu mosso tra Falconara e Fornino contro la banda di Angelo Bianco. Il terzo, infine, avvenne a Fellino direttamente con Cipriano La Gala”.
     Il comunicato di Pinelli riferiva che le bande di del Mastro e Bianco erano state distrutte, ma pochi giorni dopo apparvero più attive e più numerose di prima.
     Poiché il generale Pinelli non aveva ottenuto i risultati sperati, fu sostituito dal generale Teobaldo Franzini il quale adottò provvedimenti draconiani.
     Impose ai sindaci dei distretti di Nola, Avellino e Melfi, di impedire a ogni cittadino di allontanarsi dal centro urbano per raggiungere campagne e monti perché aveva notato che “dalla gente che lavora in campagna all'appressarsi della forza sempre si alzino voci, gridi ed anche si tirino colpi di fucile nel colpevole fine di darne avviso alle bande de'briganti”.
       Ordinava la fucilazione immediata di chi assumeva simili comportamenti. Inoltre soggiungeva “ che la raccolta delle castagne nel mese di novembre fosse conclusa in tre giorni, che fossero distrutti i pagliai e murate le case rurali per impedire ai briganti di rifugiarvisi”. (19)
      In seguito  a tali ordini, furono arrestati i parenti dei briganti come il padre di Antonio Caruso, la madre e la sorella di Cipriano e i suoi fratelli Romano e Felice “e l'altro stretto congiunto Felice Barone e il figlio che sta nel luogo detto Madonna delle Grazie”. (20)
    Ai primi di marzo del 1864 la Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere emise la sentenza della pena di morte per i due fratelli La Gala, i lavori forzati per Papa e venti anni per D'Avanzo. Dopo pochi giorni, però, un decreto reale commutò le condanne a morte in carcere a vita.
     Secondo gli accordi con la Francia, l'estradizione era stata concessa solo dopo che il governo torinese si era impegnato a non applicare la pena capitale ai detenuti.
     Cipriano fu rinchiuso nel Reclusorio della Foce a Genova e Giona in quello di Portoferraio ove rimasero fino alla fine.
      Mentre di Angelo Sarno, non si seppe più nulla: fu liberato o forse morto.
     Il generale Franzini in una sua relazione del 1863, indicò che nella sola zona dell'avellinese vi erano stati 111 scontri tra i militari e i briganti. (23)

 Note

a-(da Processi Celebri – Reggio Emilia –Tipografia della Gazzetta 1864)
b-(da (di Luisa Sangiuolo da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975
C-(da Storiografia- “I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)

1-Re di Napoli dal 1734 al 1759.
2-E' in provincia di Avellino
3-ASC, Alta Polizia f. 5879)
4-(Gabinetto Prefettura, B. 279 f. 3139)
5- I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)
6-(G.C. Gallotti, pp. 176)
7- E' in provincia di Caserta.
8.  Luisa Sangiuolo da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975
9- ibidem
10- C. Cimmino, pag.59). (da Storiografia- “I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)
11-ibidem
 12-ibidem
13-(ASC, Alta Polizia, f. 3863).
14-(Sentenza Sezione di Accusa della Corte di Appello di Napoli del 4 luglio 1863).
15-(Processi Celebri – Reggio Emilia –Tipografia della Gazzetta 1864)
16-. Cipriano La Gaia da Noia (Napoli) non sa leggere scrivere.
17- Michele Caruso non è nato a Benevento, bensì a Torremaggiore provincia di Foggia - Ha invero operato nel beneventano.
18- Luisa Sangiuolo da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino, Benevento, 1975
19-(da Storiografia- “I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)
20-
(ASC, Gabinetto Prefettura, b. 1 f. 29)
21-(ASC, Alta Polizia, f. 6617)
22-(A cura di Angelo D'Ambra) Pubblicato da red. prov. “Alto Casertano-Matesino & d”

23- F. Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l'Unità o.c.

 

 

 

 

Andrea De Masi

 

Il 22 maggio 1861, la banda di Andrea De Masi detto Miseria, in nome di Francesco II assalì il posto di guardia di Bucciano impossessandosi di armi e munizioni, abbattendo lo stemma Sabaudo e sostituendo il tricolore con la bandiera bianca gigliata dei Borbone dopo di che, si diedero alle razzie in danno dei liberali tra i quali il sindaco Michele De Blasio che ebbe incendiata la casa e decimato il gregge ammontante a circa mille pecore.

Pochi mesi dopo, il 4 ottobre,  la banda tentò di assaltare di nuovo il posto di guardia di Bucciano, ma questa volta furono respinti e il De Masi, dopo essere stato ferito, si rifugiò sul monte Taburno. Agli inizi del 1863 fu catturato e processato a Benevento con l'accusa di aver partecipato alla requisizione di Laiano e ai fatti di Pontelandolfo. Il 14 luglio dello stesso anno evase dal carcere di Benevento e si rifugiò sul Taburno. Cercò di riorganizzare la sua banda, ormai ridotta a sedici elementi, dandosi a depredare e sequestrare i i ricchi della zona di Bucciano. Bonea, Moiano e Montesarchio.

Braccato dalla  guardia nazionale, dal Taburno, con l'aiuto del brigante Taddeo di Cervinara, si spostò sui monti del Partenio. Purtroppo la convivenza dei due briganti  non durò molto, per la rivalità  sorta tra i due, il De Masi ritornò sul Taburno dove si alleò col brigante Giovanni Mauro di Montesarchio. Ma neanche questa alleanza durò molto fino a quanto si accorse che Mauro cercava di ucciderlo per conto di Taddeo. De Masi non sentendosi più al sicuro sul Taburno decise di cambiare aria e di andarsene a Roma ospite del capo brigante Cosimo Giordano.

La banda fu sgominata e tutti i membri processati a Caserta. Fra gli arrestati c'era anche una donna, Lucia Quarantiello accusata di connivenza.
Nota

 (Internet-Storia  brigantaggio uccianese-Bucciano)

 

 

 

 
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