Scatola
nera
di
Chiara Mutti
Fusibilia
edizioni
ISBN
978-88-98649-30-3
Euro
13,00
La
poesia –ma forse non voleva-/mi è colata come lava sul
cappello/ma non sono che rivoli d’acqua/agitato corso del mio
sonno..
(3
gennaio 2012)
Ma
cos’è la poesia: è fantasia, armonia di
ritmi? Soffio di voci, schegge di vita reale, immagini, metafore?
Echi di nostalgia, geometrie di ricordi? intrighi di pensieri che si
dipanano in parole chiare o meno chiare, se non addirittura nel non
detto?
Forse
tutto questo, insieme.
Inoltre
vi è una poesia che nasce dal sentimento e si esteriorizza in
pensiero/immagini/parole. Vi è una poesia che nasce
esclusivamente dal pensiero e non sempre offre una fioritura di
sentimenti, ma una somma di meditazioni sulla realtà visibile
e sul trascendente.
A
noi scavare e portare alla luce i possibili sentimenti.
È
possibile, dunque, notare, dall’analisi delle tematiche e delle
strutture formali della silloge poetica di Chiara Mutti, questo
duplice impegno, questo doppio approdo, a cui la Poetessa giunge al
termine di un percorso lungo di meditazione e studio, di confessione
e riflessione, iniziato quando ancora era tutto confuso alla
coscienza
venivano
così i pensieri/come le croste secche alle ginocchia/ un po’
prurito, un po’ dolore/ che se le togli troppo presto/ la
ferita comincia a sanguinare/.
E
ancora..(e sembra di sentire il Gregor kafkiano delle Metamorfosi)..
tutte
le cose/ si affacciavano malferme/come le ombre che zampettano sui
muri.
(in
Venivano così i pensieri).
“Complessi
teoremi di coscienza”
che
fin dalla primissima giovinezza intravedono il dramma del tempo che
fugge, mentre l’opera pietosa della memoria annoda voci che si
affastellano come conquiste da dimenticare nella direzione verso
porti nuovi, verso bianche spiagge spettrali in cui desiderio e
coscienza sono rette parallele destinate a non incontrarsi mai.
(L’anima)
Tali
suggestioni troviamo in La notte,
in cui l’anima trova se stessa, e quella compiuta
consapevolezza di sé che le fa sembrare eterno l’attimo
che fulmineamente trafiggendoci “ci nasce”, in maniera
contrapposta rispetto al raggio di sole di Quasimodo. Notare
l’incipit della poesia (si sta
così la notte..sospesi nel riverbero sottile) e
il richiamo a Soldati di Ungaretti : “Si sta come d’autunno
sugli alberi le foglie”, nonché a un’antica
tradizione letteraria che da Omero, attraverso l’Eneide
virgiliana (VI libro) arriva fino a Dante (III canto dell’Inferno).
D’altro
canto è ravvisabile, nel silenzio notturno, la solitudine
(echi saffici) sottolineata da una luna non più complice
Brilla
la luna impietosa/nuda/si offre in tutto il suo chiarore/attraversata
appena dalle ombre
mentre
maliziosa
scopre
ella impudica/ quel che nascosto dovrebbe restare/ nel buio della
notte/E non mi dona il sonno/
(Luce
lunare)
Ancor
di più nella poesia “Non mi lascio toccare”p.25
con parole incisive ed essenziali sottolinea il distacco rispetto a
chi pone il suo metro di giudizio non nella virtù
nell’apparenza, che si esaurisce nei confini dell’hic et
nunc, annaspando in quell’effimero vuoto di un presente senza
radici e senza prospettive di futuro. (lettura integrale).
Tale
scelta si rivela pur sempre un tentativo di dare significato alla
vita, ad un viaggio la cui meta è sconosciuta
Umano,
troppo umano/del cuore/ questo voler andare/ dove?
Lo
stesso viaggio, che è poi la vita, non è peraltro
esente da dolore...
Questo
cieco infilarsi/dentro il gozzo/di speranza/dove sgorga di miele e
fiele/ la goccia che è la vita....e arranca nel silenzio della
luce/ il senso del domani/ del giorno dopo ancora e poi/ del sempre
(Umano)
Ma
c’è sempre “un oltre che ci avanza”
un
oltre irraggiungibile e tuttavia di eterno ritorno...un fiore, un
bambino, una preghiera e tutto ricomincia.
Lo
leggiamo anche nella poesia metafora Treno notturno...il tempo
che passa, la vita che ci trascina via
un
movimento pigro e ingordo/ che c’inganna e ci frantuma/ e
raglia e finge di sparire/: è l’eterno ciclo del
ritorno/.
...la
stazione all’alba/cielo rosa/che trafigge il cuore.
Sicché
nessuna certezza è possibile e già il nascere è
segno del morire
questo
peso di specchio nella culla/è il riflesso/che ci fa già
morti . (Passi)
..il
morire, che è già nell’alternanza gioia-dolore,
già nel “giro di chiglia” per venti tempestosi che
disorientano lo sguardo e annullano l’orizzonte. Unica certezza
il nulla e tuttavia, agognato, il “gelido” sguardo
finale”, quello della luce dell’ultima ora.
Tutta
la vita dunque si risolve in un’attesa, di cose e di segni, di
sentimenti e di rinascita, dopo i rigori dell’inverno, ma
neppure il tempo di avvedersene ed è già sera (Melodia
dell’Inverno).
Vivo
esalando l’attesa....senza sapere quando/ e perché/ancora
adesso, e troppo presto, è sera.
Ma
soprattutto la vita è un perenne gioco di equilibrio su una
corda troppo sottile, stonata, malferma a volte perfino inesistente o
ben serrata nel subconscio che non vale a chiarire i perché.
Non
posso parlare alle cose/ che non conosco (L’equilibrio)
Se
credessi.....
Potrei
forse frugare negli angoli/di questa scatola nera/trovare le note/di
qualche vecchio motivo
L’unica
salvezza è non precipitare nell’abisso e assistere quasi
in una perpetua “aspettazione” ai passi del tempo e alla
natura che muore e prepotentemente rifiorisce di vita, mentre già
si preannuncia una nuova fine.
Ciò
ch’era ancora virgulto/solo ieri solo ieri/era appena nato/oggi
esplode nel sole....mentre inizia nel fiore sbocciato/ la secchezza
del seme. (Temporale)
Può
darsi che si tratti di incapacità di fronteggiare il dolore,
il “nostro pane quotidiano”,
un
figlio infausto/che non manchiamo un giorno/di allattare
che
si sublima illusoriamente nella suprema vanità di esistere, in
realtà si risolve nell’inutilità di essere
granello di sabbia sulla soglia dell’infinito, varcata la quale
non è concesso il ritorno.
Bagliori
del conclusivo lume/esalano di noi, noi/ terra rivoltata a
vanga/umido trapasso di radici
E
ancora
In
fretta –troppo in fretta-/maledetto sole/per restare/al
sopraggiungere del nulla. (Fuochi fatui)
.e
noi sulla soglia/ignorati,sostiamo/in procinto perpetuo di entrare
(La
somma)
Il
tempo fugge, a nessuno è dato di tornare
Di
qui passarono/uomini e uomini/e dei/forse agli dei/-a volte-/è
concesso tornare
Metafora
del senso dolente dell’ineluttabile scorrere della vita nel
ragno che tesse nuove tele e continuamente le disfa.
Qui
tra mondo e mondo/i ragni tessono/e disfano/le proprie tele.
(Uomini
e dei)
Secondo
i canoni della classica virtù ma senza lo stesso entusiasmo, a
parer mio, la Poetessa nella poesia Il sogno tenta una
consolazione, cioè l’esser “contenti sui”,
non aver desideri, sapersi accontentare.
Ricordiamo
il pensiero ciceroniano: contentum suis rebus esse maximae sunt
certissimaeque divitiae
Se
sapessimo esimerci/dal desiderio/e bastare a noi stessi/come la notte
all’alba/quale male mai/ potrebbe farci soffrire?
Ma
la vita, quella oltre l’esser desti o dormire, quella dov’è,
la si può raccontare?
Ma
ancora cosa/di quanto amore/potrei scrivere qui, che non sia/ l’esser
desti o dormire
(Il
sogno)
Infine
la poetessa operando uno scavo interiore, ne fa scaturire una
confessione spesso dolente, ma sempre controllata, una confessione
che traspare anche dalle riflessioni, dalla configurazione della
realtà raffigurata come aderenza o distanza o eco di uno stato
d’animo.
Ritorna
infine frequentemente nelle poesie, diversamente dichiarato, il
motivo della incomunicabilità, della solitudine in cui ognuno
è destinato a vivere, tranne per brevi attimi di amore che si
dileguano come neve al sole anche se di attimi sono costellate tante
storie.
Alchimia
di molecole sospese (lettura integrale) pg.29
Ella
allora ritrova il suo senso perduto nel fiorire delle immagini e
delle ombre più care e fissa per sempre sulla pagina i segni e
i simboli di una verità soggettiva, di una realtà
femminile scoperta , fragile, delusa.
Per
quale strada volevamo avviarci/ non lo sapremo mai..tu sfogliavi
carta/ Ora so/ Tu riflettevi i pensieri/nel rumore dei fogli.
(Bazar)
La
memoria che offre la capacità prodigiosa di rivivere gli
attimi dà alla Poetessa la coscienza della nostra vita, fatta
di sogni e di trepido struggimento, ma anche di speranze e
disillusioni, derivanti dal senso stesso del nostro fluire nel tempo
“ che confonde l’oggi con ieri” e toglie al domani
al gioia dell’attesa.
Era
forse la tua voce/ quel lontano lamento?..Tu non hai che parole
d’ossa/..non sai quale mistero ti ha visto/..Solo un velo di
terra/ è rimasto
(Il
lume)
È
Un assalto di mondi che furono/ e che ora non sono, un istante
futuro/ per arcano motivo già visto./ Ah quel respiro che
offusca/ lo specchio/ e che cosa faremmo noi/, cosa non daremmo/ per
lasciare le nostre impronte/ lì proprio lì... per
sempre
(Mondi)
Una
realtà esistenziale, colta nelle immagini-simbolo delle varie
liriche,si sviluppa dunque, di verso in verso, come in una storia, in
una conclusa vicenda, ove la speranza e il dolore sono configurazioni
di un moto perenne del quale l’essere umano, se afferra il
suono, ignora angosciosamente il significato.
La
caratteristica precipua di Chiara Mutti è nello snodarsi del
poiein, caratterizzato dal frequente utilizzo di verbi che disegnano
la struttura tematica-fonica, lo stile, la personalità
dell’autrice, ma altresì ne dichiarano la partecipazione
alle problematiche esistenziali e sociali attraverso diagnosi senza
terapia, denuncia senza soluzioni, preziosa registrazione di
consapevoli ironie su ciò che siamo, unitamente a ciò
che avremmo voluto essere e non siamo.
Tuttavia
è suggestivo il tono pacato con cui canta la luce e l’ombra
della vita, innalzando il suo mondo individualizzato ad una visione
di valore universale.
Forse
influenzata dalle scelte stilistiche dei nostri maggiori
dell’ermetismo, Chiara Mutti dimostra un musicale impiego della
metafora, la sinteticità analogica, e l’accostamento
rapido delle immagini.
Appaiono
ricorrenti vocaboli-tema caratteristici di una diretta corrispondenza
tra la realtà interiore e le cose che assumono valori di
simboli di un mondo intimo, mentre valgono a tradurre in ritmo alcuni
miti propri del romanticismo..
Se
nella prima parte rilevante è la resa del sentimento che
risulta però talvolta velato dall’evasività e dal
simbolismo e quasi si offre ad ambivalenze, raggiunge l’acme
nella parte centrale (le due poesie lunghe) dopo di che abbiamo le
poesie più brevi, in cui ogni parola è densa come un
grumo di anima e non si presta a interpretazioni arbitrarie, ma
esprime una componente della sua realtà spirituale. Allora il
sentimento è l’invisibile soffio che fa vibrare di
umanità le sillabe e crea un dettato ritmico aderente al moto
lirico, una tonalità dolente e insieme, distaccata, che rende
la confessione appena sussurrata.
E
l’incertezza esistenziale si affaccia all’anima col
respiro delle onde (Le onde) ma manca il superamento di una
concezione, il desiderio o bisogno di attingere l’eterno di una
realtà transitoria che è al fondo di tutte le
coscienze, manca lo slancio passionale dell’amore che forse è
evidente solo in qualche lirica, se si accetta il simbolismo(D’amore
e spade) (L’alba).
Tuttavia
l’impressione che abbiamo ricavato dalla lettura di Scatola
nera è quella di composizioni di perfetto equilibrio
strutturale, di personale ritmo musicale, vibrante di delicata e
dolente interiorità.
Chiara
Mutti (Roma
1964) è poeta e fotografa.
Sue poesie sono presenti in
numerose antologie, fra cui Fili di parole (Perrone, Roma, 2009), e
nelle agende annuali “Le Pagine del poeta”, (Pablo Neruda
e Mario Luzi, Pagine, Roma 2009-2010) curate da Alida Sessa per le
Edizioni Pagine.
Ha
pubblicato la sua prima raccolta di poesie “La fanciulla muta”
ed. Lepisma, nel giugno del 2012 per cui ha ricevuto il Premio della
giuria al “Roberto Farina” 2014 .
Per poesia
singola, ha vinto il premio della critica al Concorso Internazionale
di Poesia “Il saggio città di Eboli”, 2009 –
il 1° premio al concorso nazionale di poesia e narrazione
dedicato a Pier Paolo Pasolini, “Autori di vita”, 2010 –
il premio di poesia “Giorgio Belli”, edizione 2011 –
il premio della Giuria al “Don Luigi di Liegro” 2012.
Come
fotografa ha esposto alla “Galleria il Marzocco” di Roma,
al “Lavatoio Contumaciale” di Tomaso Binga, Roma e al
FotoFilmFest di Bracciano.
Adriana
Pedicini
|