Daisy
Miller – Henry James - BUR – Pagg. 125 –
ISBN 9788817023221
- Euro 8,00
Il
racconto, suddiviso in quattro capitoli, estremamente conosciuto
all’epoca della sua pubblicazione presso Harper a soli 25
centesimi la copia, con tiratura settimanale di ventimila copie,
divenne una sorta di novella molto popolare, nota negli ambienti
degli americani trapiantati in Europa, anche perché originata
da un caso realmente accaduto.
Si
descrive in sostanza il comportamento di una ragazza, il suo nome
concorse poi a definire, per un certo periodo, addirittura il cliché
della civetta, della scostumata perfino. È Daisy Miller. Da
lì parte Henry James con l’intento di giocare nuovamente
al tema suo prediletto: l’ambiguità. Tutta la novella è
tesa a rappresentare il comportamento di Daisy secondo il filtro del
perbenismo e della morale condivisa, lei attraversa il palcoscenico,
recita la sua parte e non sente i fischi raggiungerla da una platea
condizionata dal ben pensare. Il coprotagonista, l’americano
Winterbourne, grazioso connazionale allevato nella calvinista
Ginevra, le fa da spalla. È un uomo ammaliato, affascinato,
rapito dalla bellezza di Daisy ma gira come una trottola in balia
del suo sentire, del veto della zia che non ama i nuovi e sguaiati
ricchi americani, un’onta trapiantata nel caro Vecchio
Continente, a sporcare quasi l’immagine del vero ricco. È
vittima inoltre, lo sciocco, anche degli ambienti romani dove si
sposta successivamente l’azione e infine anche dei suoi
pregiudizi.
Il
sipario cala sulla protagonista che tiene scena fino all’ultimo,
mentre Wintheborne appare a fine spettacolo in un fuori scena
imbarazzante a chiedersi che ne è stato della
rappresentazione, se è finita davvero e che fine ha avuto.
Oltre
l’incantevole ambientazione svizzera della prima parte, il lago
di Ginevra e il castello di Chillon, il resto mi ha annoiata senza
conturbarmi più di tanto, la lettura scorre veloce ma non si
imprime.
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