Tra
un facile e un fragile abbraccio
di
Salvo Zappulla
Avevo
letto il primo romanzo di Francesco Marchese e devo dire che
ne ero rimasto favorevolmente impressionato. L’autore ha la
capacità di scavare a fondo nell’animo dei suoi
personaggi e tirarne fuori tutto il male esistenziale che si portano
dentro, un lavoro certosino di scalpello con la sagacia e la bravura
dello scultore. Questo secondo romanzo “Tra un facile e un
fragile abbraccio” edito da “Algra” editore (un
serio e onesto editore siciliano) segna una crescita di rilievo nella
sua scrittura, molto più ricercata, molto più aulica
(che non è manierismo), molto più professionale. Anche
qui il protagonista è un ispettore di polizia, impegnato in
un’indagine piuttosto delicata: il ritrovamento di una bambina
rapita. Francesco ci narra una storia di ordinario degrado, scaturita
dalla sua esperienza di lavoro, e ha saputo farne risaltare i
contorni più crudi e grotteschi. La Sicilia con le sue
contraddizioni e le sue infinite risorse, in un romanzo che è
insieme cronaca e storia, vita degli umili, scavo psicologico e
denuncia sociale; che traccia le linee di una condizione profonda,
antropologica, del popolo siciliano. In una Catania controversa dove
legalità e illegalità fanno fatica a essere distinte.
Si può essere contemporaneamente devoti a Sant’Agata e
al boss della città. Si può trainare la statua della
santa, riverirla e subito dopo salire sulla moto per andare a fare
uno scippo.
Questo
di Francesco Marchese è un romanzo che prende spunti dalla
cronaca quotidiana, luoghi e avvenimenti hanno trapassato la storia e
il costume della terra siciliana. La disputa interna per la
supremazia attorno al microcosmo provinciale lo rende partecipe di un
clima che è proprio di tutto il romanzo, del suo stile limpido
e nitido. Il rapimento della bambina, le indagini per trovarla, ci
regalano momenti di tenerezza, con una prosa lirica che suscita
profonda emozione nel lettore. Francesco ha realizzato un grande
affresco, ci fa sentire i profumi di una Catania popolare che
arrostisce all’aperto carciofi e carne di cavallo; folklore,
maschere beffarde, grottesche e patetiche. Quanto emerge dalle
intercettazioni è qualcosa di orripilante: un’umanità
sotterranea, gretta, marcia, se non depravata. Individui messi a nudo
nella loro intimità peggiore. Degrado e miseria,
sottomissione, paura e lotta per la supremazia. Un romanzo che è
anche vibrante scossa al silenzio, squarcio al velo macabro
dell’omertà. E si leva alto il grido di dolore e la
sofferenza del protagonista, un uomo che, nonostante tutto, crede
ancora nella sua missione di servitore dello Stato, disposto a
caricarsi sulle spalle, per cercare di porne rimedio, il pesante
fardello di una società guasta, persa nella sua folle rincorsa
verso i piaceri spiccioli. E in ogni pagina si nota una certa
malinconia, un malessere difficilmente superabile. La scrittura come
senso etico, che non occhieggia al mercato, non scende a compromessi,
di un autore che ha il coraggio di scrivere ciò in cui crede.
E poi c’è il capitolo dedicato a Francesca (Franceschina
come la chiamavo io) la titolare della libreria Voltapagina di
Catania, stroncata da un tumore a quaranta anni, a rendermelo
prezioso. Franceschina sempre elegante e curata, con il sorriso sulle
labbra; un sorriso che negli ultimi tempi era diventato una smorfia
di dolore, per il male che la divorava e per gli affari che andavano
sempre peggio. Speriamo che il buon Dio le abbia offerto di riaprire
la libreria in un posto migliore.
Caro
Francesco, un romanzo il tuo dove la realtà più cruda
supera la fantasia. Quando e come inizi a mettere su una storia?
Si
parte sempre da un’idea, una lampadina che collego ad un filo e
un interruttore. Poi concretizzo questa idea sguainando i fili che
congiungono i connettori, che sono i collegamenti dei miei
personaggi. Questo inizio mi piace scriverlo con la penna su un
foglio a righe, scarabocchiando qua e là, questa è la
mia prima antitesi della costruzione di una storia. La
materializzazione avviene quando arriva “l’energia”
chiamala pure ispirazione, lo capisco dal mio stato d’animo: mi
batte forte il cuore e il mio cervello comincia freneticamente ad
elaborare, mi smaterializzo e mi teletrasporto in un universo non
lontano dal nostro, la mia storia.
Tu
sei un Ispettore del Lavoro, Responsabile della Sezione di Polizia
Giudiziaria – N.I.L- presso la Procura Distrettuale di Catania,
conosci bene il nostro territorio, il suo microcosmo sommerso. Cosa
occorre fare, secondo te, per rendere la nostra società più
vivibile?
Ho
due risposte per questa domanda, visto che hai citato la mia
professione, ti posso dire che conosco per esperienza ciò che
attanaglia la nostra economia, sicuramente la lotta al “malaffare”
è il primo impegno che ognuno di noi deve attuare per rendere
questa società migliore. L’altra risposta è
quella emozionale, in analogia alla prima, l’assidua ricerca
del cuore. Potrei dare anche un’altra risposta, quella di un
Karateka che difende la vita colpendo nei punti vitali, ma il
risultato non cambierebbe.
Torniamo
al tuo romanzo. Parlaci di Algra Editore, ovvero dell’editore
Alfio Grasso. Sei soddisfatto? Sta facendo un buon lancio al tuo
libro?
Ho
conosciuto Alfio Grasso per il tramite di una amica docente
universitaria che ha pubblicato diversi studi. La prima impressione,
quando l’ho incontrato, è stata estremamente positiva,
di una persona nella quale riporre fiducia. L’attesa del
“giudizio” al mio dattiloscritto non è stata lunga
(un paio di mesi) ed è avvenuto in modo del tutto naturale e
autentico: mentre attraversavo la strada, Alfio dall’auto mi
chiamava e mi diceva: “Francesco, l’ho letto, è
bellissimo, lo dobbiamo pubblicare”. L’entusiasmo di
questo uomo, scrittore, poeta e editore, con una ventennale
esperienza editoriale, mi ha convinto definitivamente che ero davanti
a una persona genuina. L’impegno che sta investendo come
editore è anch’esso notevole, con la sua costante
presenza alle presentazioni, anche a Roma dove ho presentato il
romanzo presso la libreria “L’Altracittà”, e
i vari passaggi televisivi che mi propone. Una realtà
editoriale siciliana che lo stesso Alfio ama definire: “Casa
Algra”. Più che soddisfatto.
Cosa
vuol dire, per te, scrivere?
È
un viaggio. Un’attenta ricerca tra gli anfratti della nostra
sicilianità, il mare, il vulcano, la storia. Tutto quello che
scrivo lo sento visceralmente dentro, non riesco a riempire il foglio
bianco con tratti neri che non siano emozioni, sentimenti. A volte
capita di scrivere qualcosa che non è passato dal mio stomaco
o dal mio cuore e quando rileggo, lo taglio come la lama di una
katana che spezza in due senza nessuna possibilità di
congiunzione, di compromesso. Ogni parola, ogni sillaba deve
contenere un impulso, una passione, quella che muove la mia anima.
Qualcuno ha detto che “gli autori si rispecchiano nei
personaggi immaginari delle loro narrazioni” e forse anche per
me vale questa formula, perché i miei personaggi vivono
sofferenze e riflettono nell’intimo con le loro paure, i
ricordi, la malinconia, per cercare una soluzione e riuscire a vivere
un po’ meglio con se stessi, e questa è anche la mia
ricerca, di un Vento che calmi la Tempesta, di un Abbraccio che
riscaldi il Cuore.
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