La
donna giusta - Sandor Marai - Adelphi – Pagg.
445 – ISBN 9788845924651
– Euro 16,15
AZ
IGAZI
“Az
igazi (“quello giusto”con valore neutro) era
intitolata la prima versione - apparsa in Ungheria nel 1941- di
questo testo, e solo due erano le voci che narravano il triangolo
amoroso attorno a cui ruota la vicenda. Per l’edizione tedesca
del 1949 Márai aggiunse il terzo monologo che, rielaborato nel
1980, fu dato alle stampe insieme all’epilogo. ..”
L’edizione
Adelphi presenta il romanzo nella sua integralità e la nota
iniziale è doverosa onde evitare di tacciare il romanzo quale
dispersivo, disorganico, prolisso, qualità invero che gli sono
proprie ma che non lo connotano affatto. A mio parere occorre
semplicemente tenere conto della genesi su riportata e della volontà
dell’autore. È insomma un romanzo che vive di
giustapposizioni ma che al contempo si nutre di una sua funzionale
economia interna seppur con qualche criticità che lo scalza
dal podio del capolavoro. Leggerlo è doveroso perché
fonte inesauribile di riflessioni, non tutte condivisibili, a dirla
tutta, la mia edizione è diventata un prototipo di libro
orecchia, diciotto su quattrocentoquarantuno pagine, equamente
distribuite nelle quattro sezioni. Si tratta in breve di diversi
punti di vista su una medesima vicenda, ne veniamo a conoscenza
mediante il racconto che i protagonisti fanno ai loro interlocutori
in un dialogo che vira al monologo, uno degli interlocutori diviene
poi a sua volta il narratore dell’epilogo.
Una
prima moglie, un marito, una cameriera, un musicista; rispettivamente
la storia di un matrimonio, di una passione sopita, di una scalata
sociale, e del succo di tutta la storia.
Marika
appartenente alla borghesia ungherese sposa Peter e si dedica a lui,
brillante borghese amante della cultura e dei libri; si accorge che
lui non le appartiene completamente nello spirito; scopre che vive
una tensione irrisolta avendo pensato in gioventù di poter
abdicare al suo ruolo sociale inseguendo la pulsione che lo spingeva
verso la giovane cameriera proletaria giunta dalla fossa di famiglia
dove era uso coltivare meloni. Marika tenta di salvare il suo
matrimonio nonostante sia minato anche dalla perdita del loro
figlioletto , senza riuscirci; ama il marito ma è condannata a
non riuscire a vivere con lui: “Amare non è
sufficiente”e non solo … non esiste nemmeno la persona
giusta, tanto meno può esserla quella a cui noi tributiamo il
nostro amore, ogni persona è bene e male, possiede un pizzico
del giusto che andiamo a cercare, non esiste la persona che ci può
dare quella felicità totale alla quale agognamo.
Peter
è invece un uomo schiacciato dalla sua identità
sociale; è ricco, ligio al dovere, irrisolto, tendenzialmente
solitario, costretto alla vita sociale, imbrigliato e vigliacco.
Prima del matrimonio è incapace di assecondare la passione per
la giovane cameriera Judit Áldozó,
: “all’epoca ignoravo tante cose, ad esempio che quando
un essere umano obbedisce alla legge del proprio corpo e della
propria anima non è mai ridicolo.”. Fallito il primo
matrimonio finalmente la sposa ma lei si rivela altra persona,
fallisce presto la loro unione. Lui matura una visione distruttiva
dell’amore: “Amare significa semplicemente conoscere
appieno la gioia e poi morire.”
Judit
Áldozó è una giovane proletaria, a Budapest
conosce un altro mondo fatto di pulizia, profumi, modi gentili,
ossessioni e nevrosi incomprensibili, ricchezza materiale ed estrema
povertà d’animo. Si spaventa, si difende ma
progressivamente si fa fagocitare da quel mondo fino a divenire una
signora anche lei pur non tradendo mai la sua vera essenza plasmata
dall’ estrema povertà delle origini. Sposa Peter e lo
annienta. Il suo monologo appare stridente e perfettamente
contrapposto a quello della prima moglie: Marika ha vissuto l’amore,
quello vero pur fallendo nel vincolo matrimoniale, Judit si
rappresenta invece nel suo squallore umano, incapace di amare.
L’epilogo
è affidato al musicista che entra in contatto con lei dopo il
suo trasferimento a Roma e narra la sua storia a Peter stesso
anch’egli fuoriuscito dall’inferno ungherese dopo
l’assedio di Budapest e l’avvento del regime comunista.
Questa sezione come parte del monologo di Judit dedicano ampio spazio
alla rappresentazione dell’orrore della città assediata,
i ponti divelti , Buda e Pest separate , il terrore del regime;
appaiono dunque slegati dall’intimità dei primi due
monologhi per tentare una sorta d ricognizione aerea sul destino dei
singoli inquadrati in una Storia di più respiro, una tragedia
infinita segnata dall’orrore della guerra posta lì come
ad appianare ogni miseria umana.
Trasversale
ad ogni pagina di questo bel libro l’amore per la lettura e la
cultura:” … la cultura è quando una persona …
o un popolo … sono pieni di gioia immensa!”
E
il succo di tutta la storia? È il concetto di democrazia
contenuto nella bellissima immagine finale, impossibile anticiparla.
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