Solo
se c’è la luna,
di Silvana Grasso
Silvana
Grasso ha un rapporto privilegiato con la notte. Notte di luna piena,
amica, silenziosa e magica; notte di tenebre e tempesta, che
attorciglia le budella, scatena incubi devastanti, visioni che
diventano storie e personaggi letterari; libri di successo, romanzi
che appassionano lettori di tutto il mondo. Uno spaccato di umane
miserie, campionario paradigmatico di questa società, con i
suoi vizi e i suoi peccati. A volte assumono i contorni di una farsa
e altre sfociano nel dramma, stemperato dall’autrice con
sapiente ironia. Questo è un romanzo che parte dalla Sicilia.
Attenzione. Parte dalla Sicilia, non è siciliano. Parte dalla
Sicilia per infiltrarsi tra le pieghe del mondo, nei suoi rivoli più
reconditi. “Solo se c’è la luna” è un
storia universale, di amore anelato e mai ricevuto; atteso,
desiderato, rimasto incompiuto. Una storia carnale che trasuda afrore
di sesso, sangue e sudore. Tutto si ferma al desio
senza
che l’atto supremo si consumi. Così è per Gerri,
il personaggio principale, l’americano sicilianizzato o il
siciliano americanizzato; un ibrido in fondo che non raggiungerà
mai il suo desiderio di diventare un signore. Cafone era e cafone
rimane. Nonostante abbia fatto i soldi in America; nonostante abbia
avu la brillante idea di aprire una fabbrica di saponette in Sicilia,
negli anni 50, quando ancora la gente si lavava con la cenere. La
ricchezza consente di avere potere, sottomissione da parte dei più
deboli; permette di comprare una moglie mezza scimunita, persino una
figlia. Ma senza istruzione, senza possedere nobiltà
d’animo, non si conquista il rispetto.
Silvana
Grasso è un animale predatore: non morde, sbrana, squarta,
riduce a brandelli i suoi personaggi, li offre in pasto ai lettori
indifesi nella loro nudità, li circonda di un alone mistico,
li rende immortali. Luna è la figlia di Gerri, può
vivere solo di notte perché il sole è nemico della sua
pelle diafana, vittima di una rara malattia. È colta, ha
studiato, è fragile, un essere da fiaba, un elfo dei boschi,
quasi impalpabile; sembra aggirarsi nel romanzo caduta per caso e
invece lascia orme indelebili; incarna l’erotismo, la
passionalità, il desio,
ancora
il
desio. Al
contrario della quasi sorella, Gioiella, di temperamento opposto, più
terrena, più materiale, sensuale anche lei ma chiusa ai
rapporti sentimentali con l’altro sesso in quanto divorata da
irresistibile, quanto inconcepibile per quell’epoca, attrazione
omosessuale. Ma non voglio raccontare qui la trama del romanzo,
farei un torto a quanti non lo hanno ancora letto, toglierei il
piacere della sorpresa. Piuttosto desidero soffermarmi sullo stile
particolarissimo di Silvana, su questa scrittura che sembra intrisa
di lava vulcanica, un impasto di carnalità ed erotismo, di
metafore illuminanti, di trovate linguistiche che esplorano,
indagano, aprono nuove vie, nuovi sentieri da percorrere. Una
scrittura potente, che vibra, scuote le coscienze, che è allo
stesso tempo gioia e dolore, malìa e ipnotismo; assembla in
maniera stupefacente antico e moderno, si tuffa nel passato e si
proietta nel futuro.
Intervista
a Silvana Grasso
Pirandello
diceva che la vita o si vive o si scrive, si ritrova in queste
parole?
La
vita è una magnifica giostra fino a quando non si rompono le
cinghie e si precipita giù. A volte il precipizio annuncia
morte, altre resurrezione, un nuovo giorno di rinascita. Un modo
nuovo di vedere il mondo e se stessi, come dire che <<il treno
ha fischiato>> mutuando il genio di Pirandello. Ed è
risveglio dalla letargia, dalla noia che uccide, dalla maschera che
occulta e ammazza la personalità. Siamo sempre alla vigilia di
una giostra che cade, perché è impensabile
insopportabile intollerabile una vita vissuta solo da comparsa e in
seconda mano. Io voglio una vita spericolata, non in seconda mano,
non tiepida, né comoda. Voglio una vita pirata e poetica a un
tempo, in cui solo se uccidi<<il te che eri>> puoi ancora
vivere da uomo non da pupo, da vivo non da morto.
La
scrittura come terapia ai mali dell’anima, purificazione dal
vivere quotidiano. È possibile?
Ognuno
fa i conti con la sua scrittura. Non ci sono vademecum validi per
tutti. La scrittura deve molestarmi e molestare i miei lettori, deve
cioè scoperchiare il fondo, lasciare un graffio sull’anima
e farla incazzare. Non sono guru, lascio ad altri la mascherina del
guru, anche a carnevale finito, lascio ad altri la retorica ridicola
della purificazione scrivendo. Scrivere non redime affatto, non
scrivo per redimere e non leggo per essere redenta. Scrivere ha per
me la funzione di un trattore, scoperchiare le zolle dell’anima,
buttare il marcio, seminare il nuovo, il coraggioso, il ribelle, il
levito del cambiamento, che non è mai indolore ma sempre
necessario.
Cosa
le procura gioia
Fare
del bene, fare star bene, dare ascolto a chi non ascolto, questo in
primis… poi per me godere il fuoco del tramonto, l’alba
sul mare, vedere nascere belle pagine come se a scrivere fosse un
altro ed io solo il suo strumento… un’emozione che
uccide ma che dà ancora la patente della vita non della
morte…. la verità mi illumina d’immenso, la
necessità di dire, non di giudicare, e anche la metamorfosi,
un’eccitazione dell’anima irresistibile come scalare
l’Everest a piedi nudi
Cose
le procura sofferenza
L’oscenità
della Politica siciliana che ha distrutto la terra del Mito, che
dissangua la patria e l’affoga nel ridicolo nel bisogno nella
disperazione . È un oltraggio al pudore la bestialità,
la ladroneria di queste bestie che hanno ricreato l’emigrazione
dei nostri nonni, mentre in Sicilia, con una gestione sana saggia dei
soli Beni Culturali e Naturali, tutti avrebbero potuto vivere
benissimo, far crescere i figli nella Bellezza, nutrirsi e nutrirli
di Bellezza, Arte Archeologia Mito.
Invece,
ignoranza scelleratezza arroganza hanno prodotto ferite enormi nel
tessuto economico e sociale. La gente è impaurita, delusa,
scoraggiata, non sa più né se dove possa nascere il
Sole sull’Isola.
È
sentimento diffuso questo della paura, della disperazione, del
fallimento… non abbiamo strade né autostrade sicure né
scuole sicure né istituzioni sicure né prospettive
sicure. L’unica sicurezza è la precarietà, il
transitorio. Nulla di sicuro abbiamo che non sia una continua truffa
ai danni della gente comune, che stenta a mangiare due volte al
giorno, che non spera più. Questo è vulnus per me, per
molti, mentre la Sicilia è nella considerazione Mondo
capitale di Bellezza infinita, terra degli Dei.
Se
ce n’è una, qual è la ricetta per scrivere un
romanzo di successo?
Un’emotività
sanguinolenta, inquietante, che lascia stimmate forti. Non si scrive
se si è<<trunzi>> cioè senza sensibilità,
scrivere è fare autopsia di sé della sofferenza della
speranza, comunque è tagliuzzarsi e taglieggiarsi. Questo
romanzo, già alla terza edizione in meno di due mesi, è
un innegabile successo editoriale, ma senza premeditazione. È
intenso, piace ad adolescenti e adulti, forse levargli di dosso un
po’ di letterarietà e snudarlo è stato vincente,
ma senza ricetta: GIURO!
La
vita mescola le sue carte, è stato scritto in un momento di
grande umanità e si vede tutta, i personaggi soffrono, ma
hanno cuore anima forza decoro dignità pazzia ironia, niente
che somigli alla lebbra della retorica.
La
Sicilia. Lei è stata assessore al Comune di Catania. Se avesse
la bacchetta magica, cosa farebbe per migliorare questa terra.
Mi
basterebbe un machete, non una bacchetta magica! Saprei subito quanti
decapitarne di questi ingrati bastardi, che ancora attentano al cuore
della grande madre Sicilia.
Salvo
Zappulla
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