Grande
Sertão
- Joao
Guimaraes Rosa
- Feltrinelli –
Pagg. 504 – ISBN 9788807810428
– Euro 14,00
Dentro
il sertao
Non
è semplice parlare di un libro che , datato 1956, si è
imposto nella letteratura brasiliana divenendone una sua pietra
miliare. Non lo conoscevo e devo la sua scoperta ad una vivace
comunità di lettori che dopo averlo scovato tramite la
partecipazione di un nutrito numero di essi ad un sondaggio teso a
scovare “perle nascoste” nella letteratura mondiale, ha
fatto sì che con votazione divenisse l’eletto per un
successivo gruppo di lettura. Ho partecipato dunque alla mia prima
lettura collettiva e devo dire che l’esperienza è stata
edificante perché i contributi degli altri hanno sostenuto un
leggere non sempre piacevole e spesso difficoltoso rendendomi tra
l’altro maggiormente accessibili alcuni passaggi. Resistenze
innumerevoli hanno siglato la lettura e primariamente una prosa
arricchita di un linguaggio ricalcante la vera natura del Sertão:
Brasile centrosettentrionale, lande brulle in altitudine solcate da
palme, piccoli fiumi, una fauna curiosa variopinta, onnipresente, un
esercito di solitari uccelli che scandiscono i ritmi di una natura
bella e selvaggia. Una terra di nessuno o forse una terra di pochi, i
fortunati possessori di isolate fazende che per proteggere le loro
microeconomie hanno necessità di asservire i molti sfortunati
i quali, armati, fanno valere una legge, quella del più forte,
in un luogo dove la legge non arriva mai. Riobaldo, ormai vecchio,
sposato, sistemato e protetto dai suoi banditi è anche lui
divenuto uno di essi. È divenuto appunto giacché non fu
in gioventù: persa prematuramente la madre, raggiunto un
padrino, sottrattosi alla sua cura, si unisce ad una delle bande che
percorrono il Sertão e questo luogo immenso, difficile, ostile
e accogliente al tempo stesso lo ospita, lo fagocita e lo istruisce.
La sua natura però pare rifuggire dalle leggi della sua nuova
casa ma in essa lui dovrà faticosamente trovare un suo ruolo,
una sua ragione, una sua identità. È sua la voce
narrante che si rivolge ad un ospite di passaggio “Vossignoria”,
uomo di certo istruito che viaggiando per quei luoghi capirà
la sua parabola esistenziale se avrà la pazienza di ascoltare
lo sfogo di un uomo che vive fondamentalmente di rimpianti, in realtà
di un unico grande rimpianto. Il suo narrare è una mistura di
ricordi e di considerazioni di carattere più generale che
vanno a toccare le grandi verità di una terra intrisa di
credenze, superstizioni, attribuzioni di caratteristiche
soprannaturali anche al reale più tangibile, una terra che ha
necessità di interrogarsi e di capire le grandi forze
antitetiche che governano la vita umana: il bene e il male e le loro
incarnazioni nelle idee di dio e del diavolo. Il ritmo narrativo
discontinuo, squarciato da stupendi passaggi descrittivi che offrono
bellissimi quadri d’insieme dove regnano sovrane la flora e la
fauna del Sertão, zigzagato da continue analessi,
inframmezzato da sequenze frenetiche al sapore di piombo regala
un’esperienza di lettura unica che mima l’episodicità
della stessa esistenza: tempesta e risacca. Riobaldo si dipinge in
tutta la sua umanità fatta di incertezze, paure, limiti ed
errori anche nei momenti più alti del proprio percorso; un
uomo solo come tutti d'altronde anche se riuniti in bande, con gli
stessi”valori” da condividere, con le stesse esperienze
da raccontarsi, anche le più brutali. Un uomo che pur
accettando tale sistema sempre nel suo profondo lo rinnega, se ne
distanzia e insieme ne viene risucchiato ancora accertandosi tra sé
e sé che “la vita della gente procede per errori, come
resoconto senza piedi né testa, per mancanza di buon senso e
di allegria”. E se solo l’avesse avuto un po’ di
buonsenso il nostro Riobaldo oggi non sarebbe lì a ricordare e
contemplare l’unica vera “nebbia” della sua vita:
Diadorim. Qui ci vorrebbe proprio la “misericordia di una buona
pallottola” a porre fine al suo narrare- rimuginare, ancora
basiti per la sua rivelazione finale, riconciliandoci infine con lui
e con la sua “traversia”.
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