I
giorni della paura – Daniele Mastrogiacomo –
e/o – Pagg. 190 – ISBN 9788876418747
– Euro 16,00
I
talebani visti da vicino
Voleva
soltanto “raccontare una guerra che il mondo sente lontana”
. Per questo motivo Daniele Mastrogiacomo, inviato di Repubblica,
partì per l’Afghanistan alla fine del febbraio del
2007.
Non era la prima volta che si recava in quello che
lui definisce “un intero paese punteggiato dalla morte”
per via delle mine antiuomo disseminate in gran numero in tutto il
territorio, tragico risultato di decenni di guerre che hanno
devastato una terra dai paesaggi mozzafiato e ferito nel profondo il
popolo afghano. Devastazioni e ferite, come è tristemente
noto, non sono mai cessate, malgrado la presenza militare delle forze
internazionali che non riescono ad avere ragione della resistenza
talebana tutt’altro che debole e disorganizzata. E proprio la
possibilità di penetrare all’interno di quella
resistenza, intervistando un non bene identificato comandante
talebano, spinse Mastrogiacomo a far ritorno in Afghanistan, lontano
dall’immaginare quale assurda vicenda l’avrebbe visto
protagonista.
Da ciò prende le mosse il suo libro
intitolato “I giorni della paura”, pubblicato dalla casa
editrice Edizioni e/o. Il lettore vi troverà l’altra
parte del rapimento del giornalista, quella vissuta in prima persona
da Mastrogiacomo che racconta la sua esperienza di ostaggio con uno
stile narrativo capace di trasmettere, attraverso un linguaggio
semplice, angoscia, speranza, rassegnazione, rabbia, paura e
quant’altro abbia segnato quelle due settimane di prigionia,
lunghe e durissime per lui e per i suoi collaboratori; lo
accompagnavano, infatti, due giovani afghani: Ajmal Naqshbandi, il
suo amico interprete-giornalista che si era attivato per ottenere il
colloquio con il capo militare grazie ai suoi contatti tra gli stessi
studenti coranici, e Sayed Agha, l’autista che conosceva alla
perfezione quei territori.
Un gruppo di talebani armati di
kalašnikov li catturò nella provincia di Helmand, nel
profondo sud del Paese, con l’accusa di essere spie. Più
tardi apparve chiaro che qualcuno, all’interno della leadership
del movimento, aveva “giocato con le nostre vite” e che
l’intervista, in realtà, era stata solo una trappola con
la quale attirarli. Tutto viene descritto con dovizia di dettagli:
dai terribili istanti della cattura ai frequenti e scomodi
spostamenti a bordo delle jeep tra deserto e villaggi di fango e
paglia, dalle “frustate in nome di Allah” all’improvvisa
decapitazione di Sayed, dai ritmi dei giorni, spesso interminabili,
scanditi dalle cinque preghiere quotidiane alla rottura a colpi di
pietra dei lucchetti delle catene alle caviglie il giorno
dell’annunciata liberazione, l’ultimo in cui Daniele vide
il suo interprete; quest’ultimo, dopo un finto rilascio, sarà
di nuovo catturato e, dopo il tentativo di utilizzarlo ancora come
merce di scambio, ucciso con il consueto macabro rituale.
Il
ritratto dei talebani che emerge a poco a poco è assolutamente
inedito, qualcosa che ha, come scrive Bernardo Valli
nell’introduzione, “una autenticità rara, anzi
rarissima”. Tutti molto giovani, i carcerieri “dividono
con noi gioie e sofferenze, fame e cibo, sete e acqua. Non ci faranno
mai mancare nulla. Si occuperanno di noi con un’attenzione che
ci lascerà interdetti e che impareremo a temere, quando
scopriremo la violenza di cui sono capaci”. La loro è
una vita semplice e strana, fatta di ideali di martirio e
sorprendenti partite di calcetto, di gesti delicati verso le armi che
trattano come loro compagne e canzoni urlate a squarciagola in cui si
racconta non solo di combattimenti, “ma anche di un mondo
migliore, più giusto, dove tutti vivono in pace e al sicuro.
Senza ladri, fedifraghi, assassini. Ma anche senza donne, progresso,
cultura, libri, musica, balli, cinema, televisione. Un mondo ancorato
al passato, fermo ai tempi di Maometto”. Durante quei quindici
giorni Mastrogiacomo poté conoscere del movimento degli
studenti coranici più di quanto avrebbe mai immaginato: “In
fondo – come gli disse il mullah Dadullah, comparso poco prima
della liberazione – avete ottenuto molto più di
un’intervista. Avete visto come viviamo e cosa pensiamo”.
“I
giorni della paura” è un libro che l’autore
dedica, come si legge in apertura, a coloro che si adoperarono
attivamente per riportarlo a casa e alle novantamila persone che, in
tutto il mondo, sottoscrissero l’appello per la sua
liberazione. Ma è stato scritto con il pensiero rivolto, in
modo particolare e doveroso, ai suoi due collaboratori, Ajmal e
Sayed, perché “loro avrebbero voluto che raccontassi al
mondo questa nostra incredibile storia. Glielo dovevo. Dopo due anni
ho mantenuto questa promessa”.
Laura
Vargiu
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