Giustizia
– Friedrich Durrenmatt – Marcos y Marcos –
Pagg. 214 – ISBN 9788871684277
- Euro 13,50
Che
schifo, la giustizia
Un
delitto apparentemente archiviabile come un caso già risolto,
l’assassinio opera in pieno giorno ed è riconoscibile
dai presenti perché personaggio noto nella cittadina - si
tratta del consigliere cantonale Kohler -, diventa il perno di una
narrazione ambiziosa e articolata. Essa si apre in forma di memoriale
con narratore un ormai fallito avvocato in preda ai rimorsi, confuso
dall’abuso di alcool e fermo nel suo intento di fare a breve,
con un altro omicidio, la necessaria giustizia che è finora
venuta a mancare. Da Spät, questo il suo nome, conosciamo il
primo livello narrativo di una vicenda complessa che lentamente andrà
a delinearsi attingendo a successivi e indispensabili altri livelli
narrativi. Una struttura articolata e farraginosa che alla lunga
stanca e fa perdere il mordente all’azione, vero è, di
contro, che chi legge Dürrenmatt non deve aspettarsi il classico
modulo di genere, poliziesco o giallo, ma la sua perfetta antitesi.
Durante la lettura, che dunque trae in inganno anche l’esperto
lettore, illuso che con quest’opera ultima si stia addentrando
in un bel noir, si fanno incontro tutti i temi e gli stilemi tipici
dello svizzero. Colpisce il fatto che sul finire lo scrittore
inserisca anche una sorta di autocritica, sapientemente celata nella
finzione narrativa, rispetto a quest’opera che iniziata nel
1957, ripresa e conclusa nel 1985 per non darle l’identità
di un frammento, non riuscì mai a eguagliare quell’ispirazione
creativa che l’aveva appena abbozzata, non raggiungendo dunque
il fulcro contenutistico che l’aveva animata virando per altre
vie e assumendo l’aspetto di una summa di pensiero. E questo è
in effetti il suo aspetto più interessante, al suo interno
ricorrono riflessioni sulla giustizia e sulle probabilità che
essa trionfi su una realtà contraddistinta da variabili tutte
dettate dall’uomo e dalla sua imperfettibilità. La
riflessione si estende all’ambito del possibile e del reale e
dei loro orizzonti rispettivamente infiniti e molto limitati: “il
reale è solo un caso particolare del possibile, e per questo è
anche pensabile in altro modo”. Si giunge poi a negare le basi
del diritto processuale penale affermando per esempio che non esiste
un testimone obiettivo in quanto ogni persona percepisce un fatto a
suo modo e lo rielabora secondo la sua memoria rendendolo dunque un
fatto già diverso da quello oggettivo. Si prosegue inoltre con
una critica caustica alla società elvetica, quella che oltre a
produrre orologi di precisione, psicofarmaci, segreti bancari e
neutralità perenne, è capace anche di sfornare uno
pseudo uomo, un uomo artificiale, un prodotto di laboratorio che poi
plasmato da principi educativi e da psichiatri altro non potrà
fare che immergersi nel caos della vita dove essenziale è come
nel biliardo, metafora su cui gioca a tratti la narrazione, sfruttare
le sponde. In virtù di quanto detto l’opera è
consigliabile ma non certo piacevole.
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