Alessandro
Zaffini - “
Scordare il copione” – Poesie -
FaraEditore, 2018
Concordo
con la giurata del Concorso nazionale “ Faraexcelsior”,2017
- Germana Duca – che la raccolta poetica “ Scordare il
copione”, di Alessandro Zaffini, sia un poema: sequenza ritmica
di lotta contro “il copione” imposto dalla mano nascosta
del Destino.
L’autore
apre il sipario di questa raccolta, “ Scordare il copione”
(FaraEditore,2018) richiamando alla mente del lettore un altro grande
copione teatrale: “ Il Don Giovanni – Il convitato di
pietra” opera attribuita allo scrittore spagnolo Tirso de
Molina, inserita in quel “siglo de oro” che mosse dalla
Spagna i fermenti ripresi da altri grandi autori europei nel corso
dei secoli.
La
lotta morale dello “ Spirito” e le passioni della carne
incontrate nell’esistere, costituiscono le fondamenta di quel
XVI secolo.
Oggi
Zaffini le ripercorre nei suoi otto atti dei quali si compone questo
poema.
L’autore
introduce lo spettatore all’incontro con la sua trama dalla
prima pagina: “(…) Lo spettro più grande: saltare
un passaggio, cacciarti / lontano, in fondo al teatro che vibra
ancora / dell’ultima orfana sillaba ” (“
L’Italiana”, pag.11), fino all’ultima pagina dove:
“ Non sono la rivincita / del lebbroso, l’astio del
popolo o la leva / del cambio, ma la solitudine intatta / di carne
nuova, il sorriso / sul sudario: sangue non più mio –
quel sangue / che ricorda, fermo sui carnefici, e squarciando / il
velo del tempio, il fair play, / non ammette politica. ” (
“Ghost track”, pag.86).
Le
similitudini con la figura di Gesù Cristo dei Vangeli si snoda
in tutta la rappresentazione. Le scene prendono spunto
dall’attualità, dal mondo che si evolve intorno a noi
con i suoi “ diabolici” paradigmi ai quali il
regista-attore Zaffini si concede e si libera nell’attesa di un
possibile trionfo nella resurrezione dello Spirito.
L’enjambement
produce la forza costante del monologo nei versi. Trascina lo
spettatore nella scia di fuoco che anima il copione voluto
dall’autore e riscattato dalle mani del Destino che si
affaccia costante nei sogni, nelle notti insonni, nella carne
martoriata dai desideri della Vita.
Brilla
per spessore poetico l’atto che reca il titolo “
Euridice”, scritto tra l’ottobre del 2012 e il luglio
2013, nel quale la delicatezza dei versi, disposti alla rima interna
e all’anafora, indicano agli spettatori l’eterna sostanza
della nostra Speranza: “ L’obolo annuale di Aprile. / Il
poeta trasferisce il proprio stato d’essere / nella realtà
oggettuale circostante, attribuendo / le cause delle proprie mollezze
alla presunta / crudeltà della stagione. / L’amore della
sua donna, il sorriso degli amici, il talento, la/ salute, la
giovinezza, il denaro, il timbro di voce / sono chiari indizi di come
gli dei lo abbiano / amato fin dal principio. Potrà senza
remore / accettare tutto ciò? ” ( “Voltarsi
(fabula)”, pag.72).
Il
fantasma della Morte, onnipresente nell’esistenza di ogni
essere vivente, viene qui vinto per un istante dai doni che gli Dei
affidano al poeta, affinché attraverso i suoi versi l’Umanità
intera trovi l’energia del rinnovamento nella Natura che dà
e toglie la vita.
Non
“ mollezze”, richiama l’autore a pag.85 il filosofo
Gianni Vattimo sul valore del “pensiero debole”, ma
l’ardire del poeta di avere scelto di infrangere il copione
predestinato: “(…) Il Demone dettava l’ora /
interminata dello spavento – non la morte / né il Male,
ancora per poco. Pendolo o incensiere / stordiva ciglia e affetti: “
Vinci il Fato solo / se vai a compierlo.” ( “ Il solco
”,pag.73).
Qui
è invocata la struttura di questo testo teatrale.
Il
poema richiama anche autori che hanno influenzato con il loro “
sermo illustris” (come enuncia la giurata Germana Duce nella
nota critica a questo lavoro) il Novecento: è il caso di
Giovanni Pascoli, della vita svolta in collegio, della visione della
città di Urbino ( nella poesia “ L’aquilone”),
degli studi intrapresi.
L’autore
richiama questa esperienza in diversi passaggi: “(…)
Epifania di ignoto calpestio. / I Collegi sono l’inferno di un
quadro di Bosch./ ” (“ Astrale”,pag.20). “(…)
Sui tetti dei Collegi / cresce muschio annerito./ ” (“
Cima del colle”, pag.35), che raccontano l’esperienza
dolorosa.
Nel
realizzare questo lavoro Alessandro Zaffini ha raccolto, tra reale e
finzione, sofferenza e qualche gioia, una parte importante della sua
/ nostra esistenza.
Vincenzo
D’Alessio
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