Subhaga
Gaetano Failla: “ Poesia
dei sacchi e dei cuori freschi ” , in Antologia :
“ Perdono: dal rancore al ricordo ”, a cura di
A.Ramberti, FaraEditore,2017
Annualmente
“i pellegrini della poesia” si recano all’eremo di
Fonte Avellana, caro a Dante Alighieri, ai piedi del Monte Catria,
nel cuore dell’Apennino umbro/marchi-giano, per rispondere
all’invito rivolto dall’aedo Alessandro Ramberti sui temi
di attualità e di fede.
I
poeti a convegno sono tanti e provengono da diverse regioni della
nostra penisola: nord-sud-centro, isole, si ritrovano a dialogare
nella stessa lingua, ognuno con il proprio background.
Lo
scorso anno il tema trattato, riportato poi in un’Antologia
curata dall’ Editore (2017) , distribuita ai convenuti e ai
lettori della Casa Editrice e ad alcune biblioteche, era “Perdono:
dal rancore al ricordo”.
L’intervento
dello scrittore Subagha Gaetano Failla è certamente singolare
e risponde al tema proposto in modo incisivo.
Si
parte dall’introduzione dove sono citati le parole del poeta
J.L. Borges: “ Io non parlo di vendette né di perdoni:
la dimenticanza è l’unica vendetta e l’unico
perdono.”
Assunta
questa premessa lo svolgimento del l’intervento procede
attraverso versi brevi, disposti lungo una verticale come una discesa
lungo una scala ripida verso l’esito finale, dove il lettore
ritrova la coscienza del letterato che trasmette le sue singolari
emozioni: “(…) Leggerò i versi simulando una voce
sintetica, da robot, per enfatizzare il nostro vivere inconsapevole e
automatizzato.” (pag.260).
Il
soggetto è un anonimo “povero” alla ricerca nel
sacco nero della spazzatura, di “qualcosa” che appaghi la
sua dolorosa ricerca.
La
ricerca stessa assume l’identità di un videogioco al
quale si partecipa oppure si diviene osservatore partecipante( vedi
B.Malinowski).
Il
dolore portato avanti nell’indifferenza della società
civilissima, che non perdona agli ultimi il diritto di essere lì,
di vivere per strada ingombrando della loro presenza il fluire veloce
della quotidianità, di essere soggetti da eliminare è
riportato in questi versi: “(…) Eliminare gli specchi, /
please, / e fare silenzio, / non dire, / dimenticarsi, /
dimenticare./” (pag.262).
Forzatamente
il perdonarsi di non volere intervenire a mutare il corso degli
eventi osservati si trasforma in rancore verso quei soggetti che li
procurano: (…) Oblio / non / io / né / tu / ed / essere
qui./” (pag.263).
Contrapposto
al perdono la maschera ironica della società dei consumi che
non ricorda (o non vuol ricordare) i danni procurati dallo
sfruttamento inesorabile delle risorse naturali e umane del pianeta.
Il
poeta gioca con i versi volutamente, sospinto ad interpretare il
vuoto sacro del meccanicismo e dello scientismo assoluto, che nulla
cede ai deboli: “ (…) Corda / che lega / rilega /
riunisce/ un / core / universale,/ ricordo / ammore / che unisce /
universi / e / le pagine / del libro / rilega./ “ (pag.264).
Non
c’è altra scelta che continuare a mentire a se stessi e
procedere senza voltarsi; correre dietro al vessillo del “
fresco” benessere materiale, dove la parola dialettale
napoletana “ core”, che compare in questa poesia,
richiama i versi della rinomata canzone scritta nel 1944 dal
notissimo cantautore partenopeo Peppino Fiorelli che il Nostro
prende in prestito: “ (…) scurdammoce ‘o passato”.
Il
rancore dovuto alla Guerra Civile, allora, si trasformò in
volontario ricordo per sedare il dolore degli affetti persi, dei
giovani trucidati dei fascisti convinti di uccidere i comunisti/
partigiani: memorabile il film dei fratelli Taviani “ La notte
di San Lorenzo”del 1982 ispirato allo stesso periodo, 1944,
nelle campagne toscane.
Il
perdono si spegne lasciando, però, il segno nero del dolore
subìto nei meandri della memoria singola e collettiva.
Esercizio non sempre facile, difficile per la violenza insita in ogni
essere umano.
Subagha
Gaetano Failla dà prova della lunga carriera di scrittore in
questa composizione utilizzando metafore intense come “ il
sacco nero” ( permanere in uno stadio di intenso
dolore/mortificazione della carne) ; “le dita” parte
nobile e creativa del corpo umano che rovistano nella spazzatura
invece che dedicarsi ad un onesto lavoro; “scegliere” che
indica esattamente il contrario dello stadio della propria condizione
sociale.
Oltre
al dialetto napoletano, l’autore utilizza anche il
fonosimbolismo: “ (…) e quo e qua e uak! / ”(pag.265)
scherzando sul verso che la gallina compie nell’emettere l’uovo
“fresco di giornata”: paragone dell’incomprensibile
esasperazione dell’umana società attuale di rincorrere
l’avere ad ogni costo.
Vincenzo
D’Alessio
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