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  Letteratura  »  Conte, scrittore e pure attore, di Renzo Montagnoli 29/07/2018
 

Conte, scrittore e pure attore

di Renzo Montagnoli



Fra i personaggi mantovani meritevoli di una sia pur breve nota non poteva mancare il conte Giovanni Nuvoletti, un uomo che nella sua non certo breve vita (era nato a Gazzuolo il 16 ottobre 1912 e morì ad Abano Terme il 4 aprile 2008) ebbe modo di esprimersi artisticamente sia in campo letterario che in quello cinematografico. Premetto che non eccelse nell’uno e nell’altro, ma che comunque onorò sempre dignitosamente il suo nome, al di là del blasone. Figlio di un ingegnere, studiò legge e si laureò in giurisprudenza, maturando fin dagli anni giovanili la passione per lo studio dei costumi e per il galateo. Il titolo nobiliare e la ricchezza di famiglia non lo resero però un individuo scostante e affetto da manie di superiorità (almeno così mi diceva mio padre che era un suo amico di gioventù); ciò non gli impediva ovviamente di condurre una bella vita, che è un po’ il desiderio di ognuno di noi. A detta di tutti era un uomo di charme e in quanto tale ebbe fortuna con le donne, sposandosi anche due volte, l’ultima con Clara Agnelli, sorella dell’avvocato Gianni Agnelli. Per quanto concerne la sua attività artistica, questa si sviluppò assai tardi ed iniziò con il cinema nel 1969 con la parte del professor Gustavo Azzarini nel film di Luigi Salce (Alberto Sordi attore principale) Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, a cui seguirono due altre pellicole nel 1971 (Reazione a catena di Mario Bava, e Le belve, di Giovanni Grimaldi). Il passaggio dal grande schermo al piccolo schermo fu semplice, in una serie televisiva diretta e interpretata da Ugo Tognazzi (FBI – Francesco Bertolazzi Investigatore) e poi con la cura della rubrica Le buone maniere ieri nell’Almanacco del giorno dopo. La passione letteraria fu analogamente avara di produzioni, ma a parte i saggi Vestire una bambina (1997), La cucina d’oro (1997), Istruzioni per un matrimonio: galateo per la cerimonia (2000) e Elogio della cravatta (1982), le sue opere più riuscite, e anche di buona qualità, restano i romanzi Un matrimonio mantovano (1972) e Un adulterio mantovano (1981). Il primo è una dolce storia d’amore in una civiltà contadina ancora ben lontana dalla sua fine. Qualcuno lo ha anche definito, esagerando e anche fraintendendo, come I promessi sposi mantovani, ma a differenza dell’opera manzoniana la trama è completamente diversa e inoltre qui la scrittura è leggera, sembra quasi che la penna scivoli sulla carta. Vi si parla di cose di poco conto, piccole le definiremmo, che però vengono viste come grandi, mentre i temi di un certo rilievo, anche importanti, sono trattati apprezzabilmente in modo lieve. Il romanzo incontrò un buon favore di pubblico, il che spinse l’autore a dargli un seguito con Un adulterio mantovano, romanzo completamente diverso e che non è solo la storia di un tradimento, ma anche la descrizione di un’epoca, la Belle Epoque, che verrà spazzata via dalla guerra. I gradimenti furono buoni, ma non al livello delle aspettative, un po’ per la maggiore complessità del romanzo, e forse anche perché erano trascorsi 9 anni dall’uscita del primo, venendo a mancare quel sapore di novità di un’opera scritta da quello che era considerato universalmente un dandy e che nonostante le sue caratteristiche di personaggio di indubbio interesse veniva sempre più identificato come “il cognato dell’avvocato”.

E’ stato, forse, l’ultimo raffinato di un mondo sgretolato da ben due guerre mondiali, personaggio lui stesso prima ancora che artista, una di quelle figure che lasciano il mondo senza epigoni.

 
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